Suite franco-veneta della “Continuazione del Roman de Guiron” (ms. X)
- Titles
- Suite franco-veneta della Continuazione del Roman de Guiron (ms. X).
- Dating
- sec. XIV, seconda metà.
- Incipit
- [E]n tel maniere come je vos cont, dapois che la dame de Malohat avè fait tan de honor a monsegnor le roy Artus quant elle plu poit;
- Explicit
- Mo ora lasa le conte a parler de le bon chivalier che Lach est apellé e retornes a le damisel per contier de luy la istoria veraxie. Amen.
- Form of the text
- Prosa.
- Language
- Franco-veneto.
- Topic
- Avventure di Artù, Guiron, Lac, Helianor, Gauvain, Blioberis, Keu, Meliadus, Bon Chevalier sans Peur. Erranza del giovane Artù; liberazione di cavalieri imprigionati.
- Type of text
- Racconto arturiano in prosa. Si tratta di una suite – redatta in franco-veneto nell’unico testimone noto – aggiunta a conclusione della Continuazione del Roman de Guiron, che è trasmessa in forma incompleta nei manoscritti. Il narratore di questa suite si incarica di portare a compimento le linee narrative lasciate aperte nella Continuazione relativamente alla sorte di alcuni cavalieri imprigionati.
Testo
Il testo, tramandato da un unico manoscritto al momento irrintracciabile, contiene la suite e la conclusione del cosiddetto Roman de Guiron, seconda branche del ciclo di Guiron le Courtois. Alla fine del romanzo, le linee narrative intrecciate nel corso del lunghissimo racconto danno luogo a una serie di imprigionamenti (ed. Stefanelli 2020, § 1401). Alcuni manoscritti proseguono dunque con una Continuazione (ed. Veneziale 2020), nella quale il giovane Artù si incarica in prima persona delle ricerche dei cavalieri imprigionati. Verso il termine della Continuazione Guiron è obbligato da un giuramento a rimanere nelle carceri del crudele Calinan, mentre Lac risulta ancora prigioniero della dama di Malohaut.
La suite franco-veneta contiene quindi un tentativo di dare conclusione al racconto, con la definitiva liberazione di tutti i cavalieri. Nel mettere in atto questa operazione, il narratore cade però in diverse incongruenze (ad es. rispetto alla sorte di Meliadus e del Bon Chevalier sans Peur) e, nel finale, accelera il passo verso un lieto fine che appare piuttosto frettoloso. Questi elementi, insieme ad alcune discontinuità di ordine stilistico, sembrano escludere che l’autore sia il medesimo – peraltro anonimo – della Continuazione.
Quello della suite franco-veneta è un caso più unico che raro nel panorama della narrativa arturiana in prosa: mentre esistono numerose copie francesi esemplate in Italia e caratterizzate da un tasso di italianismi variabile ma relativamente contenuto, non sono noti altri casi di testi redatti, come questo, in una vera e propria “lingua mista”, in tutto e per tutto paragonabile a quella della tradizione epica, dove elemento veneto e francese si bilanciano.
Non è possibile stabilire se per questa suite il manoscritto (che è la copia di un precedente perduto) attinga a un modello redatto in francese di Francia oppure a un esemplare già composto in franco-veneto. Per mettere a fuoco la postura dell’anonimo autore, è interessante osservare come, proprio mentre si incarica di concludere, il racconto non resista alla tentazione – comune alle prose arturiane – di introdurre un ennesimo, estremo rilancio: nelle ultime righe, infatti, si passa parenteticamente a Erec delle Isole Nere, figlio di Lac, di cui il narratore promette di raccontare le avventure («Mo ora lasa le conte a parler de le bon chivalier che Lach est apellé e retornes a le damisel per contier de luy la istoria veraxie»). Questa ulteriore prosecuzione, però, non è pervenuta.
Manoscritti
Il testo è tramandato da un unico manoscritto, oggi irreperibile, del quale occupa i fogli conclusivi (76rb-79va). Il codice, siglato X da Lathuillère 1966, è appartenuto alla baronessa Alexandrine de Rothschild, che lo aveva ereditato dal barone Edmond alla sua morte, nel 1934. Nel 1944 il codice fu sottratto ai Rothschild dai nazisti e trasferito dal Jeu de Paume a Hohenschwangau. Benché il lotto appartenuto alla baronessa risulti restituito nel 1947, il manoscritto X non figura tra i beni recuperati (cfr. Répertoire 1947-1949).
Negli anni successivi, circolarono alcune foto di X fatte realizzare da Jacques Monfrin forse durante gli anni in cui era conservatore alla Bibliothèque nationale de France (1951-1955) e poi rese disponibili a Roger Lathuillère (ante 1966), stando al quale il manoscritto apparteneva allora «à un collectionneur désireux de conserver l’anonymat» (Lathuillère 1966, p. 11). Nel 1954, intervenendo a proposito del ms. BnF, n.a.fr. 5243, Ilaria Toesca aveva dato in effetti notizia di «un altro romanzo interamente illustrato con gran numero di disegni, forse del Maestro del Guiron; venduto recentemente in Inghilterra; esso si trova attualmente in una collezione privata americana» (Toesca 1954, p. 26, n. 8). Si è tentati di identificare questo codice proprio con X, il cui apparato illustrativo è stato ricondotto da Ilaria Molteni a una fase giovanile del cosiddetto “Maestro del Guiron”, a cui si devono appunto le illustrazioni del ms. 5243 (databili intorno al 1370-1380).
Tra il 2012 e il 2013 i ricercatori del «Gruppo Guiron» hanno potuto recuperare alcune fotografie di X, in parte risalenti al set microfilmato da Monfrin, in parte fotocopiate e giunte a Kay Sutton. Queste fotografie (incomplete nell’insieme) conservano tutte le pagine finali, contenenti la suite franco-veneta.
Una prima mano, italiana (linguisticamente settentrionale) e con caratteristiche paleografiche databili verso gli anni 1330-1340, ha trascritto il testo della Continuazione. Una seconda mano, ancora italiana, linguisticamente veneta e databile alla seconda metà del sec. XIV, ha invece trascritto la suite.
Lingua
Per le grafie, oltre alla transgrafematizzazione di <ch> – che vale tanto per l’occlusiva velare (che cong. e pron. rel., chi pron. interr., e poi chomant 1.5, Pentechost 1.5) quanto per l’affricata dentale/palatale (chival 2.3, poi çival 2.14, çivallaria 11.6; chastel 1.40 e çastaut 3.2) – si segnala soprattutto l’uso del digramma <lh> per la laterale palatale: aparelhé 1.32, 2.12, 4.2, mervilhosa 1.44, accanto a <(g)nh>, per la nasale palatale: monsegnhor 4.2, signhor 9.3. Abitudini grafiche, queste ultime, che in un copista italiano tradiscono forse la frequentazione di testi provenzali.
Una prima serie di tratti indirizza genericamente verso l’Italia padana: così è per la mancata anafonesi: avense 1.25 (‘vinse’), çont 2.4 (‘giunto’), çent 8.12 (‘cinto’); la rappresentazione con <ç> dell’affricata dentale sorda/sonora (<c/g+voc, < j): çentil 1.3, çest 1.3, saçes 1.3 (sages), çoie 1.37 (joie), etc.; tendenza allo scempiamento (dove è possibile con più sicurezza separare l’italiano dal francese): tuta 1.5, fato 7.3, alora 1.26, etc.; sonorizzazione o lenizione delle occl. intervoc.: podessi 1.9, honorevelmant 1.3, segondo 6.8 (anche a contatto con liquida: ongles 3.6, sul fr. oncle).
Per il vocalismo tonico si notino in particolare l’abbondanza di dittongamenti (dalla base latina ma anche a partire dal fr.): ben attestati per la serie velare (muolt 1.2, chuor 1.20, duol 9.5, fuoc 11.8) e quindi per quella palatale: aliegre 6.2, piere 7.12 (< fr. pere <patrem), clier 8.1 (clarum), intrieg 8.4 (intègrum), etc., fino alla serie di infiniti: parlier 1.8, contier 1.44, chantier 8.1, paxier 12.3, etc., ed anche in sede atona: miervelle 1.17. Dittonghi in sillaba libera (ed occasionali iperdittongamenti) sono diffusi in padovano, trevisano e bellunese, mentre parrebbero inibiti in veronese e nel veneziano antico (ma nella lingua lagunare tre e quattrocentesca il fenomeno si estende «oltre i limiti propri del dittongamento spontaneo toscano», Tomasin 2010, p. 58). Dà qualche dubbio un caso di apparente dittongo ou (pous 1.2), che è bilanciato dalle quasi sistematiche forme con dittongo ascendente uo (puo’, dapuo’. In un caso registro anche dapuay 7.16). Sembrerebbe un piccardismo la forma fie 2.20, 2.28, etc. per fois (vicem, -s), che non pare aver riscontro fra gli allotropi settentrionali di fiata.
Dove emerge con più sicurezza il volgare italiano, la metafonesi pare limitata a vuy 1.30, 1.47, 2.7 etc. (anche vu’ 1.16, 1.18, e poi senza metafonesi: voy 1.40, 1.43, 2.11, 7.17. etc.) e du‘ 7.15, Dubbia è la lettura di qui’ 10.3 (il ms. legge qui, ma l’asta di q pare tagliata), che potrebbe rappresentare la forma metafonetica del pronome dimostrativo (quilli). Più significativo può essere il caso isolato di intis 8.28 (contro (je) intés 8.26, 8.30).
Per gli esiti di au primario e secondario, in un caso si registra conservazione: chauxe 8.15 <causa, mentre si ha monottongamento in tole 6.7 <tabulae. L’esito di au + cons. dent. è ol-, come in molte altre varietà settentrionali, venete e lombarde: oldand 1.14, oldì 1.44, olcir 11.6.
In sede atona si noteranno i falsi reintegri di vocali finali conseguenti alla caduta di vocale diversa da –a : da-lle Ysole Nera 1.21, sira 1.47 (sire), mesyra 2.19, bagorde 10.4, assieme alla generale anarchia osservabile nella serie damiçella 1.10, domiçelle 2.30, damosella 2.5 (cui si aggiungeranno mosire 9.4, masire 2.1, contro il maggioritario mesire). Meritevole di registrazione anche la sincope in sede protonica: honestmant 7.9, 7.21.
Per il consonantismo, è compatibile con gli altri tratti veneti l’esito di l+j > j: voie 1.4, voio 8.4, mior 8.25, fiol 8.29, fia 7.21 (filia). Fra i caratteri distintivi della medesima macro-area lo sviluppo di –w– germ > –v-: revarde 7.10, varentar-la 7.21. Il tratto, originariamente veneziano, si estende alla terraferma a partire dalla prima metà del Trecento. Per gli sviluppi del nesso -pl- è dubbio se nelle numerose occorrenze di plu non si tratti semplicemente della forma fr., con caduta di -s finale; si segnala anche un caso di piant 12.8 ed uno di piaçe 6.6 (ma la lettura qui non è sicura). È più delicata l’interpretazione delle forme seguenti: veth 9.18, vech 9.22, 11.1 (sempre nel sintagma vech chivalier): si tratta, nei tre casi, degli esiti del latino volgare veclu (vetulum), ma resta dubbio se il digramma <ch> finale stia qui per un’esecuzione velare o palatale e se, nel secondo caso, non si debba tener presente l’influsso del francese. Di una fase di passaggio verso l’esito palatale potrebbero testimoniare le forme çenoglon 2.28, çonoglon 8.18 (entrambe dal radicale *genoclu).
Dato il contesto misto francese/veneto, è difficile pronunciarsi anche su alcuni aspetti della flessione verbale: le seconde persone plurali del pr. ind. savé 1.18, 11.2, vollé 1.8 (con –é < -etis) possono rinviare tanto al veneto (e, più nello specifico, al veneziano) quanto al fr. savez, volez, con caduta di cons. finale, fenomeno già intervenuto in fr. alla fine del sec. XIII. Per la stessa ragione non hanno valore differenziale i casi di 2a p.p. in –é < -atis: amé 1.16, chavé 1.31 (ma anche voy pensà 2.11.), né i casi di congiuntivo (questa volta senz’altro del volgare it.) sapié 2.14, 7.17, 8.22. Potrebbero allontanare da Venezia, indirizzando verso la terraferma, i participi tronchi abù 1.7, clamà 11.1, paxà 2.30, sapù 1.5, tornà 11.1.
Per il paradigma di estre/eser, si rileverà la forma del pf. ind. fo, genericamente settentrionale. In un caso si riconosce dietro a sè la 3a p.s. del pr. ind. veneto xè: «celle fontaine che sè a l’entrier de çest deserte» (8.21). L’impf. ind. iera 3.8, 4.1, 6.1, 8.28, etc., se non dipende dal fr. iert, trova corrispondenza in diverse varietà italiane. Significativa è invece la coincidenza di forme di 3a p. sing. e plur. (comune a tutta l’area veneta); si veda ad es.: (8.24) «je demande la damixelle chi è li do chivalier». Inoltre hanno soggetto plurale i verbi seguenti: se vene 2.15, fu aparellé 2.20, demene 2.20, se achorda 7.8, entés 7.10, reman 7.10, se conbate 8.24, etc..
Passando ad altre categorie di fenomeni, registreremo l’assenza di vocale prostetica in sbaïde 1.17, scuder 2.5, sponer 3.7, schu 2.14, etc. Sono degne di nota alcune forme verbali e nominali aprefissali (re[ç]tar 8.30 ‘arrestare’, riva 10.2 ‘arrivò, arriva’, me stallay 8.23 < antico-it. astallarsi, ventura 1.21), ed altre con prefisso (avense 1.25 ‘vinse’, ariva 2.3, aventura 2.34, 2.35, etc.). Genericamente settentrionale è la metatesi di –r-: intrieg 8.4 (intégrum). Ben attestata in testi fr.-it. di base settentrionale è anche l’anaptissi di –r-: mexariera 2.7, arsaÿ 11.6 (assailli). A queste dinamiche potremmo rinviare frondre 2.20, dietro cui s’intuisce facilmente il francese fouldre: su questa base può essersi prodotta una dissimilazione l>r (con arretramento per metatesi) ed un’anaptissi di –n– (fenomeno diffuso in tutto il settentrione), oppure anche una banale svista di copia u>n. L’uscita in –mentre degli avv. (loialmentre 1.47, maormentre 6.4, solamentre 7.14) è diffusissima nei testi veneziani antichi, ma non è sconosciuta, già nel Duecento, ad altre varietà venete e lombarde. La congiunzione mo 1.24, 2.16, 3.8, etc., di valore avversativo (‘ma’) è più diffusa sulla terraferma che in veneziano (dove pure è sporadicamente attestata, cfr. Stussi 1965, p. 230a). Segnalo che dev’essere distinto da questa forma l’identico esito grafico che, dopo la caduta della dentale finale (cfr. mot 5.7, 9.14), si ha da multum: mo· novellemant 9.19. Diverso ancora è il caso di mo’ 10.5 < modo. Per l’art. det. è decisamente maggioritario il tipo lo 1.4, 1.8, 1.12, 1.19, 1.22, 1.25, etc. (mai el art.). Da osservare poi che la preposizione inper 1.9 ha attestazioni quasi esclusivamente venete trecentesche (Vangeli veneziani, Esopo veneto; un unico caso lombardo in Pietro da Bescapè).
Venendo alle osservazioni sintattiche, sono degne di nota le frequenti subordinate temporali costruite con gerundio o p.p. ad inizio periodo, estranee all’uso della prosa cavalleresca francese, sul modello dell’ablativo assoluto latino. Per il gerundio si osserveranno i casi che seguono: (1.3) «Estant le roy Artus in çest parllemant…», (1.6) «Ora, sapiant le roy Artus che…», (1.7) «Estant le roy Artus in parolla…», (1.14) «E oldand cest parole…», etc.. Per il participio passato: (1.34) «Trat de prexion le bon chivalier…», (6.1) «Çont mesire Galvan a lo rey Artus…», (8.2) «E, chantié la messe, le roy mont a chival…», (12.8) «E çont le damisel a-lle Ysolle Nore…». Registro poi alcuni casi di paraipotassi: (8.11) «E parlant li do chivalier in tal maniere, e lo roy Artus cognoys monsegnor Chiés…», (7.16) «Monsegnor, e vel diray dapuay che vos so’ desirés de savoyr». Si dà, infine, il seguente costrutto anacolutico: (11.1) «le bon chivalier che Lianor se fayt apellé, le vech chivalier, Deus l’a clamà a sy e pasé d’esta mortel vie».
Per il lessico (oltre ad una serie di verbi di moto smaccatamente italiani: çir 2.3, çonçer 2.4, 3.7, etc., ma anche repairer, esteso a contesti estranei al formulario del romanzo francese, ad es. 10.1), devono essere commentate almeno le forme seguenti:
– aintin 2.31: dietro il sintagma e san e aintin sta certamente l’endiadi sinonimica del francese sain et haitié (< germ *haid), per quanto non risulti immediatamente razionalizzabile l’esito fonetico dell’hapax franco-veneto. In Niccolò da Verona si trova un caso di aitis: potremmo pensare qui ad una forma analoga, con epentesi di –n– e reintegro anetimologico di una cons. finale non pronunciata.
– bagorde ‘bagordi’ (10.4, contesto: « …tant fu le fest e-lle bagorde e le torniamant… »): è un chiaro venetismo, ben attestato in veneziano (Tristano Veneto) ma anche in testi veronesi.
– baille 11.8 ‘tutore’: si può ipotizzare un mascheramento dell’it. balio, se non ad un incrocio con il fr. bail.
– gaça 10.7 ‘età’ (contesto: «Tristan aveva de gaça çerche .ix. ans»): il sintagma de gaça, che è un hapax, ricalca senz’altro il francese de age, dove –g– si sarà introdotto per risolvere l’incontro di vocali in iato (come accade per –h– nel fr. ahage).
– inquest 1.26 ‘ricerca, quête cavalleresca’: si tratta del fr. queste incrociato con l’it. inchiesta.
– lonça ‘(pelle di) lince’ o ‘fodero’? Pone qualche problema il caso di 2.14 «avoy covert le lor schu de una lonça vermelle». Non si comprende se per l’autore (o per il copista) franco-italiano il sostantivo lonça valga qui ‘(pelle di) lince’. È evidente, infatti, che dietro al fr.-it. si nasconde un’espressione del formulario cavalleresco francese (caratteristica della topica dell’incognito): «il avoit couvert son escu d’une houce [+agg. che determina il colore]». Il fr. houce (<germ. *hulftia) avrebbe riscontro nell’it. uzza (‘veste’, in Dante e Cavalcanti). Nel caso nostro, se non vogliamo pensare (come sembra preferibile) ad una svista paleografica (houce > louce > lonce) poi cristallizzatasi in questo hapax, dovremmo ipotizzare che nella forma fr.-it. sia avvenuta la concrezione dell’articolo det. assieme alla solita epentesi settentrionale di –n-.
– nievo 3.4 ‘nipote’: la forma, che continua il nominativo nepos, è spiccatamente veneta (anche nevo): moltissime occorrenze con dittongo si registrano nel Tristano Veneto.
– [staller soi]: nel contesto di 8.23, «e aprés je me stallay por voyr qual di chivalier aveva el millor della batailla», il vb. italiano soggiacente sembra essere astallarsi (cfr. REW 8219) ‘fermarsi’, che ha riscontro in diversi dialetti antico-italiani.
– tenpore 5.1 ‘tempo’: può spiegarsi come latinismo (se non vi è un problema nell’abbreviazione della liquida: il ms. ha tenpe sormontato da tratto ondulato).
Non è perspicuo come si debba spiegare la seguente tournure: (2.21) «li chivalier de grignor força si urtano chorp permé chorp (= ‘corpo a corpo’)»., dove il formulario francese prevederebbe corp contre corp (il fr. parmi né l’it. per mezzo, per me’ sembrano adeguati al contesto). Nel caso di 9.8 «Ora sacés ch’el è romas molt fery de asé plait, unde de’-ll’aconpagnar a uno chastel ch’è pres de ci…», può non risultare subito chiaro il senso del sintagma de asé plait, che dipenderà dal fr. du plat [de l’espee] ‘di piatto’ (ad indicare un colpo vigoroso ma non mortale), mentre la consecutiva sarà da tradurre: ‘…cosicché dovetti accompagnarlo ad un castello…’.
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Edizioni
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Crediti
Scheda a cura di Claudio Lagomarsini
Messa in linea: 23 aprile 2021.