Entrée d’Espagne
- Titles
- L’Entrée d’Espagne.
- Dating
- Primo trentennio del XIV sec.
- Incipit
- En honor et en bien et en gran remembrançe | Et offerant mercé, honor et celebrançe […].
- Explicit
- […] De la pieté del roi des Romanois | En plurerent environ tuit François.
- Form of the text
- Lasse monorime di lunghezza variabile di décasyllabes o di alessandrini, con leggera prevalenza del décasyllabe; più raramente nella stessa lassa convivono décasyllabes e alessandrini; i vv. 453-456 (lettera di Marsilio a Carlomagno) sono octosyllabes rimati a coppie.
- Language
- Il manoscritto è stato copiato in Italia padana, e la sua lingua presenta, sia a livello fonetico che morfologico, fenomeni di interferenza tra francese e italiano settentrionale.
- Topic
- Racconto delle spedizione di Carlomagno in terra di Spagna per liberare dai Saraceni il cammino di Santiago e delle imprese in Oriente di Rolando, che abbandona l'esercito cristiano durante l'assedio di Pamplona perché offeso dal re.
- Type of text
- Creazione originale di un anonimo padovano che tace deliberatamente il suo nome (cfr. v. 10974:
Testo
Capolavoro assoluto della letteratura franco-italiana e l’opera poetica «forse più rilevante di tutta la letteratura dell’Italia superiore fino al Rinascimento» (Folena 1964, 382), l’Entrée d’Espagne è tràdita da un prezioso manoscritto, il Francese Z 21 (257) della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, in cui si è riconosciuto uno dei tre esemplari dell’opera presenti nella biblioteca mantovana di Francesco I Gonzaga secondo l’inventario stilato nell’aprile del 1407, subito dopo la morte del duca.
Scritta da un padovano che tace deliberatamente il proprio nome – «je qe sui mis a dir del neveu Carleman / mon nom vos non dirai, mai sui Patavian» (vv. 10973-74) – l’Entrée d’Espagne si presenta come la messa in rima della fortunata Historia o Cronaca Caroli Magni et Rotholandi dello pseudo-Turpino, testo da cui in realtà l’anonimo padovano si distacca notevolmente, servendosene come un canovaccio solo episodico per la prima parte del suo testo, e narra le imprese compiute da Carlomagno e dai suoi paladini nei sette anni trascorsi in Spagna cui accenna in apertura la Chanson de Roland.
Strutturata, dunque, come una sorta di prologo alla più celebre delle chansons de geste, l’Entrée d’Espagne si divide in due parti, di sviluppo pressoché uguale, e marcate da due protasi: nella prima parte si racconta la decisione di Carlomagno di invadere la Spagna per liberare il cammino di Santiago dal giogo pagano, il grande duello di tre giorni fra Rolando e il gigante pagano Feragu, il difficile assedio di Pamplona, la conquista della città di Noble (città non individuata) ad opera di Rolando e all’insaputa di Carlomagno; nella seconda l’abbandono da parte di Rolando del campo francese, a seguito dell’offesa fattagli dal re che, irritato dall’atto di insubordinazione del paladino, lo colpisce al volto. Rolando, imbarcatosi tutto solo su una nave, intraprende allora un lungo viaggio in Oriente, fino a raggiunge il regno di Persia dove immediatamente mostra tutto il suo valore e conquista la fiducia del Soldano. Conquistata Gerusalemme e convertiti i persiani alla fede cristiana, Rolando torna in Spagna dove è accolto con immensa gioia e commozione dai compagni, e si riappacifica con Carlomagno. All’interno di ciascuna parte assume rilievo saliente un episodio principale: il duello fra Rolando e Feragu, che occupa da solo oltre 2500 versi della prima parte; e nella seconda, spostato verso la fine, campeggia l’episodio dell’eremita Sansone, che accoglie Rolando e gli profetizza il martirio a Roncisvalle sette anni più tardi.
A causa della caduta di alcuni quaderni, che dovette verificarsi già prima della redazione del catalogo gonzaghesco, il ms. dell’Entrée d’Espagne presenta, oltre ad alcune lacune minori, una perdita di testo molto ampia, la cui estensione è stata calcolata a circa cinquemila versi, un quarto cioè del totale dell’opera. La vasta porzione di testo perduta ci sottrae vari episodi riguardanti le avventure di Rolando in Oriente, ossia l’invenzione narrativa più originale del poeta padovano, sui quali è possibile farsi un’idea attraverso la comparazione con le opere che, direttamente o indirettamente, hanno ripreso a loro modo la narrazione dell’Entrée (Spagna in versi e in prosa, Fatti di Spagna, Aquilon de Bavière).
Successivamente sono venuti alla luce, a Châtillon in Valle d’Aosta e a Reggio Emilia, alcuni esigui frammenti appartenenti a due diversi manoscritti dell’Entrée d’Espagne, quasi certamente distinti dagli altri due esemplari ricordati nell’inventario gonzaghesco, che sono stati pubblicati rispettivamente da Aebischer 1928 e da Specht 1976-1977 e 1977-1978. Sia i frammenti valdostani che quelli reggiani presentano versi collocabili nella grande lacuna del testimone marciano.
Il manoscritto marciano data alla seconda metà del XIV secolo ed è relativamente vicino alla creazione del testo, che si colloca presumibilmente verso il 1330-40. Un termine post quem sicuro fu indicato dal Torraca (1923, 169-172) nel 1298, anno cui si colloca la composizione del Milione poliano, che il Padovano utilizza, ad esempio, ai vv. 13860-64. (L’accertamento puntuale dei contatti tra l’Entrée e il Milione, si deve poi a Limentani 1983a). Un ulteriore termine post quem, più recente a confronto della data di composizione del Milione segnalata dal Torraca, si lega all’ipotesi di una fruizione della Commedia dantesca da parte dell’autore dell’Entrée d’Espagne, avanzata prima – seppur con riserve – dallo stesso Torraca (1923, 233-234), poi confermata dallo Zingarelli (1935, 462-464), dal Carrara (1932, 48), dal Dionisotti 1959, e approfondita infine dal Limentani (1974, 9-10 e 1976, 289). Quanto al terminus ad quem del poema è, in linea di massima, il 1343, data della Pharsale di Niccolò da Verona (cfr. Limentani 1980, 371-372).
Il ms. marciano dell’Entrée contiene alla fine, di mano nettamente diversa da ciascuna di quelle dei vari amanuensi trascrittori del poema, 131 versi, che costituiscono cinque lasse, e un emistichio che segna l’inizio di una sesta strofa (al v. 125 si trova la firma dell’autore, Nicolais: «Ci tourne Nicolais a rimer la complue»), che concludono l’ultimo episodio e avviano una continuazione dell’opera, nota comunemente come Continuation de l’Entrée d’Espagne, e che è stata identificata con l’inizio della Prise de Pampelune di Niccolò da Verona. Antoine Thomas aveva ascritto, infatti, tutti i 131 versi a quest’ultimo autore; secondo René Specht (1982, 49-55), invece, l’esame dei frammenti di Chatillon e di Reggio Emilia, mostrerebbe che gli argomenti linguistici coi quali Thomas aveva provveduto all’attribuzione non reggono più, per cui sarebbe più probabile che solo i sette versi e mezzo della fine del ms. fr. Z 21 (i vv. 125-132, a partire da «Ci tourne Nicolais») si debbano a Niccolò da Verona.
Per Specht (1984), inoltre, l’Entrée non è da considerarsi incompleta e non richiede alcun supplemento né sotto forma della Continuation né della Prise (o delle due insieme), ma al contrario «se termine au point où elle doit se terminer, au moment où le conflit central a trouvé sa solution, quand les deux antagonistes s’embrassent alors qu’autour d’eux plurerent tuit François (v. 15803)». A suo avviso, infatti, il Padovano, artista coscienzioso, non poteva andare al di là del punto in cui si è arrestato, essendo pressoché impossibile far evolvere ulteriormente il personaggio di Rolando – il protagonista assoluto della chanson –, senza il rischio di ripetersi e di fare marcia indietro rispetto alla perfezione quasi sovrumana da lui raggiunta al termine delle avventure e delle esperienze vissute nel corso del viaggio in Oriente; perfezione che gli permette di arrivare persino a conoscere l’ora e le circostanze della sua morte.
L’Entrée d’Espagne riveste nello sviluppo della letteratura italiana una funzione di cerniera tra Medioevo e Rinascimento e, come ha scritto il Thomas, senza di essa «nous n’aurions peut-être ni la Spagna, ni le Morgante, ni l’Orlando innamorato, ni l’Orlando Furioso, ni, en un mot, toute cette poésie chevaleresque italienne dont la floraison luxuriante met tant de joie, tant de grâce, tant d’aimable folie dans la fête littéraire et artistique qu’on nomme la Renaissance» (1913, XLII-XLIII).
Autore
L’autore dell’Entrée d’Espagne ha voluto deliberatamente mantenere l’anonimato informandoci solo sulle sue origini padovane: Sui Patavian, / de la citez que fist Antenor le Troian (vv. 10974-75).
Sulla base dei tentativi esperiti dal Thomas 1913 e dal Torraca 1923 di ricostruire la fisionomia culturale del poeta, il Carrara conclude che l’autore dell’Entrée d’Espagne fu «uno di quegli “uomini di corte” tra il pedagogo e il segretario dei Signori, de’ quali conosciamo più d’un esempio; e rappresenta quella classe di mezza cultura, né laici né umanisti, che al pari di quella dei “notai” formò la “massa di manovra” nella conquista della nuova civiltà italiana» (Carrara 1932, 48). Al quadro tracciato dal Carrara, Limentani ha aggiunto infine la possibilità che quella dell’anonimo Patavian potesse essere anche la figura di un religioso («prototipo di ciò che saranno un Folengo, un Colonna?» 1992, 9). Ma queste ipotesi rimangono a tutt’oggi senza conforti documentari.
Quanto invece all’ipotesi, sostenuta nel 1858 da Léon Gautier, e accolta da grandi romanisti come Gaston Paris, Karl Bartsch, Paul Meyer, secondo cui l’autore dell’Entrée d’Espagne doveva essere un certo Nicola da Padova, essa è stata convincentemente smentita da Antoine Thomas, nel 1882, in quanto fusione azzardata dei nomi di due distinti autori, il “Nicolais”, che si firma al f. 304r della Prise de Pamplune (“Continuazione dell’Entrée d’Espagne”) – e che, in realtà, altri non è se non Niccolò da Verona, autore anche della Pharsale (1343) e della Passion franco-italiana dei Gonzaga – e il “Patavian” (il Padovano), che ha voluto conservare l’anonimato nell’Entrée.
L’attribuzione dell’Entrée a un non meglio identificato Minochio, attestata dal «capitulum librorum in lingua franchigena» dell’inventario gonzaghesco del 1407 (al n. 56, Liber Introitus Yspanie secundum Minochium), non ha avuto fortuna, passando come un dato infido della tradizione (cfr. Viscardi 1941, 83; Bertoni 1930, 87). L’ipotesi del Thomas (1913, I, p. XXXVI) che Minochio sia cognome, e non dell’autore dell’Entrée ma del suo continuatore Niccolò da Verona, è stata spazzata via dal Torraca (1923, 165-168) che ha sottolineato l’impossibilità a quella data e in quel contesto di un tale cognome. Anche il Bertoni nella sua recensione in «Giornale storico della lingua italiana», LXVI, 1915, p. 434, respinse l’ipotesi del Thomas e propose che l’anonimo padovano venisse «chiamato, in via di congettura, Minochio da Padova». Minochio, tuttavia, non può identificarsi né con l’autore dell’Entrée né con un continuatore del poema, la sola ipotesi probabile è che si tratti di un rifacitore, come lascerebbe intendere la specificazione «secundum Minochium» aggiunta al titolo Liber introitus Yspanie. Il testo rielaborato per opera di Minochio doveva essere, infatti, molto diverso da quello a noi giunto nel ms. marciano fr. XXI, perché sottoposto a un processo di italianizzazione che investiva anche le parole in fin di verso difese dalla rima. Il rifacitore Minochio era probabilmente una persona nota alla cerchia dei Gonzaga: forse proprio un loro stipendiato e un contemporaneo piuttosto di Raffaele da Verona, autore dell’Aquilon de Bavière, che non di Niccolò da Verona (cfr. Dionisotti 1959, 209-212).
Senza seguito è rimasta, infine, la proposta di André de Mandach (1989b) di riconoscere nell’anonimo autore dell’Entrée d’Espagne il giurista e notaio padovano Giovanni di Nono, al quale si devono tre trattati di storia locale in latino: il De Generatione aliquorum Civium Urbis Paduae, tam nobilium quam ignobilium; il De Hedificatione Urbis Patavie; la Visio Egidii regis Patavie.
Fonti
Dotato di un acuto spirito di osservazione e di un sottile umorismo, l’autore dell’Entrée d’Espagne è un poeta colto e umanista, il cui talento creativo è nutrito da un bagaglio culturale del tutto inusuale alla tradizione delle chansons de geste. Nell’insieme della cultura dell’Entrée, l’esibizione di una componente classica opera, a tratti, in maniera palese: il Patavian, che pur deve avere attinto molte delle sue conoscenze sull’Antichità dall’Histoire ancienne jusqu’à César (Constans 1914) e dai Fet des Romains, mostra conoscenze dirette di Virgilio e di Tito Livio (Limentani 1985). È un ottimo conoscitore del repertorio delle chansons de geste, in primis certamente della Chanson de Roland, che deve aver conosciuto verosimilmente in una redazione prossima a quella di V4 o V7, cioè in una o nell’altra delle varie versioni che circolavano nel primo Trecento nell’Italia padana, ma anche, come segnalò già il Thomas (1913, XXXVI e seg.), della Chanson d’Aspremont, del Mainet/Karleto, del Renaut de Montauban, del Girart de Vienne, del Macaire (La Reine Sibile), e dell’Huon de Bordeaux, nonché dei romanzi francesi, sia quelli di argomento classico (in particolare il Roman d’Alexandre, un vero livre de chevet per l’autore franco-italiano, poi il Roman de Troie, e forse l’Eneas, nell’allusione, che potrebbe non essere virgiliana o ovidiana, a Enea che lascia a malincuore Cartagine: vv. 11.815-17; cfr. Finoli 1961, 176), che cortesi, graaliani, per via delle allusioni a Galaad, al Graal, alle «flabes d’Artù» (in particolare la Queste dou Graal nell’episodio dell’incontro fra Rolando e il romito, che precede immediatamente il ritorno dell’eroe tra i Franchi; cfr. Constans 1914, Busken Huet 1918, Finoli 1961, Limentani 1974-75).
A tutte queste opere, sono stati aggiunti in seguito Florie et Blancheflor, la canzone provenzale di Daurel et Beton, Beuve de Hanstone (che, assieme all’Alexandre, sembra essere stato il testo che il Padovano ebbe più presente; cfr. Limentani 1983a, 182-183), la Vita di San Macario, le leggende di san Paolo primo eremita e di san Giovanni eremita, (Torraca 1923, 218; Limentani 1976, 18); la leggenda di Giovanni Boccadoro o Jean Paulus e i Disticha o Dicta Catonis (Infurna 2006); il Divisament dou monde (Il Milione) di Marco Polo (Torraca 1923, 169-172; Limentani 1983a). Studiando, inoltre, l’arte della comparazione nel poema, Limentani 1979 ha suggerito che l’anonimo Padovano potesse aver conosciuto la Divina Commedia, aspetto che permetterebbe di precisare la datazione della canzone.
Ma la cultura dell’anonimo padovano si dispone in uno spettro ancora più largo, perché l’attribuzione di convinzioni o sapere astrologico-astronomico a vari personaggi sia pagani che cristiani (Rolando, in primo luogo, che è esperto nell’arte fisionomica) potrebbe essere la spia di un indottrinamento e di un interesse da parte del Padovano per quella cultura astrologico-astronomica, padovana o mantovana, rappresentata dalla trattatistica di Pietro d’Abano (Limentani 1979).
Si rilevano infine nell’Entrée delle allusioni alla storia del XIII e del XIV secolo in generale e alle minacce turche che pesano su Bisanzio e sull’Europa orientale in particolare (Limentani 1980a).
L’ammirazione per la cultura dell’anonimo Padovano non deve tuttavia distogliere l’attenzione dall’Entrée come poema autonomo, costruito su una rete densa di corrispondenze interne. Nancy Bradley-Cromey 1977-1978 ha dimostrato come il conflitto fra Carlomagno e Rolando sia sapientemente tenuto insieme dal Padovano lungo l’estensione dei primi diecimila versi del poema e come la soluzione di questo conflitto differisca da quelle che si conoscono nelle canzoni di gesta anteriori. L’organizzazione narrativa dell’Entrée di fatto rispecchia in più di un elemento quella del Roland, specie nella parte iniziale: corte di Carlo e disputa dei baroni in parallelo con la corte di Marsilio, intervento audace e iroso di Rolando, ecc., ma il poeta è in grado «di imprimere al carattere del protagonista una sensibile evoluzione, grazie alla ricchezza e modernità degli interessi culturali che “informano” la sua creatività letteraria» (Limentani 1976, 14).
Di grande interesse sono le modifiche apportate a scene, motivi e personaggi tradizionali. Ciò riguarda in particolare, appunto, il personaggio di Rolando, protagonista assoluto del testo, che il Patavian rimodella sui tratti di Alessandro Magno, campione di liberalità e generosità (largesce), che contribuisce a renderne più mossa la personalità e sfumato il carattere (Infurna 1999 e 2001). Il Rolando che l’anonimo propone come modello ai signori dell’Italia padana, in quanto emulo della figura del grande condottiero macedone, viene dotato di una prudenza, di una sagacia politico-amministrativa e di una sapienza, che completano il personaggio, per tradizione prode ma non saggio. Rolando è «le ber plains de dotrine» (v. 3402) che disputa dottamente di teologia, cita sentenze latine, conosce le lingue orientali. Ma la cultura di Rolando contempla anche un versante schiettamente mondano, fatto di perfetta cortesia e di raffinati costumi con i quali addirittura introduce nella corte persiana il modo occidentale di stare a tavola.
Per quanto riguarda la ricchezza della tecnica letteraria dell’Entrée, sono stati messi in rilievo, fra l’altro, i dialoghi e i discorsi, l’invenzione metaforica, le similitudini e le molteplici comparazioni, spesso anche di struttura complessa (per collationem), che, proponendo un’immagine domestica, feriale, «apportano una nota giocosa nella partitura epica» (Infurna 2011, 28).
Fortuna
Del successo del poema resta una documentazione solida in ambito signorile.
Dall’inventario dei beni mobili di Francesco I Gonzaga, stilato nel 1407, si sa che il duca possedeva ben tre esemplari dell’Entrée, dei quali uno solo ci è pervenuto. Questa abbondanza non permette tuttavia di provare che l’Entrée sia stata composta a Mantova per i Gonzaga.
Che l’Entrée abbia goduto presto di una certa fortuna in ambito signorile lo dimostrano anche la Continuazione del poema, composta da Niccolò da Verona, il quale era in rapporti con Niccolò I d’Este, marchese di Ferrara e, poco più tardi, l’Attila di Nicola da Casola, profugo a Ferrara dopo il colpo di mano dei Visconti, nonché l’Aquilon de Bavière di Raffaele da Verona, legato a Giangaleazzo Visconti, che isola l’Entrée fra gli altri originali franco-italiani.
Lingua
Al v. 2799 l’anonimo dichiara di voler rimare le storie delle battaglie della Cronaca turpiniana in versi François, senza che vi sia mot Bergognon; ambizione “puristica” velleitaria, considerati i molti deragliamenti dalle norme dell’antico francese. Alla straordinaria competenza lessicale non corrisponde quella grammaticale. Se ai poco attenti copisti si possono attribuire numerosi errori, la metrica consente tuttavia di accertare la disinvoltura con cui l’anonimo tratta fonetica, morfologia e sintassi del francese antico. Solo qualche esempio fra i moltissimi: nella stessa lassa possono rimare forme in –e– e in –ie– (blesmer 2600 : aprochier 2601); la scarsa attenzione per le regole della declinazione bicasuale è evidente nel caso degli imparisillabi (seignors 228 per sire, meilor 2844 per mieudre); nel caso dei pronomi possessivi tonici e atoni non è sempre rispettata la distinzione di genere (le son partire 676, son “ses” braiz 1063, son “leur” segnor 1318, ecc.); a livello sintattico: incertezza sul genere di taluni sostantivi, come mer (dela la mer salé 12082), soir (une soir 4501); confusione fra III pers. sing. e plur. (Li campions lor bataille enforça 4071, Les dos barons s’anjenoille 4299, dui merceant entra 11510); frequenti casi di sillessi (Cascuns se vont ofrir 329, nostre gient sont coie 1287, ecc.); il pronome indefinito nul non è seguito dalla negazione, Nuls se desflote 775. Fra i numerosissimi italianismi, si segnalano le forme pousons e puison (Ia pers. plur. del pres. ind. di pooir) per influenza dell’it. possiamo; in rima servon 15640 al posto di servent.
Manoscritti
I manoscritti fino ad ora noti dell’Entrée d’Espagne sono tre:
Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, francese Z 21 (257)
Châtillon, Biblioteca del Castello di Châtillon (Valle d’Aosta), Archivi dei conti di Challant
Reggio Emilia, Biblioteca Municipale «A. Panizzi», Mss. vari E. 181
Bibliografia
Edizioni
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Crediti
Scheda a cura di Serena Modena.
Ultimo aggiornamento: 14 marzo 2023.
Contributi di Paolo Gresti, Francesca Gambino e Leslie Zarker Morgan.