La Geste Francor, Berta da li pe grandi, prima metà XIV s., Nord-Est (ed. Scattolini)
Berta da li pe grandi, a cura di Michela Scattolini, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2009 («Gli Orsatti», 31).
Edizione digitalizzata e traduzione a cura di Michela Scattolini
Marcatura digitale a cura di Luigi Tessarolo
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l testo di Berta da li pe grandi occupa i fogli 7r-16v di V13, ed è inserito a metà di Bovo d'Antona, che risulta quindi spezzato in due tronconi. Come già abbiamo ricordato, all'interno del codice i testi si susseguono come un unico continuum narrativo, e il passaggio da una materia all'altra è segnalato solamente da versi di raccordo, del tutto analoghi a quelli che all'interno dello stesso testo segnalano un cambiamento di setting o il passaggio ad un nuovo segmento narrativo.
Il passaggio da Bovo I a Berta è sottolineato, ai versi 1160-1164, da questa sutura narrativa:
Quilois lairon de li rois de li Franc
e de Bovo lasem ensemant
qe nu li contaré asà plus ça davant.
De li rois Pepin nu diron primemant
con ten sa cort meravilosa e grant.
Anche la rubrica successiva funge da raccordo:
Oldu avés de Bovo e coment avoit fine e como
el oit Drusiane recovré en Antone.
En ceste punto de lui avion laseré
e de li rois Pepin buem est qe vu saçé
con primamant fo marié.
Analoga la transizione da Berta a Bovo II, che consiste in altri cinque versi di raccordo a fine lassa (cfr. n. 56); le due rubriche seguenti, però, sono entrambe riferite ad eventi precedenti nella vicenda di Berta, cosicché l'ultima rubrica che si può considerare parte di quest'ultima è collocata, per una serie di errori del rubricatore, dopo un'intera lassa di Bovo d'Antona («Coment la raina d'Ongarie fu repariée / en sa tere et a li rois contoit la novelle»). Si registrano numerosi errori di questo tipo: le rubriche dopo le lasse I, II e III riassumono in realtà il contenuto della lassa che le segue (anziché, com'è usuale nel testo, di quella che le precede); dopo la IV la rubrica manca, e da quella successiva la sequenza lassa-rubrica relativa è ripristinata. Dopo la lassa XXXVI di nuovo manca la rubrica, erroneamente apposta alla lassa successiva, cosicché tutte quelle seguenti risultano sfalsate in avanti, il che spiega la presenza dell'ultima rubrica di pertinenza di Berta dentro al testo proprio di Bovo d'Antona. Se le rubriche non sono sempre coerenti con le lasse cui dovrebbero riferirsi, in esse in generale il contenuto e la lingua sono più faticosi rispetto al resto dell'opera; accanto ai dati paleografici (caratteristiche del ductus, utilizzazione dello spazio), la probabilità che non solo la mano, ma anche gli autori siano diversi è suggerita anche dall'utilizzo nelle rubriche di forme lessicali e grafico-fonetiche estranee al testo delle lasse.
Il testo mantiene le coordinate formali della chanson de geste, e si compone di cinquantuno lasse rimate di lunghezza estremamente variabile. La metrica è straordinariamente irregolare, e nei versi la misura di riferimento del décasyllabe è trasgredita in maniera così frequente (secondo un arco di possibilità che va dalle sette alle quattordici sillabe) da rendere inapplicabili i concetti di ipermetria ed ipometria. La lingua di Berta da li pe grandi si presenta come un caso di Mischsprache piuttosto equilibrato, in cui l'interferenza linguistica si manifesta a tutti i livelli, fonetico, morfologico e sintattico; dal punto di vista lessicale, la quasi totalità dei termini ha matrice francese, ma è adattata graficamente al contesto linguistico dell'italiano settentrionale (si veda il caratteristico uso di <ç> per rendere i francesi
Date le caratteristiche di fluidità ed oscillazione della lingua, abbiamo adottato dei criteri di edizione piuttosto elastici, che ci consentissero una soluzione quasi caso per caso. In generale, abbiamo deciso di tenere presente il doppio riferimento ai sistemi linguistici francese ed italiano, adattando la resa grafica al sistema su cui la singola formazione analogica è modellata: ad esempio, non accentando -a finale nella terza persona del futuro, giacché trattasi di forma francese e quindi di per sé ossitona, ma accentando -ò alla prima persona, perché il rimando è alla forma italiana (analogamente, le seconde persone plurali sono sempre accentate sia quando finiscono in -é sia quando terminano in -ì, perché fanno riferimento alla forma tronca francese). Abbiamo regolarmente sciolto il titulus in
I | |
Il re Pipino con i suoi baroni | |
teneva gran corte nel suo palazzo a Parigi | |
e ciò accadde a Pentecoste dopo l’Ascensione. | |
C’era gente di molte regioni; | |
5 | Aquilone di Baviera istruiva e consigliava tutti |
e con lui Bernardo di Clermont, | |
il prode Rainero e il conte Grifone. | |
La corte fu grande, mai nessuno ne vide una maggiore. | |
Cavalcano e giostrano, regalano roba in quantità; | |
10 | l’uno dice all’altro: «Perché lo dovremmo nascondere? |
La corte del re non vale un bottone | |
quando egli non ha una dama al fianco, | |
dalla quale avere figliolo o ragazzo | |
che dopo la sua morte e il suo decesso | |
15 | sia nostro re come dev’essere |
e mantenga in pace il suo regno, | |
e grazie a lui ci venga protezione». | |
Grande fu la corte tutto attorno. | |
Quando il re vuole montare in arcione | |
20 | con lui salgono più di mille baroni, |
tutti figli di cavaliere, di duca o di conte; | |
ma secondo al re non ci fu nessuno | |
che fosse tanto importante quanto Aquilone, | |
che è duca di Baviera, di quella regione: | |
25 | in tutta Alemagna non ha pari. |
E con lui ci fu Bernardo di Clermont, | |
e Morando da Riviera e il duca Salamone. | |
Ora state quieti, così udirete questa canzone | |
su diverse cose che vi racconteremo, | |
30 | tradimenti tali che mai nessuno ne udì uno uguale: |
e a causa di una dama crebbe una tale tenzone | |
che ne morirono più di mille baroni, | |
e tutta la Francia fu in tal lotta | |
che non fosse stato Dio a farne redenzione | |
35 | l’intera cristianità sarebbe stata distrutta: |
fino a Roma giunse la persecuzione. | |
Come fu grande la corte del re Pipino, | |
e il re e i baroni che la guidarono, e del giullare. | |
II | |
Grande fu la corte, meravigliosa e ricca, | |
che il re Pipino fece riunire. | |
Sono molti i baroni e i cavalieri, | |
40 | li ha mandati a chiamare da tutta la regione; |
sono venuti molti suonatori e giullari | |
ed altra gente, fanti e baccellieri, | |
per vedere la corte e per i tornei; | |
e per vedere ballare e danzare | |
45 | sono venuti in più di diecimila, |
e tutti hanno da bere e da mangiare. | |
Non ce ne fu uno, fosse il più vile, | |
cui fosse detto di tirarsi indietro. | |
I cavalieri giostrarono per il giardino | |
50 | e per amore delle dame gareggiarono in tornei: |
allora avreste potuto vedere in mostra molti abiti | |
di diversi colori di drappi e di zendado, | |
che poi furono donati ai giullari | |
così da ottener fama nei paesi stranieri. | |
55 | Ma ci fu un giullare che fu il più nobile |
e che era abbigliato a mo’ di cavaliere, | |
ed era più famoso nelle corti dei principi | |
di chiunque altro faccia quel mestiere. | |
Sapeva ben giostrare e fare tornei | |
60 | e ben parlare e ragionare molto bene. |
Non c’è corte di là o di qua dal mare | |
che, se ci volesse andare e viaggiare, | |
lì non abbia più onore degli altri; | |
così fa doni a coloro cui vuole donare. | |
65 | Conosce lingue di molti tipi; |
in Ungheria aveva avuto un incarico importante, | |
e quel re che la governa | |
a meraviglia lo amava e lo aveva caro. | |
Dell’Ungheria sa chi esce e chi entra: | |
70 | così conosce i figli e i fratelli del re, |
e allo stesso modo sua moglie Belisant. | |
E ha visto sua figlia che riceve grandi lodi, | |
bella e cortese come un giglio di giardino; | |
la sua bellezza è tanta che nessuno la può criticare. | |
75 | Ma ha una cosa che la rende famosa: |
si fa chiamare Berta dai piedi grandi, | |
da quand’era piccola così la chiamò sua madre. | |
E chi vorrà ascoltare questo romanzo | |
e lo vorrà seguire con senno | |
80 | potrà udire di chi fu madre: |
da lei nacque l’imperatore Carlo, | |
che poi fu re di tutto il mondo battezzato. | |
Ma prima ch’egli avesse a governare, | |
da fanciulletto fu costretto a fuggire, | |
85 | non ci fu terra che osasse accoglierlo: |
a Saragozza con turchi e schiavoni | |
gli convenne rimanere e trattenersi; | |
suo padre fu ucciso e così Berta sua madre, | |
ché i suoi due fratelli li fecero avvelenare. | |
90 | Ma ci fu un valoroso cavaliere |
che mai non lo volle lasciare né abbandonare, | |
e quello fu Morando da Riviera; | |
e il re Galafrio lo fece allevare, | |
lo faceva mangiare insieme a Marsilio. | |
95 | Non posso raccontarvi tutti i fatti, |
come se ne fuggì quietamente di nascosto: | |
lo condusse via Morando da Riviera, | |
per la paura di quei malvagi pagani | |
100 | che lo volevano uccidere e distruggere; |
con sortilegi si riuscì a vedere e scoprire | |
che avrebbe regnato su tutto l’impero | |
ed essere re di tutto il mondo battezzato. | |
Fino a Roma all’altare di San Pietro | |
lo condusse Morando da Riviera, | |
105 | con il re che fu padre di sua madre |
gli venne in soccorso con diecimila cavalieri; | |
e Lanfré e Landros che erano entrambi suoi fratelli | |
lo fecero scacciare dal regno, | |
e perciò furono uccisi, come sentirete raccontare. | |
110 | E come Dio il giudice veritiero |
mandò il suo angelo chiamato Gabriele, | |
che per prima cosa incoronò Carlomagno | |
con la corona del santo impero; | |
perciò dovete ascoltare volentieri questa canzone. | |
Come il giullare parlò al re Pipino | |
e gli raccontò della bellezza di dama Berta, e di suo padre. | |
III | |
115 | Gran meraviglia fu quel valente giullare: |
saggio e cortese e di bell’aspetto, | |
e sa ben parlare in lingua romanza; | |
sa gli affari di tutte le corti | |
e conosce le basi della faccenda. | |
120 | Viene davanti al re, e gli dice ridendo: |
«Ah! Sire, re di Francia, siete molto potente, | |
la vostra corte è bella e meravigliosa, | |
non ce n’é una più grande in tutto il mondo battezzato; | |
se anche cercassi fino a Gerusalemme | |
125 | non ne troverei una che abbia altrettanti baroni. |
Ma non la potete stimare il valore di un bisante | |
quando non avete al vostro comando una dama | |
dalla quale avere un figlio e un fanciullo | |
che dopo la vostra morte mantenga il regno. | |
130 | E se ne aveste desiderio |
vi racconterei di una cortese ed avvenente, | |
ed è figlia di re così come lo siete voi; | |
in oriente non c’è dama più bella, | |
né più saggia, se la madre non mi mente. | |
135 | Ha però una cosa che non stimo per nulla: |
ha i piedi molto più grandi | |
di qualunque altra donna della sua condizione: | |
Berta dai piedi grandi, così la chiama la gente. | |
E sua madre ha nome Belisant, | |
140 | al mondo non c’è regina più nobile; |
suo padre è re della grande Ungheria». | |
Il re lo ascoltò, si mise a ridere gentilmente, | |
e al giullare mostrò un viso allegro; | |
per questo discorso egli non perse nulla, | |
145 | gli fece donare vestiti e bardature |
e poi un palafreno che va all’ambio. | |
Come il re Pipino ebbe gran gioia per le parole | |
che gli disse il giullare, e chiamò la sua gente. | |
IV | |
Quando il re Pipino ode il discorso | |
che quel giullare ha raccontato, | |
a meraviglia gli piace e lo soddisfa | |
150 | e sa bene che il giullare non dice sciocchezze. |
Ha il cuore infiammato da quelle parole: | |
non appena quello ha finito il discorso | |
il re Pipino non lo dimentica affatto; | |
si raccomanda a Dio il figlio di Maria, | |
155 | e al giullare fa fare grande cortesia |
di ricchi abiti, di palio e di sciamitto, | |
gli dona un palafreno con la sella dorata. | |
Il re gli ha promesso la sua fede | |
che se se accadrà e si compirà | |
160 | ch’egli abbia quella donna per amica |
e la prenda in moglie, | |
gli donerà tanti averi e ricchezze | |
che ne avrà a sufficienza per tutta la vita, | |
non avrà mai più bisogno di fare giullaria; | |
165 | e il giullare lo ringrazia molto bene. |
Il re Pipino non tardò affatto | |
né lasciò la cosa in oblio: | |
fa chiamare i suoi baroni | |
e con loro i suoi cavalieri, | |
170 | Aquilone di Baviera, di cui si fida così tanto, |
e Bernardo di Clermont dal volto ardito, | |
Morando da Riviera e il conte di San Çie; | |
ascolta più di cento baroni: | |
«Signori», dice, «non mi tratterrò dal dirvelo: | |
175 | vi chiedo consiglio per ottenere la compagnia |
di una dama che viene dall’Ungheria, | |
è figlia del re, saggia e rispettata. | |
Se mi donate questa dama, farete cortesia; | |
forse il figlio di Santa Maria vorrà | |
180 | ch’io abbia da lei un figlio o una figlia |
che governerà questo regno quando io sarò morto». | |
V | |
Il primo che parlò fu il duca Aquilone | |
che teneva la terra tutta attorno | |
e che fu padre del duca Namo. | |
185 | Si alzò in piedi, si appoggiò ad un bastone, |
davanti a Pipino fece un discorso: | |
«Nobile re, perché ve lo dovremmo nascondere? | |
Grande è il vostro regno e grande il paese, | |
siete più famoso di qualunque altro re del mondo, | |
190 | avete molti cavalieri e baroni; |
se voi moriste senza figliolo o fanciullo | |
fra di noi sarebbe disputa e lotta: | |
quelli di Maganza e quelli di Besançon, | |
e quelli d’Austria con quelli di Clermont, | |
195 | ciascuno di loro chiedererebbe la corona; |
ma se alla vostra morte avrete un erede | |
questo non potrà accadere per nessun motivo. | |
Ora prendete il consiglio che vi do | |
e non credete a parola di briccone: | |
200 | prendete una dama di qualche regione |
che sia figlia di re o di conte; | |
e non ce n’è una da qui a Carfaraon, | |
se la vorrete, che non via sia data in sposa | |
con grandi ricchezze e una gran dote». | |
205 | E dice il re: «Vi ascolto bene, Aquilone; |
i vostri consigli li ho sempre trovati buoni, | |
mai mi diceste nulla che fosse un tradimento | |
né che facesse ad alcuno altro che bene». | |
Come il duca Aquilone di Baviera fu il primo a consigliare Pipino. | |
VI | |
Bernardo de Clermont si alzò in piedi. | |
210 | Era un uomo saggio, era molto rispettato; |
fu padre di Milone, come sapete, | |
e quel Milone fu padre del grande Rolando, | |
ed ebbe per moglie la saggia Berta. | |
Quando fu cacciato dalla corte | |
215 | da lei nacque Rolando, così come udirete |
prima che questo romanzo sia del tutto finito. | |
E Bernardo parlò da uomo saggio e stimato: | |
«Nobile re, sappiate in verità | |
che non so affatto cosa mi domandiate; | |
220 | Aquilone vi ha donato un consiglio tale |
che non sarò certo io a correggerlo. | |
Quello che volete fare fatelo però in breve, | |
di prendere una dama saggia e rispettata. | |
Ora dite se avete pensato | |
225 | a qualcuna in tutta la cristianità». |
«Sì, l’ho fatto», disse il re, «se lo gradite: | |
è figlia di un re e di nobile parentela | |
d’Ungheria e di quel regno. | |
Se me la concede saremo felici e lieti, | |
230 | ché un giullare che è venuto qui |
per vedere questa corte e la nobiltà | |
mi ha detto e raccontato tutta la sua storia: | |
che la dama non ha nessun difetto, | |
se non che ha i piedi un po’ grandi. | |
235 | Neppure per questo voglio che restiate |
dal domandarla, ché può ben averli». | |
Il barone rise, così ne scherzava. | |
Disse il re: «Non la considerate viltà; | |
se Dio mi fa la grazia che non mi debba rifiutare, | |
240 | perché sono piccolo e deforme, |
sarò nobilmente maritato». | |
Come parlò Bernardo de Clermont. | |
VII | |
Si alzò in piedi Morando, | |
quello di Riviera, che ha una grande signoria: | |
migliore di lui non c’è nessuno in tutta la cristianità. | |
245 | Disse al re: «Mio signore, ascoltate questo: |
vedete Aquilone che vi ha consigliato, | |
non c’è uomo migliore in tutta cristianità, né mai ci sarà. | |
Prendete quei messaggeri che si converrà; | |
mandateli in Ugheria, chiederanno la dama | |
250 | a quel re che l’ha generata, |
che l’ha allevata e che ne ha cura. | |
Se egli ve la concede, ve la porteranno; | |
altrimenti, torneranno indietro». | |
Disse il re: «Chi potrò mandare laggiù, | |
255 | e chi mi darà consiglio su questo?» |
Disse Aquilone: «Ci ho già pensato, | |
cosicché nessuno l’impedirà. | |
Voglio essere io quello che farà la richiesta; | |
Bernardo di Clermont verrà con me, | |
260 | e Morando da Riviera che ci accompagnerà, |
e Grifone d’Altafoglia che il re amò tanto». | |
Furono dodici quelli che Aquilone contò, | |
tutti i migliori che c’erano a corte; | |
non ci fu nessuno che si scusò, | |
265 | ciascuno ci andò di buon grado. |
Male incolga a chi si lasciò pregare! | |
Ognuno si bardò di ricchi abiti | |
e ciascuno mostrò la sua potenza. | |
Come Morando da Riviera | |
diede il consiglio. | |
VIII | |
Aquilone di Baviera e gli altri ambasciatori | |
270 | per compiacere il re che è il loro signore |
fanno fare per sé abiti di diversi colori, | |
per i palafreni selle dipinte a fiori | |
tutte dorate dell’oro migliore. | |
Mai si vide un’ambasciata simile: | |
275 | di dodici baroni quello che è il minore |
aveva da custodire un ricco castello e una torre | |
e una ricca città grazie ai suoi antenati, | |
che mai non chiesero altro compito | |
a Dio e a Pipino che è il loro signore. | |
280 | Il re disse loro dolcemente, per affetto: |
«Ascoltatemi, miei ambasciatori, | |
vi voglio pregare per il Dio creatore | |
e per quanto vi importa del mio amore, | |
che con il re d’Ungheria non siate mentitori, | |
285 | diciate il vero, non siate bugiardi, |
sul mio aspetto e anche sul mio corpo: | |
se vi dà sua figlia, sia condotta con onore; | |
altrimenti, fate subito ritorno, | |
ché penseremo ancora ad un’altra dama». | |
290 | Disse Aquilone: «Non vi mettete in collera, |
compiremo subito il nostro incarico». | |
Come sono andati gli ambasciatori che devono | |
andare in Ungheria per la figlia del re. | |
IX | |
I messaggeri non hanno indugiato, | |
sono tornati alla loro dimora | |
e hanno domandato congedo al re; | |
295 | ed egli glielo ha dato e concesso. |
Ciascuno fu ben ornato di ricchi abiti | |
e i palafreni riccamente bardati; | |
caricarono d’equipaggiamento più di trenta somieri, | |
e quando furono preparati di tutto, | |
300 | prima che si fossero allontanati da Parigi, |
fu detta la messa e cantato l’ufficio | |
e tutti e dodici furono comunicati | |
del corpo di Gesù benedetto e sacro. | |
E quando vennero a prendere congedo | |
305 | lo stesso re montò a cavallo |
con più di mille della sua parentela; | |
con loro cavalcarono | |
per più di due leghe fuori della città; | |
poi se ne tornarono indietro, li raccomandarono a Dio, | |
310 | e quelli se ne andarono baldi, gioiosi e allegri. |
Non hanno viaggiato attraverso la Germania, | |
come hanno fatto al ritorno; | |
sono passati per la Provenza | |
e la Lombardia per quanto è lunga e larga, | |
315 | e sono entrati in nave a Venezia, |
così sono arrivati in Schiavonia. | |
Qui scesero a terra e si incamminarono; | |
proseguirono tanto a lungo che non si riposarono. | |
Trovarono il re in una delle sue città, | |
320 | dov’era rimasto per lungo tempo. |
Gli ambasciatori si sono alloggiati | |
al miglior albergo che ci sia nella città | |
e quando hanno bevuto e mangiato | |
mandano l’oste perché dica al re | |
325 | che sono ambasciatori del regno di Francia: |
glieli ha mandati il re Pipino, | |
portano una nobile notizia | |
della quale sarà felice e lieto. | |
E l’oste è saggio e rispettato, | |
330 | non ha mica dimenticato la cosa: |
va dal re, e gli racconta tutto. | |
Come i messaggeri si prepararono con tutte quelle | |
cose di cui c’era bisogno. | |
X | |
«Mio signore», dice l’oste, «non vi voglio contrariare, | |
oggi sono scesi al mio albergo, | |
dicono che sono venuti qui dalla Francia per parlarvi | |
335 | da parte del loro re che è di gran nobiltà |
e vi portano una notizia della quale sarete lieto; | |
quando vorrete, vi verranno a parlare». | |
Quando il re ode l’oste | |
e la notizia che egli dice a proposito dei messaggeri, | |
340 | promette a Dio, il vero giudice, |
che non manderà loro nessun messaggero, | |
ma andrà lui stesso a riceverli. | |
Non volle indugiare a lungo: | |
dei suoi baroni, quanti ne riesce a trovare | |
345 | li fa riunire tutti assieme, |
con gli uomini più nobili della sua terra | |
vanno dietro all’oste cortese. | |
Quando si avvicinarono alla sua dimora, | |
l’oste fu saggio e si allontanò. | |
350 | Va avanti correndo a fare l’annuncio, |
a dire e a raccontare agli ambasciatori | |
che vengono a vederli e scortarli. | |
E questi non vogliono certo aspettare a lungo | |
che il re entri nell’albergo; | |
355 | escono fuori per onorare il re. |
Si vanno incontro a farsi inchini | |
e a salutarsi dolcemente l’un l’altro; | |
si prendono per mano, si mettono a girare | |
fino al palazzo sopra all’alta sala. | |
Come gli ambasciatori entrarono | |
in Ungheria e parlarono al re. | |
XI | |
360 | Il re d’Ungheria era così saggio e potente, |
cortese e prode e di bell’aspetto; | |
a quegli ambasciatori mostrò un bel viso, | |
e domandò loro bene e dolcemente: | |
«Che ne è del mio signore, il ricco re di Francia?» | |
365 | E quelli gli dissero: «Egli è sano e felice, |
e vi ama di cuore e lealmente». | |
Disse il re: «Sia come Dio comanda». | |
Si meravigliarono molto il re e la sua gente, | |
non credevano che la cosa fosse così avanti. | |
370 | Il re fu cortese e valente, |
il primo giorno non disse nulla, | |
ma il giorno dopo fece saggiamente: | |
fece accompagnare fra i migliori della sua gente | |
tanto che ne aveva più di centosessanta. | |
375 | Fece preparare un pranzo molto ricco e grande, |
e quei messaggeri che furono presenti | |
furono onorati da ricchissime vivande, | |
cosicché gli ambasciatori di Francia lo lodarono molto. | |
Ma ci fu una cosa che giudicarono vile: | |
380 | che non si mangiasse né su piatti né su tavoli; |
le mense furono preparate sul pavimento. | |
quando questi lo videro lo credettero uno scherzo. | |
Aquilone stava seduto vicino al re, | |
così gli parlò gentilmente e ridendo: | |
385 | «Ah! Sire, siete così potente, |
e avete una tale carestia di piatti e di tavoli? | |
Nella nostra terra così mangiano i disgraziati | |
e la gente povera e il popolino, | |
che non ha da spendere oro puro né argento. | |
390 | Ma se per voi non è disturbo, |
domani faremo apparecchiare diversamente». | |
Il re disse: «Sia come comandate»; | |
perciò fecero preparare piatti e tavoli. | |
Quando il re lo vide, così gli disse gentilmente: | |
395 | «Fate così in terra di Francia?» |
«Sì davvero, sire, i piccoli e i grandi, | |
i cavalieri e tutti i mercanti». | |
E il giorno che seguì | |
il re fu a colloquio con i messaggeri; | |
400 | all’infuori del re non ci fu persona vivente; |
se ne stettero quieti in una stanza, | |
e Aquilone parlò per primo, | |
e fece l’ambasciata, della quale il re fu felice. | |
Come il re d’Ungheria andò incontro agli ambasciatori | |
del re di Francia, e come si parlarono | |
e dissero l’ambasciata del re loro signore. | |
XII | |
«Buon re d’Ungheria, voglio che sappiate: | |
405 | quello che ci ha mandati a voi |
è re di Francia, di un ottimo regno. | |
È il più rispettato di tutta la cristianità | |
ed è il più onorato nella contrada. | |
Ci ha mandati e inviati a voi | |
410 | per grande amore e per nobiltà: |
vorrebbe imparentarsi con voi, | |
se ciò potesse essere in volontà di Dio, | |
con una vostra figlia che è molto lodata. | |
Non ha moglie che gli dia un erede: | |
415 | se gli vorrete dare vostra figlia da sposare |
egli la prenderà volentieri e di buon grado, | |
e così diventerà vostro parente. | |
Ma una cosa non vi sarà nascosta, | |
perché mai non ce ne venga biasimo, | |
420 | vi dirò la verità sul suo aspetto: |
è un uomo piccolo, ma grosso e robusto, | |
ed è ben formato nelle membra. | |
Vi ha mandato questa ambasciata | |
e noi ve l’abbiamo annunciata da parte sua». | |
425 | Disse il re: «Siate i benvenuti! |
Dite questo per verità? | |
È il mio signore così ben disposto verso di me | |
che desidera farsi mio parente | |
e vuole che mia figlia sia sua sposa?» | |
430 | «Sì», fecero loro, «per questo ci ha mandati». |
Disse il re: «Voglio che sappiate: | |
mi avete descritto l’aspetto del re, | |
ed io vi dirò la verità su mia figlia. | |
È molto bella e ornata, | |
435 | ma ha una cosa che non vi sarà nascosta: |
ha i piedi più grandi delle altre dame. | |
Ma voglio che sappiate una cosa: | |
mia figlia io l’ho amata così tanto | |
e così mia moglie che l’ha allevata | |
440 | che se a lei piace, è concesso e gradito; |
altrimenti, non otterrete nulla: | |
non la darò a nessuno, se non le sarà ben gradito». | |
Dice Aquilone: «Abbiamo detto l’ambasciata. | |
Domani, quando si sarà alzata l’alba, | |
445 | vi preghiamo che rispondiate». |
Dice il re: «Volentieri e di buon grado». | |
Come il prode Aquilone di Baviera disse al re l’ambasciata | |
del re di Francia e come il re ne ebbe gran gioia. | |
XIII | |
Il re d’Ungheria fu allegro e felice, | |
e ricevette saggiamente l’ambasciata. | |
Onora generosamente i messaggeri, | |
450 | porta loro ciò che chiedono e domandano, |
e li fa accogliere riccamente | |
con tutte quelle cose che si addicono ai gentiluomini. | |
Il nobile re non indugiò per nulla, | |
entrò nella sua stanza, e lì trovò Belisant, | |
455 | la sua gentile consorte, a colloquio con Berta. |
Quando il re la vide, ascoltando le disse così: | |
«Dama», fa lui, «vi è reso grande onore: | |
se voi lo concedete, abbiamo un buon parente, | |
ché il re cui spetta la Francia | |
460 | mi ha inviato degli ambasciatori della sua gente |
per chiedere mia figlia Berta dai piedi grandi; | |
la domanda in moglie, se lei acconsente. | |
Ma prima che la faccenda vada più avanti | |
vi dirò molte cose sul suo aspetto: | |
465 | è piccolo e per niente alto, |
ha forma diversa da tutte le altre persone, | |
ed è robusto nelle membra e nei fianchi; | |
tuttavia siede bene a cavallo, | |
è coraggioso sul campo di battaglia, | |
470 | è re di Francia e porta una corona d’oro. |
Non c’è re nel mondo dei vivi | |
che gli sia pari per nobiltà». | |
Quando Belisant ode le sue parole, | |
guarda sua figlia, e le dice ridendo: | |
475 | «Figlia», dice, «vi è proposto questo accordo: |
vostro padre vi ha detto tutto quanto | |
della sua figura e del suo aspetto; | |
se vi piace, ditelo sicuramente, | |
altrimenti, non se ne farà nulla. | |
480 | Abbiamo oro e argento in quantità, |
possiamo aver cura di voi ancora per lungo tempo, | |
e poi vi daremo ad un altro signore | |
che forse vi andrà più a genio | |
di questo, che pare un bambino». | |
485 | Berta udì così parlare Belisant |
la sua nobile madre, che tanto l’amava, | |
e da suo padre ascoltò tutto l’affare; | |
ora udirete parlare Berta dai piedi grandi, | |
e come parlò con saggezza al padre, | |
490 | nessuno al mondo la potrebbe rimproverare. |
E la regina che ha nome Belisant | |
parlò ancora a sua figlia, ascoltando: | |
«Figlia», fa, «ascoltate con saggezza: | |
ancora non sapete che cosa sia un uomo | |
495 | né prendere quello che non va a genio |
e di cui non ci si contenti bene. | |
Quello che prenderete, piccolo o grande, | |
dovrete vivere con lui tutta la vita: | |
la dama non è data per un giorno e un anno. | |
500 | Ma se poi non le piace, dopo che è stato fatto l’accordo, |
e ha fatto una cosa che non sia bella, | |
al suo signore porta questo castigo: | |
viene bruciata, la polvere gettata al vento, | |
sempre ne hanno vergogna tutti i suoi parenti, | |
505 | ne sono addolorati per tutta la vita. |
Questo te lo dico così per tempo, | |
perché io non debba poi avere biasimo dalla gente; | |
se ti piace, dillo sicuramente, | |
e non temere persona al mondo; | |
510 | che per quel Dio che nacque in oriente, |
dal momento che sarai andata al suo comando, | |
e non avrai fatto nessuna villania, | |
non mi tratterrò per tutto l’oro del mondo | |
dal venire a dare il mio giudizio». | |
Come i messaggeri raccontarono la notizia al re | |
d’Ungheria e come il re di Francia ne ebbe gioia. | |
XIV | |
515 | « Figlia», disse la regina, «voglio pregarvi |
che per prima cosa riflettiate | |
se vi piace questo piccolo cavaliere | |
che è re di Francia e di Baviera; | |
vedete qui con noi vostro padre, | |
520 | che non vuole darvi in sposa contro la vostra volontà; |
a quei messaggeri cortesemente | |
risponderà all’ambasciata, | |
cosicché non saremo affatto da biasimare». | |
Quando la fanciulla sente parlare sua madre | |
525 | e con lei vede suo padre, |
riflette un poco, così risponde loro: | |
«Padre», fa, «e voi che siete mia madre, | |
dovete consigliarmi rettamente; | |
dalla Francia sono venuti messaggeri | |
530 | che sono molto da lodare ed apprezzare: |
il re di Francia mi vuole per moglie | |
e vuole farmi incoronare regina. | |
Non so affatto, né so dire con ragione, | |
come mi potrei sposare più nobilmente; | |
535 | se dite che questo re quanto un altro cavaliere |
non è altrettanto grande né altrettanto nobile, | |
neanche per questo lo voglio rifiutare: | |
ché da un piccolo albero si può mangiare buon frutto, | |
e quello di uno grande può non valere niente. | |
540 | Questa sorte che Dio vi vuole donare |
prendetela di buon grado e volentieri, | |
ed io ve lo concedo e volentieri lo desidero. | |
E voi, regina, che siete mia madre, | |
di me non abbiate mai un cattivo pensiero, | |
545 | perché di me non udirete né dire né raccontare |
nessuna cosa che vi debba spiacere; | |
amerò il mio signore di buon grado e volentieri». | |
Il re l’ascolta, la va ad abbracciare | |
e a baciare dritto in viso; | |
550 | quando sente sua figlia acconsentire alla proposta |
non c’è da domandarsi se ne abbia gioia. | |
Prese per mano la sua nobile moglie, | |
vennero al palazzo dai messaggeri, | |
e lasciò sua figlia a riposare nella stanza. | |
Come il re e la regina parlarono | |
a loro figlia e le dissero dell’aspetto del re. | |
XV | |
555 | Il re d’Ungheria, che ha nome Alfaris, |
a meraviglia è uomo di gran valore; | |
e sua moglie ha il cuore così ardito | |
che non c’è cavaliere in tutto quel paese, | |
conte né duca, principe né marchese, | |
560 | che osi guardarla dritto in viso. |
Quando vede i messaggeri del re di Sant Denis | |
e vede che son tutti cavalieri di gran pregio, | |
va da quello che le pare il più nobile: | |
è il marchese Aquilone di Baviera; | |
565 | Lo prende per mano, gli mostra un bel viso, |
e dolcemente gli parla e dice: | |
«Della vostra venuta, signore, molte grazie. | |
Da parte del vostro re, che ha nome Pipino, | |
ci avete chiesta una tal cosa | |
570 | che ne sarete del tutto servito, |
giacché mia figlia ne è ben desiderosa; | |
per cui tornerete felice nel vostro paese, | |
e porterete mia figlia dal viso chiaro». | |
Come la regina d’Ungheria fu saggia | |
e ciò che disse a sua figlia Berta. | |
XVI | |
Aquilone di Baviera si alzò in piedi, | |
575 | a meraviglia era saggio e rispettato; |
era vestito con un drappo rosato, | |
aveva l’inforcatura alta ed era largo di spalle; | |
e ringraziò la regina. | |
«Dama», dice, «non vi sarà nascosto: | |
580 | siamo dodici, chi duca chi emiro, |
siamo tutti nobili del nostro re, | |
e il minore ha castelli e città; | |
e per lealtà vi posso ben giurare | |
che in tutto il mondo della cristianità | |
585 | non c’è re, principe o emiro |
che del re di Francia consideri viltà | |
avere con lui parentela. | |
Quando avremo portato vostra figlia | |
e sarà incoronata regina, | |
590 | sarà proclamata regina di Francia, |
a gran meraviglia ne potrete essere lieta. | |
Se il re è piccolo, Dio l’ha fatto così; | |
tuttavia sappiate per verità | |
che è prode a giostrare in torneo: | |
595 | non c’è cavaliere neppure fra i più robusti |
con il quale non giostri con lancia e spada». | |
La dama ride in modo gentile e soave | |
e dice ad Aquilone: «Ditemi la verità: | |
siete sovrano, conte o emiro, | |
600 | amico o intimo del re?» |
a «Lo sono, mia signora, in verità; | |
se il re non si fosse fidato completamente di noi, | |
non ci avrebbe mandati qui». | |
Disse la dama: « Avete un bell’aspetto; | |
605 | al vostro volere e alla vostra volontà |
sia del tutto affidata mia figlia, | |
che la conduciate da quel re | |
e che egli ne faccia la sua volontà». | |
Disse Aquilon: «Ne abbiate mille grazie!» | |
Come Aquilone di Baviera parlò | |
alla regina per vedere sua figlia Berta. | |
XVII | |
610 | Gentile regina, non vi deve spiacere, |
se ci volete dare vostra figlia | |
noi la prenderemo di buon grado e volentieri, | |
e la sposeremo per il re, | |
e poi la porteremo con noi. | |
615 | Ma su una cosa non vi voglio ingannare: |
quando il re di Francia viene a prender moglie, | |
prima che si debba coricare con la dama | |
si fa spogliare la dama tutta nuda | |
e viene ben guardata davanti e dietro; | |
620 | se ha qualcos’altro che non sia evidente |
il matrimonio viene ritirato». | |
Disse la regina: «Non abbiate quel pensiero, | |
perché farò spogliare mia figlia per voi | |
così la potrete controllare minuziosamente. | |
625 | Se non la troverete tutta sana e intatta, |
tranne i piedi, non mi potrete biasimare per nient’altro». | |
Disse Aquilone: «Di quelli non vi domando. | |
Ma se mi volete garantire in fede vostra | |
che ciò che vi sento raccontare è vero, | |
630 | mi fiderò di voi». |
Disse la regina: «Ascoltate, cavaliere: | |
non voglio che mai mi dobbiate biasimare. | |
Verrete dentro alla mia camera di nascosto: | |
farò spogliare mia figlia per voi, | |
635 | potrete vederla tutta nuda». |
Perché dovrei dilungarmi oltre? | |
La regina prese fra i cavalieri | |
il duca Aquilone e Morando da Riviera; | |
con questi due entra nella camera | |
640 | e fa spogliare sua figlia. |
A quei due la mostra davanti e dietro; | |
questi sono soddisfatti, così se ne ritornano indietro. | |
Se aveste visto allora tutti i messaggeri | |
averne gran gioia assieme al re! | |
645 | Il re non volle dimenticare la cosa; |
fece riunire la sua gente e i suoi baroni, | |
tutti i migliori della sua terra, | |
per venire da sua figlia che vuole mandare a nozze. | |
Ci fu gran corte davanti e dietro, | |
650 | e perciò avreste visto i cavalieri fare tornei |
e le dame ballare e fare carole; | |
per amore di Berta le avreste viste danzare. | |
Quella corte durò quindici giorni interi; | |
quando Aquilone va a parlare al re | |
655 | per chiedere congedo, se ne vanno |
e vanno a pregare dolcemente la regina | |
che affidi loro la figlia. | |
Dice la regina: «Di buon grado e volentieri; | |
ora lasciatemi preparare mia figlia». | |
Come la regina portò Aquilone | |
per vedere sua figlia nuda. | |
XVIII | |
660 | Quella regina fu così saggia e valente, |
a meraviglia aveva il cuore molto gentile, | |
a sua figlia parlò dolcemente: | |
«Figlia», disse, «il pensiero vi consigli; | |
vi ho maritata molto onorevolmente, | |
665 | e perciò porterete una corona d’oro splendente; |
e vi ho affidata ad una gente straniera, | |
che vi dovrà condurre al suo comando. | |
Vi darò oro puro e argento in quantità: | |
siate cortese e di buona presenza, | |
670 | che non vi si consideri regina da niente; |
donate loro abiti e vesti. | |
Sopra tutte le cose vive al mondo | |
amerete lealmente il vostro signore, | |
farete tutto il suo volere; | |
675 | sarete cortese con tutta l’altra gente: |
servite ciascuno lealmente e rettamente, | |
fate che di voi non si lamenti scudiero né sergente». | |
Disse la dama: «Ne ho ben desiderio, | |
il vostro consiglio lo tengo per leale; | |
680 | e tale lo terrò finché vivrò. |
E di questo state sicura». | |
Come la regina consigliò sua figlia; | |
le concesse completamente tutto ciò era necessario. | |
XIX | |
Il duca Aquilone il buon consigliere, | |
mai al mondo ce ne fu uno migliore | |
né che al re facesse maggior onore, | |
685 | fu padre di Namo che sopra tutto fu il fiore; |
disse al re dolcemente per amore: | |
«Ai sire! Per Dio il creatore, | |
poiché abbiamo compiuto il nostro incarico | |
dunque lasciateci accogliere la moglie di Pipino, | |
690 | ché vogliamo tornare nella terra più grande |
e condurre vostra figlia a grande onore». | |
Disse il re: «Volentieri, senza inganno». | |
Come Aquilone parlò al re | |
e domandò sua figlia. | |
XX | |
Il re d’Ungheria non volle indugiare, | |
chiamò Belisant sua moglie: | |
695 | «Dama», disse, «vedete i messaggeri, |
che vogliono portare via vostra figlia. | |
Dunque consegnatela loro, se l’avete fatta preparare | |
con tutte quelle cose di cui ha bisogno, | |
che non le manchi nulla che si possa pensare». | |
700 | Disse la regina: «Lasciate stare; |
la manderemo con tale grandezza | |
che non le mancherà il terreno sotto le scarpe: | |
ho fatto rinnovare tutto il suo corredo». | |
Allora fa venire i messaggeri, | |
705 | li fa andare dall’altra parte verso Berta: |
«Signori», dice, «non vi spiaccia, | |
prendete la dama a vostro giudizio | |
e conducetela sana e salva | |
dal suo signore che la desidera». | |
710 | Quelli le dicono: «Di buon grado e volentieri». |
La regina fa preparare un cavallo: | |
chi volesse contrattare la sella soltanto | |
non la potrebbe comprare per mille lire. | |
La gioia fu grande quando arrivò il momento di consegnarla, | |
715 | fu grande quando arrivò il momento di separarsi. |
Chi avesse visto la regina baciare sua figlia | |
e dall’altra parte il re che è suo padre! | |
E la regina fece caricare quindici somieri | |
d’oro e d’avorio, d’oro puro e di denari, | |
720 | e altrettanti di abiti da regalare, |
che erano tutti di palio e di zendado. | |
Quando i messaggeri prendono ad andare, | |
e devono separarsi dalla loro figlia, | |
il re e la regina cominciano a piangere; | |
725 | e poi montano a cavallo |
più di mille nobili cavalieri, | |
accompagnano la loro figlia per più di due leghe; | |
alla partenza la vanno ad abbracciare. | |
Il re e la regina cominciano a piangere; | |
730 | tornano indietro e li lasciano andare. |
Ancora non sanno che grande dolore! | |
Cavalcano tre giorni interi per l’Ungheria | |
e non spendono un soldo del loro. | |
Non vollero tornare attraverso la Lombardia, | |
735 | cominciano ad attraversare la Germania. |
Quando arrivano a un castello o a una torre | |
ed è l’ora di trovare dimora, | |
non vogliono mai fermarsi in un ostello; | |
a casa di un conte o di un gran cavaliere | |
740 | fanno smontare la dama da cavallo |
e la fanno ospitare riccamente. | |
Non ci fu duca, conte o principe | |
che per amore del re che governa la Francia | |
non la riceva e la veda volentieri. | |
745 | E la regina fu cortese e nobile: |
se trovava una damigella da sposare, | |
figlia di colui che l’ospitava, | |
per cortesia la andava a domandare | |
e prometteva di sposarla nobilmente; | |
750 | se gliela concedono, la porta volentieri con sé. |
Cavalcano tanto a lungo per vie e sentieri | |
che una sera all’ora del vespro | |
vanno ad albergare a Maganza | |
a casa di un conte che ha nome Belençer, | |
755 | che fra quelli di Maganza a quel tempo era il più nobile. |
Come il re chiamò sua moglie | |
e come fu affidata la dama. | |
XXI | |
I messaggeri sono entrati a Maganza, | |
hanno alloggiato a casa di Belençer, | |
e quello li riceve volentieri e di buon grado, | |
li onora molto per amore del re. | |
760 | Ha una figlia, non ne potreste vedere una più bella, |
che assomiglia talmente alla regina | |
che, a metterle vicine, | |
non si potrebbe distinguere l’una dall’altra. | |
Alla regina era così gradita | |
765 | che al bere e al mangiare le sedeva ai piedi, |
e si coricavano assieme in un unico letto. | |
Soggiornarono là per tre giorni; | |
prima di partire e allontanarsi | |
la chiede e domanda a suo padre | |
770 | perché con lei vada in Francia |
e lì sia nobilmente maritata. | |
Tanto la pregano Aquilone | |
e la regina, che lui gliela affida, | |
e nobilmente le manda | |
775 | uno dei migliori della sua contrada |
che è suo parente; | |
glielo dà come servitore | |
perché le doni tutto ciò che desidera. | |
I messaggeri montano a cavallo; | |
780 | quando si avvicinano a Parigi, |
mandano messaggi al re | |
che la regina viene con la sua nobiltà, | |
nobile come regina incoronata. | |
Di quella cosa il re fu felice e lieto; | |
785 | manda a chiamare per tutto il suo regno |
e fa venire i conti e i nobili; | |
per andarle incontro fa montare a cavallo | |
più di mille valenti cavalieri. | |
Quando furono a meno di due leghe da Parigi, | |
790 | e Berta fu stanca e tutta affaticata, |
perché aveva tanto cavalcato, | |
parlò alla fanciulla e disse: | |
«Gentile compagna, è bene che mi serviate | |
di una cosa per la quale vi sarò molto grata». | |
795 | Disse la fanciulla: «Dite e comandate; |
ciò che vi piace sarà ben concesso». | |
Come i messaggeri furono ospitati a Maganza | |
e come la regina prese a cuore la fanciulla. | |
XXII | |
«Gentile fanciulla», disse Berta ascoltando, | |
«mi duole tutto il costato e il fianco, | |
per il tanto cavalcare sono di malavoglia; | |
800 | mi fido più di voi che di chiunque altro, |
per questo vi dico il mio cuore e il mio desiderio: | |
se mai mi dovete fare alcun servizio, | |
farete questa notte il mio comando. | |
Vi farete avanti come foste la regina | |
805 | e arditamente entrerete nella camera, |
e io rimarrò indietro, me ne starò nascosta. | |
Con il re andrete solamente nel letto: | |
se vi volesse toccare o dirvi alcunché, | |
pregatelo bene e dolcemente | |
810 | che non vi debba toccare finché non sia passato un giorno, |
ché per il cavalcare vi siete fatta tutta stanca; | |
farete il suo comando un altro giorno». | |
Disse la fanciulla: «Di questo non dubitate, | |
farò bene ciò che l’opera richiede». | |
815 | Nel frattempo viene avanti il re con tutta la sua gente, |
con gran baldoria e gran divertimenti; | |
conducevano le dame con grande onore. | |
All’entrare nella camera la fanciulla non esita: | |
entrò nel letto quando il re lo comandò, | |
820 | e Berta restò indietro, non si precipitò, |
mai nella sua vita fu così dolente. | |
Come la regina pregò la fanciulla che | |
al posto suo quella notte si presentasse | |
al re nel letto, ma non facesse il suo volere. | |
XXIII | |
Quella fanciulla non fu pigra, | |
andò a coricarsi nel letto, | |
non ci fu uomo né donna che andasse a disturbare, | |
825 | la corte era così grande che non ci pensò nessuno. |
E Aquilone e gli altri mesaggeri | |
erano tornati, andati al loro albergo; | |
e dama Berta rimaneva indietro, | |
aveva una tale vergogna che non osava proferire parola. | |
830 | E il re va a coricarsi nel suo letto |
e a stringere e toccare quella dama; | |
quando arrivò al punto che la volle sollazzare, | |
la fanciulla fu cortese, non si tirò indietro. | |
Rimase con lei per l’intera notte, | |
835 | il re ne fece tutto il suo volere; |
la cercò per bene tutta quanta per intero, | |
e trovò i piedi piccoli, della qual cosa ebbe meraviglia | |
per le parole che aveva detto il giullare; | |
e poi cominciò a pensare fra sé: | |
840 | «Il giullare ha detto così per farmi adirare». |
Tanto ne fa il suo volere, che non si cura di niente. | |
Prese gli averi, l’oro puro e i denari | |
e gli arnesi di palio e di zendado, | |
e li donò al quel giullare cortese. | |
845 | Il re non pensava male della sua dama: |
credeva bene che fosse la sua legittima sposa, | |
così come Aquilone il signore di Baviera | |
in Ungheria dapprima l’aveva presa in sposa. | |
Passò quel giorno e tutto quello successivo | |
850 | tanto che Berta le disse che si tratteneva troppo, |
che voleva pur entrare nella sua stanza. | |
Disse la fanciulla: «Voglio ben concederlo. | |
Questa notte preparatevi; | |
al mattino quando suonerà [la campana], | |
855 | io mi alzerò come per pregare; |
allora potrete entrare nel letto». | |
E Berta dice: «È ben da concedere». | |
Non sa che cosa le deve capitare; | |
perché quella malvagia, che Dio l’affligga!, | |
860 | fece cercare e chiamare il suo servitore |
che suo padre le aveva dato perché la proteggesse; | |
e prese a raccontargli tutta la faccenda. | |
Quando quello l’udì, ne ebbe molta meraviglia. | |
Come la fanciulla per volere di Berta | |
entrò nel letto col re e fece il suo volere; | |
ora ascolterete ciò che avvenne di Berta e come fu tradita. | |
XXIV | |
«Servitore», disse la malvagia, «ascoltate il mio discorso: | |
865 | quando mi allontanai da casa mia, |
mio padre mi donò voi come fratello e compagno, | |
perché faceste il mio volere e il mio bene. | |
Quella Berta che ci condusse qui, | |
dapprima mi fece il dono | |
870 | di coricarmi assieme al re, |
ma che non mi lasciassi toccare per nessuna ragione; | |
quella promessa non valse un bottone, | |
poiché il re mi ha avuta, lo volesse o meno. | |
Se fai quello che ti racconterò, | |
875 | sarò regina di Francia e di Laon |
e di te farò un così gran barone | |
che maggiore non ce ne sarà in tutta la Germania». | |
Disse il servitore: «Dite, noi lo faremo. | |
Mi confonda Dio che soffrì la passione, | |
880 | se mai a causa mia alcuno la salverà». |
Come Aliç la falsa decise col suo | |
servitore che Berta fosse condotta nel bosco a morire. | |
XXV | |
Quella malvagia, che è stata tentata dal diavolo, | |
mostra la faccenda a quel suo servitore. | |
«Servitore», disse, «sapete che cosa farete? | |
Questa sera quando sarà buio, | |
885 | la prenderete contro la sua volontà, |
e le chiuderete la bocca così bene, | |
che se anche gridasse non verrebbe udita. | |
Poi la porterete in un bosco frondoso, | |
e lì sia uccisa e abbandonata. | |
890 | La sotterrerete in una fossa |
cosicché di lei non si abbia più notizia né ambasciata». | |
E quello le dice: «Non parlate più. | |
Farò meglio di quanto abbiate ordinato». | |
«Andate», disse lei, «e tornate presto». | |
895 | E quello si allontana dalla dama. |
Con lui domandò altri due | |
che erano della sua contrada. | |
Quando venne la notte e il giorno fu passato, | |
all’ora che la malvagia aveva ordinato, | |
900 | e la regina credeva di compiere il suo volere |
ed entrare nel letto col re, | |
quei malvagi la prendono e la legano, | |
e le imbavagliano la bocca. | |
La portano via contro la sua volontà | |
905 | ed escono dalla città di Parigi; |
non si fermano fino ai boschi frondosi. | |
E poi le tolgono il bavaglio e la slegano; | |
vogliono ucciderla: quella chiede pietà, | |
si mette in ginocchio davanti a loro. | |
910 | «Ah! Signori», dice, «pietà, per l’amor di Dio! |
Non mi uccidete, ché fareste gran peccato. | |
Se grazie a Dio mi lasciate la vita | |
andrò in tal luogo che mai non sentirete mia notizia». | |
Quando quelli la sentono sono mossi a compassione; | |
915 | l’uno guarda l’altro |
e le dicono: «Questo è gran peccato, | |
mai nessuno ne pensò uno più grande». | |
Hanno il cuore afflitto da Dio. | |
Dicono: «Dama, da voi non viene peccato; | |
920 | ora giurate che non tornerete mai |
in questa terra e in questa contrada». | |
E lei lo fa volentieri e di buon grado, | |
e giura sui santi | |
che in vita loro mai più la vedranno. | |
925 | Quelli partono, tornano indietro, |
e lei rimane nella selva frondosa. | |
E quella malvagia che li aspettava | |
quando furono tornati indietro | |
domandò loro come avessero agito. | |
930 | «Bene, nostra signora; siete libera da lei: |
l’abbiamo uccisa, l’abbiamo sotterrata | |
nel gran bosco, dentro una fossa». | |
Come la malvagia fanciulla per prima | |
cosa gli disse ciò che doveva fare di Berta. | |
XXVI | |
Ora lasceremo la malvagia che sta in gran riposo, | |
non ha più paura di nulla; | |
935 | e il re la considera fedele come una moglie, |
non sa affatto quanto sia in errore. | |
Non l’avesse stimata così tanto | |
ne avrebbe anzi avuto vergogna e disonore, | |
se avesse saputo immediatamente | |
940 | ciò che hanno fatto i malvagi traditori, |
giacché per quella dama venne un così gran male | |
che ne morirono più di mille peccatori | |
che mai non videro figlie né sorelle. | |
Sta con il re come fosse sua moglie; | |
945 | ha fama di essere figlia del re d’Ungheria. |
Dal re ebbe tre figlie come dice l’autore: | |
Lanfroi e Landris, Berta fu la più piccola, | |
che fu madre di Rolando il nobile guerriero | |
e di Milone, come sentirete in seguito. | |
Qui si racconta di quella malvagia femmina | |
e dei figli che ebbe dal re Pipino. | |
XXVII | |
950 | Ora Berta è nel bosco frondoso, |
se ha paura non meravigliatevi: | |
così come fanciulla che sia stata abbandonata | |
piange e lacrima, e molto si lamenta. | |
Non riesce a vedere nient’altro che alberi frondosi | |
955 | e il bosco che è lungo e largo; |
per la paura delle bestie feroci | |
si confessa al Signore. | |
«Ah, Vergine fanciulla, regina incoronata, | |
abbiate pietà di questa peccatrice! | |
960 | Conducetemi oggi |
in un luogo dove possa trovare accoglienza, | |
che io non muoia qui in così gran viltà. | |
Ah, femmina malvagia, come mi hai ingannata! | |
Non credevo certo a simile falsità: | |
965 | ti ho portata con me per grande amore, |
ti onoravo più che se fossi stata generata con me. | |
Ah, regina d’Ungheria, questo non lo sapete; | |
di questa gran pena nella quale sono entrata | |
mai riceverete da me messo né ambasciata. | |
970 | La sorte si è volta contro di me». |
Quando si fu molto lamentata | |
ed ebbe molto pianto e lacrimato, | |
si segnò il viso, si raccomandò a Dio. | |
Si inoltra nel gran bosco, | |
975 | va così di ramo in ramo |
come se Dio la conducesse. | |
Esce dal bosco e vede un bel prato, | |
guarda davanti a sé: | |
vede venire un cavaliere molto stanco, | |
980 | e quando lui la vede si meraviglia molto. |
Viene nella sua direzione; | |
quando le è vicino le si rivolge così: | |
«Dama», dice, «chi vi ha portata qui | |
attraverso la gran selva e il bosco frondoso? | |
985 | Mi sembrate tutta spaventata». |
«Mio signore», dice Berta, «ora non meravigliatevi, | |
ché il mio signore mi è stato ucciso da persone malvage, | |
e così avrebbero fatto di me, se mi avessero presa. | |
Ah! Gentil uomo, per la santa carità, | |
990 | voglio pregarvi che mi portiate con voi |
in qualunque luogo risiediate». | |
«In fede», dice lui, «sarete ben accolta: | |
sarete condotta al mio castello; | |
là soggiornerete a vostra volontà». | |
Come Berta rimase nel bosco | |
e come Sinibaldo la trovò. | |
XXVIII | |
995 | Quel castellano era prode e valente |
e aveva nome Sinibaldo, se la storia non mente; | |
conduce Berta tutta piangente al suo castello, | |
e ha due figlie belle e graziose. | |
Quando videro loro padre venire con la dama | |
1000 | gli andarono incontro, e presero a domandargli: |
«Che donna è questa che viene così dolente?» | |
Ed egli spiegò loro tutti i fatti, | |
come suo marito che era un mercante fosse stato ucciso, | |
e altrettanto sarebbe accaduto di lei | |
1005 | se non fosse fuggita di nascosto. |
«È scappata per quella gran selva: | |
il Signore l’ha condotta a salvezza | |
ed è venuta al vostro comando, | |
per cui vi prego, se mi amate un poco, | |
1010 | di non mostrarle altro che un viso gentile e sorridente». |
E quelle gli dicono: «Volentieri, è nostro desiderio». | |
E queste damigelle sono molto sagge: | |
le vanno incontro e la prendono per mano, | |
e la confortano dolcemente; | |
1015 | la portano in silenzio nella sua stanza, |
e la onorano come fosse loro parente. | |
Come le figlie di Sinibaldo vanno incontro | |
a Berta e domandano a loro padre chi sia. | |
XXIX | |
Dice la fanciulla: «Dama, il vostro arrivo | |
ci rallegra e ci sprona, | |
siete capitata in un buon ostello: | |
1020 | vi tratteremo come foste nostra madre, ben si provvederà a voi. |
Giacché nostra madre è morta, | |
sarete calzata e vestita con noi, | |
non ci sarà cosa, valesse quanto una lattuga, | |
che non sia da noi divisa con voi». | |
1025 | Quando dama Berta ode ciò, |
molto le ringrazia e si affida loro | |
come fanciulla sperduta. | |
E Dio le venne in aiuto, | |
fu restituita da questo castellano: | |
1030 | di Pipino prima fu l’amica |
e poi fu regina quando giunse sua madre; | |
e la malvagia che così la ingannò | |
fu tratta a mala morte. | |
Come le figlie di Sinibaldo fecero | |
grande onore alla regina Berta. | |
XXX | |
Udite, signori, se vi piace ascoltare: | |
1035 | nessun uomo deve disperare di Dio, |
ché la sua sorte non può venirgli meno; | |
nessun uomo può mai sapere | |
ciò che gli può succedere e accadere. | |
Berta, la regina che doveva governare, | |
1040 | ora conviene che mangi il pane altrui, |
non sa dov’altro andare. | |
Ma a quelle fanciulle era così cara | |
che non pareva affatto una sconosciuta: | |
restava con loro a bere e a mangiare, | |
1045 | ma nonostante ciò aveva il cuore triste, |
e giorno e notte non smetteva di piangere. | |
Con quel castellano del quale mi sentite cantare | |
e con le sue figlie che tanto gli erano care | |
rimase Berta per più di un anno intero. | |
1050 | Berta era così maestra in ogni compito |
che non se ne poteva trovare una migliore: | |
sapeva ben cucire e tagliare, | |
ed era esperta in ogni tipo di ricamo; | |
e prese quindi ad istruire quelle fanciulle | |
1055 | che l’amavano più che fosse stata loro madre. |
In quel tempo del quale mi sentite raccontare | |
Pipino decise di andare a caccia; | |
mandò a dire a Sinibaldo che preparasse | |
le vettovaglie e tutto ciò di cui c’era bisogno: | |
1060 | voleva venire a stare al castello |
e fermarsi per tre giorni. | |
E Sinibaldo lo fece di buon grado e volentieri. | |
De l’avventura che accadde a Berta e come | |
il re Pipino mandò a dire a Sinibaldo… | |
XXXI | |
Ora il re va a caccia | |
e ha con sé i suoi conti e i suoi baroni: | |
1065 | alcuni portano sparvieri ed altri portano falchi, |
e hanno bracchi e levrieri in quantità. | |
Arrivano al castello di Sinibaldo | |
e lì albergano cavalieri e pedoni, | |
poi vanno a cacciare quando arriva la stagione; | |
1070 | e Pipino mette Sinibaldo al corrente |
delle sue bestie e di altre [cose]. | |
Quando ne ebbero a lungo discusso vanno verso la torre | |
guardando il castello tutto intorno; | |
il re osservò, e fece bene, | |
1075 | e vide le fanciulle stare al balcone: |
quando le vide si meravigliò molto, | |
giacché non aveva mai visto Berta in quella casa. | |
Come Pipino va a cacciare | |
al castello di Sinibaldo e con i suoi baroni. | |
XXXII | |
Il re Pipino chiama Sinibaldo: | |
«Ora ditemi, e ditemi la verità: | |
1080 | ho visto una dama molto ben ornata, |
mi sembra molto bella». | |
Disse Sinibaldo: «Vi sarà ben raccontato. | |
L’ho trovata nella selva frondosa, | |
è ormai passato un anno; | |
1085 | l’ho tenuta e custodita molto bene |
assieme alle mie figlie che ha così istruite | |
che ora ciascuna è un’esperta maestra». | |
Disse il re: «Ora andate | |
e fate in modo che stanotte ne faccia la mia volontà; | |
1090 | altrimenti, avrete agito male». |
Disse Sinibaldo: «Non parlatene per niente, | |
non lo concederò mai; | |
mi lascerei piuttosto bandire | |
e passerei al di là del mare salato | |
1095 | che saperla violata in casa mia, |
a meno che non sia per sua volontà». | |
Disse il re: «Avete parlato bene; | |
andate da lei e domandatele | |
se vuole consentirmelo per sua volontà». | |
1100 | Disse Sinibaldo: «Ora attendete |
finché non sarò ritornato». | |
Il re rimane e quello se ne va, | |
viene alla camera dove trova Berta. | |
La chiama, le si rivolge così: | |
1105 | «Dama», dice, «abbiamo agito male, |
mi conviene andare in terra straniera. | |
Il re ha promesso e giurato così: | |
se non vi avrà a suo piacere | |
non mi lascerà un solo piede di terra; | |
1110 | e io preferisco piuttosto essere cacciato |
che accada cosa che non vi sia gradita». | |
Berta, quando sente ciò, fa una risata | |
e dice a Sinibaldo: «Non preoccupatevi di questo: | |
mi avete servita e onorata così tanto | |
1115 | e così pasciuta e nutrita, |
vestita e calzata con le vostre figlie, | |
che mai non vi recherò disturbo; | |
sono pronta a fare la sua volontà». | |
Quando Sinibaldo l’ode la ringrazia; | |
1120 | se ne ha gioia non è il caso di domandarselo: |
mai ne ha avuta altrettanta nella sua vita. | |
Viene dal re, e glielo racconta; | |
il re ne fu tutto felice e contento. | |
Come Pipino vide Berta e la desiderò | |
e la domandò a Sinibaldo. | |
XXXIII | |
Il re era nel salone | |
1125 | e Sinibaldo tornò da lui |
e gli disse e gli raccontò la notizia, | |
che la dama era pronta | |
a voler fare tutta la sua volontà. | |
Il re ne fu molto lieto e contento | |
1130 | e disse a Sinibaldo: «Avete ben operato. |
Per questo caldo di mezza estate | |
nel cortile sopra un carro su ruote | |
fate che sia preparato un gran letto; | |
sia addobbato con stoffe preziose: | |
1135 | voglio coricarmici sopra con la mia sposa |
e fare di lei la mia volontà». | |
Lo disse per scherzo, ma la cosa si avverò: | |
il giorno se ne andò, si avvicinò la notte, | |
e il carro fu ben preparato; | |
1140 | il re ci montò su con Berta. |
Prima di fare di lei ciò che voleva | |
controllò la dama da ogni lato: | |
non le trovò nessun difetto, | |
tranne i piedi che trovò grandi e smisurati. | |
1145 | Ma non per questo ci rinunciò; |
ebbe da lei amore e amicizia | |
per tutta la notte, quanto fu lunga e larga. | |
E il Signore gli diede questo destino, | |
quella notte fece così bene | |
1150 | che rimase incinta di uno splendido erede; |
quello fu Carlo il grande coronato | |
e fu benedetto e consacrato da Dio: | |
in tutta la cristianità non ci fu re migliore, | |
né più temuto dalla gente senza fede. | |
Quando Sinibaldò parlò a dama Berta e | |
come lei acconsentì a fare la volontà del re | |
e il re ordinò di fare il letto su un carro. | |
XXXIV | |
1155 | Quando Pipino ebbe soddisfatto le sue voglie |
di dama Berta dal viso sorridente | |
si separò da lei allegro e felice; | |
non aveva alcuna cattiva intenzione. | |
La affida e la raccomanda a Sinibaldo | |
1160 | che per lei faccia ancor meglio di quanto facesse prima, |
e se lei dovesse cercare o chiedere qualcosa | |
che le sia esaudito immediatamente; | |
e Sinibaldo eseguì il suo comando. | |
Tornano a Parigi il re e la sua gente; | |
1165 | con la malvagia regina andava d’accordo: |
la faceva obbedire da piccoli e grandi, | |
portava la corona del regno di Francia. | |
E Berta fu incinta per nove mesi, | |
ebbe un bel bambino in casa di Sinibaldo. | |
1170 | Di questo Sinibaldo fu felice e contento: |
montò di persona a cavallo, | |
portò immediatamente la notizia al re. | |
E il re gli disse: «Farete il mio volere: | |
per prima cosa farete battezzare il bambino; | |
1175 | mettetegli nome Carlo, perché io lo comando». |
E lo fecero, né nessuno si oppose; | |
e Sinibaldo fu saggio e valente, | |
per quella dama fece tutto il suo volere. | |
D’ora in poi smetteremo di raccontare di lei; | |
1180 | comincia il romanzo della regina d’Ungheria. |
Come Pipino quando ebbe fatto | |
il suo volere di Berta se ne tornò a Parigi… | |
XXXV | |
Voglio raccontarvi della regina d’Ungheria. | |
Da quando sua figlia si è separata da lei | |
non ha potuto ascoltare da lei nessun messaggio, | |
e quando le mandava messaggeri | |
1185 | nessuno la poteva vedere né guardare. |
Come sapeva che dovevano entrare in Francia, | |
si metteva a letto, si faceva avvolgere [nelle coperte] | |
e a quei messaggeri faceva donare cose | |
e denaro da spendere; | |
1190 | faceva sigillare lettere e missive, |
e le faceva portare indietro a sua madre. | |
E quando i messaggeri tornavano indietro | |
la regina cominciava a chiedere e domandare | |
di sua figlia, se avesse avuto un erede, | |
1195 | se l’avessero vista in strada o per sentieri |
o in qualche stanza o nel salone. | |
E i messaggeri le dicono: «Non vorremmo mentire: | |
non l’abbiamo potuta vedere né guardare, | |
l’abbiamo sempre trovata malata. | |
1200 | Fa donare oro puro e denari, |
fa fare lettere e sigillare missive, | |
e poi fa dare il congedo; | |
che lo vogliamo o meno, ci tocca ritornare». | |
La dama ode ciò, crede di perdere il senno; | |
1205 | viene dal re, e comincia a parlargli: |
«Mio sire», dice, «mi meraviglio molto: | |
a mia figlia ho mandato più di venti messaggeri, | |
nessuno mi sa dare notizia di lei, | |
che l’abbia vista in camera o terrazza. | |
1210 | Temo molto che abbia qualche malanno; |
se non la vedo non voglio più vivere. | |
Se volete e se amate la mia anima, | |
lasciatemi andare a parlare con mia figlia; | |
e quando avrò saputo delle sue azioni, | |
1215 | tornerò subito indietro». |
Come la regina d’Ungheria mandò in Francia | |
messaggeri per sapere notizie di sua figlia. | |
XXXVI | |
La regina d’Ungheria ha gran signoria, | |
a meraviglia ha il volto ardito; | |
dice al re: «Datemi compagnia, | |
voglio andare in Francia, l’inespugnabile, | |
1220 | a vedere quel re e i suoi baroni |
e che n’è accaduto di mia figlia Berta». | |
Dice il re: «Voi cercate follia: | |
il cammino è lungo e la via incerta; | |
vostra figlia sta bene e ha gran signoria | |
1225 | e ha figli e figlie dal re. |
E questo lo so per certo da messi e spie». | |
Quando sente ciò la dama sbotta: | |
«Re cattivo, non vali una sorba! | |
Se non mi dai congedo, per il Dio figlio di Maria, | |
1230 | contro il tuo volere mi metterò per strada, |
andrò da sola senza nessuna compagnia, | |
e farò una cosa tale che sempre ne verrà disonore». | |
E il re quando sente ciò è tutto spaventato; | |
per la paura non sa cosa dire, | |
1235 | si umilia tutto verso di lei: |
la teme più di qualunque altra cosa. | |
«Regina», dice, «vi ho sentita fin troppo bene: | |
sia accontentato il vostro desiderio». | |
XXXVII | |
Quando sente dire la sua dama | |
1240 | che vuole andare a Parigi |
a vedere sua figlia dove la potrà trovare, | |
che lo voglia o no, deve acconsentire. | |
«Dama», dice, «non dovete per nulla contrariarmi, | |
né per quest’azione dovete biasimarmi. | |
1245 | Vi amo così tanto che non si può dire, |
per questo non vorrei allontanarmi da voi; | |
se dovrete andare in Francia | |
prima che ritorniate mi sembreranno passati mille anni: | |
non potrò bere né mangiare | |
1250 | né dormire o riposare nel letto, |
avrò sempre pensiero di voi. | |
Ma giacché così volete e pur desiderate andare, | |
andate, non abbiate rimprovero. | |
Portate oro puro e argento in quantità, | |
1255 | che abbiate da spendere lungo il cammino; |
conviene che portiate con voi un cavaliere | |
e che vi accompagni all’andata e al ritorno. | |
Quando il re e i baroni vi vedranno andare così | |
vostra figlia sarà ancora più degna di essere onorata | |
1260 | e lo stesso re l’avrà più cara, |
si considererà più grande e nobile». | |
Disse la regina: «Ora vi ho sentito parlare; | |
questo avreste dovuto dire oggi per prima cosa | |
e non farmi corrucciare per nulla. | |
1265 | Del vostro non voglio spendere un denaro, |
ho molto da spendere e da donare: | |
non verrà con me alcun cavaliere | |
che non abbia assoldato con i miei averi». | |
La gentile dama prese a ringraziare il re; | |
1270 | non volse tardare per nulla |
e si fece riccamente abbigliare | |
con drappi di seta, di porpora e di zendado; | |
e i cavalieri che la devono accompagnare | |
li fa addobbare nobilmente, | |
1275 | ciascuno conduce palafreno e destriero. |
Come la regina d’Ungheria parlò al re, | |
e gli domandò il permesso di andare in Francia. | |
XXXVIII | |
Quando la regina fu pronta | |
e il suo signore l’ebbe ringraziata, | |
duecento cavalieri furono bardati per lei, | |
e la regina poi fu preparata, | |
1280 | caricarono d’oro trenta somieri; |
per andare e per tornare indietro | |
avrà molto da spendere e da donare | |
per sé e per quelli che la seguono: | |
potrà cavalcare sicura, | |
1285 | ché non riceverà rimprovero da alcuno. |
Quando la regina cominciò ad allontanarsi | |
e volle domandare congedo, | |
il re andò a baciarla tre volte | |
e cominciò dolcemente a pregarla | |
1290 | di tornare il prima possibile. |
E quella disse: «Non ho altro pensiero; | |
non appena potrò andarmene | |
tonerò indietro da voi». | |
Montò a cavallo, non volle più tardare, | |
1295 | e con lei i suoi cavalieri; |
e il re monta a cavallo | |
con tutti i suoi baroni per accaompagnarla. | |
Oltre le sue terre pedoni e cavalieri | |
la scortano per più di dieci leghe intere, | |
1300 | la raccomandano a Dio e tornano indietro. |
Alla partenza il re cominciò a piangere, | |
la lasciò andare via malvolentieri; | |
ma tanto era temuta per la sua fierezza | |
che nessuno osava guardarla dritto in faccia: | |
1305 | per tutto il regno si faceva temere così tanto |
che nessuno osava contrastarla per nulla. | |
Lei se ne va e il re torna indietro; | |
e appena la vide allontanarsi dal regno | |
pregò Dio il vero giudice | |
1310 | che mai non possa ritornare. |
Come il re d’Ungheria compì il volere | |
della regina, e le diede il permesso di andare in Francia. | |
XXXIX | |
Se ne va la regina con gioia e allegria; | |
quando ha ottenuto congedo dal suo signore | |
ringrazia Dio il creatore | |
al quale guarda con tutto il suo amore. | |
1315 | Nella sua compagnia ha molti conti: |
erano duecento, tutti su cavalli di pregio; | |
mai non potreste vedere una regina | |
portare maggior splendore di gioie. | |
E non ci fu nella sua compagnia né grande né piccolo | |
1320 | che non cavalcasse un palafreno all’ambio, |
e quei destrieri veloci e pregiati | |
si lasciano portare davanti per maggior onore. | |
Non procedono spediti, | |
ogni giorno fanno un breve percorso; | |
1325 | mai in Francia ci fu regina |
che ricevesse dalla gente simili onori. | |
Come la regina d’Ungheria si prepara | |
per andare in Francia col congedo del re. | |
XL | |
Se ne va la regina dal chiaro viso, | |
ha con sé duecento compagni | |
i migliori della regione d’Ungheria; | |
1330 | ciascuno conduce un palafreno e un destriero, |
ciascuno possiede un buon usbergo splendente, | |
elmi d’oro e buone spade al fianco, | |
portano insegne e pennoni dorati; | |
non ce n’era uno che non conducesse un somiero. | |
1335 | Era una frotta tanto grande che la gente se ne meravigliava, |
quella di Germania, dove cavalcavano. | |
Non arrivano ad un castello o ad una torre | |
o ad una città che sia di nobiluomo | |
che non la ospitino con tutti i suoi compagni | |
1340 | e per amore del re non le facciano doni. |
E quella regina è di gran fama: | |
a quei cavalieri che sono con lei | |
e l’accompagnano in Francia per amore | |
a loro donava oro puro e corredi | |
1345 | e denari in così grande quantità, |
che non spendevano del loro il valore di uno sperone. | |
Ciascuno dei baroni dice fra sé: | |
«La nostra regina è di gran fama; | |
non lascia che del nostro spendiamo un bottone». | |
1350 | Tanto cavalcano per colline e per monti, |
e non fu presto come dice il racconto | |
che si avvicinò la regione di Francia. | |
Come se ne va la regina che prese congedo | |
dal suo signore e come cavalca con onore. | |
XLI | |
Cavalca la regina che ha gran signoria, | |
è regina del regno d’Ungheria, | |
1355 | e costeggiano una parte della Germania; |
i suoi cavalieri la conducono e la guidano | |
e lei è cortese, si piega verso di loro, | |
dona loro del suo averi e ricchezze: | |
non li lascia spendere il valore di una sorba, | |
1360 | e loro di questo la ringraziano umilmente. |
Tanto cavalca la dama di notte e di giorno | |
che arriva a due giorni e mezzo da Parigi, | |
per cui prende dei messaggeri con rami fioriti | |
che al re che comanda la Francia | |
1365 | portino la novella che gli dia gran gioia: |
la regina d’Ungheria viene per vederlo. | |
Quando lo sa il re ride di gioia, | |
quindi manda a chiamare i suoi baroni | |
per onorare la dama, che non vede lungo la strada. | |
1370 | Ma quella dama che ha sotto la sua protezione, |
che a dama Berta fece una tale malvagità, | |
quando sente la notizia | |
ne ha tanto dolore che per poco ne esce di senno; | |
non sa che fare né che dire, | |
1375 | vede bene che la sua fine è compiuta, |
perché la regina che viene d’Ungheria | |
si accorgerà di certo che non è sua figlia. | |
Se ha paura non meravigliatevi, | |
che lei sa bene, come udito ha | |
1380 | e aveva da messi e spie, |
che né in cristianità né in paganìa | |
ci fu mai dama che fosse così ardita | |
né che avesse così tanta follia. | |
Come la regina se ne va con duecento | |
cavalieri e così cavalca per la Germania. | |
XLII | |
La regina d’Ungheria cavalca con la sua gente | |
1385 | con duecento cavalieri saggi ed esperti, |
e non ce ne fu uno che non avesse una buona bardatura | |
e buon destriero agile e veloce; | |
e cavalcano palafreni che vanno all’ambio, | |
e non ce ne fu uno che fosse il più lento | |
1390 | che non avesse un’armatura d’oro e argento. |
Andava in salvo in Germania; | |
quando si avvicinarono a Parigi, | |
i messaggeri erano a dieci leghe | |
e portavano presto la notizia. | |
1395 | Il re e i baroni si prepararono tutti |
a riceverla onorevolmente | |
come regina del mondo, | |
ma quella dama che fece il tradimento | |
pensò di fare diversamente; | |
1400 | ma la sua opera non le valse niente. |
Si finse malata, si stese in letto, | |
e comandò al suo servitore | |
che non lasciasse entrare nessuno nella camera, | |
e le finestre e gli usci | |
1405 | fece chiudere con forza, |
che nella camera né dietro né davanti | |
non si potesse vedere alcuna luce. | |
Tanto va la regina che si avvicina a Parigi, | |
il re le va incontro con tutta l’altra gente; | |
1410 | la regina vede il re, lo prende fra le sue braccia, |
per amore di sua figlia l’abbraccia dolcemente. | |
Quando furono alla piazza salì alla sala maggiore, | |
ma di sua figlia non vide nulla; | |
per cui si meraviglia grandemente, | |
1415 | e non può fare a meno di spaventarsi. |
Come la regina cavalca verso Parigi | |
e manda a dire al re che le venga incontro. | |
XLIII | |
Quando la regina fu salita al palazzo, | |
giacché il re i baroni l’avevano accompagnata, | |
guardò davanti e dietro: | |
non vide sua figlia, se ne meravigliò molto; | |
1420 | quindi interrogò il re: |
«Che è capitato a mia figlia? | |
Sono già sette anni passati e finiti | |
che non la vedo, e perciò sono partita | |
dall’Ungheria, un paese lontano». | |
1425 | Dice il re: «Ora non meravigliatevi; |
vostra figlia è a letto ammalata, | |
sono tre giorni che non si alza». | |
La dama ascolta, si spaventa tutta; | |
va alla porta della camera, la trova chiusa, | |
1430 | e quel servitore le andò davanti, |
disse: «Mia signora, per amor di Dio sopportate, | |
che il medico ha ordinato | |
che non entri nessuno. | |
La dama si è un poco addormentata». | |
1435 | La dama sente ciò, ne è tutta rattristata |
e se la prende con lui. | |
Lo afferra in malo modo, | |
gli dà uno strattone e lo tira indietro; | |
arriva alla porta della camera, la apre, | |
1440 | entra dentro a forza, |
e quando è nella camera vede una tale oscurità | |
che va ad una finestra e la spalanca. | |
Quando ci fu luce, andò accanto al letto | |
dove la dama era tutta avvolta, | |
1445 | e la regina le domandò: |
«Figlia», dice, «come vi siete ammalata? | |
Quando sono partita e ho lasciato l’Ungheria, | |
per amore vostro mi sono preoccupata». | |
E quella dama che fu nata in un’ora maledetta, | |
1450 | pur piano come donna malata |
risponde alla regina: | |
«Madre», dice, «ora perdonatemi, | |
giacché mi sono gravamente ammalata». | |
E la regina era saggia e rispettata, | |
1455 | le tocca il corpo nudo, |
e l’ha cercata nei fianchi e nel costato | |
e nel petto e davanti e dietro; | |
poi arriva ai piedi che non ha dimenticato, | |
li trova piccoli e non fatti | |
1460 | come li aveva Berta, la sua nobile erede. |
Quando vide ciò, si spaventò tutta | |
e disse: «Malvagia, mi avete ingannata!» | |
La regina non discute con lei, | |
anzi la prende per i capelli. | |
1465 | La regina aveva un gran impeto: |
suo malgrado e contro la sua volontà | |
la tira fuori dal letto, | |
la trascina a forza per il palazzo, | |
dando gran strattoni ai capelli. | |
1470 | Corrono tutti da lei buoni e cattivi, |
lo stesso re arriva di corsa, | |
e dice: «Mia signora, avete perduto il senno? | |
Che vi ha fatto vostra figlia perché la trasciniate così?» | |
La dama, come vede il re, lascia andare la dama | |
1475 | e prende il re, lo butta per terra, |
e gli dice: «Fellone traditore rinnegato! | |
Dov’è mia figlia? Ridatemela subito; | |
altrimenti siete nato in un’ora maledetta». | |
Tutta la baronia arrivò lì di corsa, | |
1480 | a nulla valsero amore o amicizia |
perché avesse pietà del re; | |
lo feriva con mani e piedi, | |
per poco non lo calpestava. | |
E quella dama se n’è fuggita | |
1485 | appena la gente della regina l’ha lasciata. |
Come la regina entrò a Parigi | |
e salì al palazzo e il re l’accompagnò. | |
XLIV | |
La regina non cercò consiglio, | |
per nessun motivo volle lasciare il re, | |
a nulla valeva che i baroni dicessero e la pregassero: | |
«Dama, perché date questo fastidio al re?» | |
1490 | E lei disse loro: «Non dovete meravigliarvi, |
perché non riesco a trovare mia figlia». | |
Allora il re si mise a pensare | |
a quella dama che aveva avuta al castello: | |
quando l’aveva vista la prima volta sul carro | |
1495 | le aveva trovato i piedi grandi come diceva sua madre; |
disse: «Mia signora, ora tiratevi indietro; | |
vi darò una buona notizia, | |
ma per prima cosa conviene che cavalchiamo | |
fino ad un castello accanto ad un giardino. | |
1500 | Credo veramente e ho questa speranza, |
che laggiù troveremo vostra figlia». | |
Disse la regina: «Non voglio che si tardi, | |
ma sappiate una cosa, senza menzogna: | |
che da me non vi separerete | |
1505 | finché non mi mostrerete mia figlia». |
Allora il re montò a cavallo | |
e così la regina con i suoi cavalieri, | |
e di quelli del re ne andò più un migliaio. | |
Dei messaggeri andarono avanti da Sinibaldo | |
1510 | per dirgli di preparare ogni cosa, |
che il re era in arrivo per divertirsi, | |
e non si volesse dimenticare la regina | |
che è partita l’altroieri dall’Ungheria. | |
Chi dunque avesse visto Sinibaldo preparare il castello | |
1515 | di ricchi drappi, di porpora, di zendado! |
E quando il re si avvicina | |
e Sinibaldo gli va incontro! | |
Il piccolo Carlo già aveva tre anni, | |
era abbastanza grande da poter camminare: | |
1520 | andò correndo a vedere suo padre. |
E la regina cominciò a domandare: | |
«Questo bambino mi pare lodevole, | |
dall’aspetto sembra prode e valoroso». | |
E la regina lo fa portare a sé | |
1525 | e dolcemente prende a baciarlo. |
Intanto scendono nel castello; | |
il re comincia a chiamare Sinibaldo: | |
«Fate che venga a parlare con noi quella dama | |
che sapete esservi raccomandata». | |
1530 | Dice Sinibaldo: «Di buon grado e volentieri». |
Entrò nella camera, la fece preparare. | |
«Dama», dice, «viene a parlarvi | |
il re di Francia che tanto è da lodare, | |
e la regina d’Ungheria viene a visitarvi». | |
1535 | Dice Berta: «Questo lo desidero volentieri». |
Come la regina d’Ungheria quando fu salita | |
al palazzo guardò dappertutto e non vide sua figlia, | |
e come andò al letto dove stava la malvagia. | |
XLV | |
Quando Berta udì quella notizia | |
di sua madre, il cuore le balzò in petto; | |
chiamò le altre damigelle: | |
«Venite con me davanti al castello | |
1540 | per vedere la regina che arriva da lontano». |
E quelle lo fanno, nessuna rifiuta. | |
Quando fu nel prato sotto al palazzo | |
e la regina, che era così bella, | |
vide tutte e tre le fanciulle | |
1545 | venire insieme fuori da una valletta, |
guardò sua figlia che portava una gonna: | |
la riconosce subito dai piedi e dal parlare. | |
Quando la riconosce non la chiama nuovamente, | |
il cuore le trabocca dalla gioia di vederla, | |
1550 | è più felice dell’onore di Tudela; |
le bacia spesso il viso e la guancia. | |
Come la regina d’Ungheria teneva | |
il re a forza e gli domandò se sua figlia non fosse laggiù. | |
XLVI | |
Il re Pipino non fu mai così felice: | |
quando riconobbe per certo e con sicurezza | |
che quellaa era Berta dai piedi grandi | |
1555 | che dapprima era stata sposa del re, |
non fu mai così felice in tutta la sua vita. | |
Disse Berta rivolta alla regina: | |
«Madre», disse, «ascoltate per certo; | |
per quest’opera e per questo fatto | |
1560 | non calunniate affatto il mio signore: |
se ho avuto mali e fastidi, | |
la colpa all’inizio fu mia. | |
Quella fanciulla che ho portato da Maganza, | |
mi fidavo di lei lealmente e di cuore, | |
1565 | e lei mi fece tradimento; |
non ne fece uno tale Giuda a Dio onnipotente. | |
Fui portata in un gran bosco | |
ad essere uccisa per suo ordine; | |
e tanto chiesi gran pietà e mercé | |
1570 | che mi furono perdonate l’ira e la malavoglia |
e giurai su Dio e i santi | |
di non tornare mai più in questa regione. | |
Tanto soffrii in quel gran bosco | |
che ne uscii fuori e trovai scampo; | |
1575 | mi trovò Sinibaldo che veniva cavalcando, |
mi portò in questo castello, mi ha fatto onore | |
come se fossi insieme sua figlia e sua sorella, | |
per la qual cosa gli sarò affezionata per tutta la vita. | |
Mi concessi al re, per cui ebbi questo bambino; | |
1580 | se vivrà, sarà prode e valente». |
E la regina non si ferma; | |
chiama il re, e dice rivolta a lui: | |
«Vi hanno soccorso Dio e la santa maestà, | |
perché per quel Dio che nacque in oriente, | |
1585 | se non avessimo trovata subito mia figlia |
vi avrei ucciso con un coltello tagliente, | |
e non avreste avuto scampo dalle mie mani». | |
Il re l’ascolta, e ride allegramente. | |
Quando la regina d’Ungheria vide sua figlia | |
la riconobbe immediatamente e ne ebbe gran [gioia]. | |
XLVII | |
Gran gioia ebbe il re Pipino | |
1590 | quando ebbe riconosciuta dama Berta |
ed ebbe udito da lei tutto quanto, | |
tutto quello che le era successo, | |
e come quella malvagia l’aveva tradita; | |
se l’era fatta portare, lei che era sua amica, | |
1595 | per ucciderla nel bosco frondoso. |
Il re giura sul Signore e su Gesù | |
che quella malvagia che ha permesso ciò | |
come meretrice verrà messa al rogo. | |
Il re di Francia non indugia oltre; | |
1600 | con la regina venuta d’Ungheria |
e con Berta che Dio ha soccorso | |
sono partiti dal castello | |
e sono tornati a Parigi. | |
Come Berta parlò a sua madre la regina | |
e le raccontò tutto quello le era successo e come fu tramato. | |
XLVIII | |
Quando il re fu ritornato a Parigi, | |
1605 | quella regina che fu tanto nota |
egli la portò con sé; | |
e dama Berta non fu dimenticata, | |
ha portato con loro il piccolo Carlo. | |
Grande fu la gioia per tutta la città, | |
1610 | grande fu la corte davanti e dietro; |
tutti biasimarono il tradimento | |
e la malvagia fu presa e legata. | |
Prima che la regina fosse partita e andata via | |
quella dama fu bruciata in un rogo; | |
1615 | per lei il re fu molto pregato |
dai baroni della sua famiglia. | |
La stessa Berta per la sua gran bontà | |
l’aveva domandato in dono al re; | |
ma tutto ciò non le valse una mela marcia, | |
1620 | perché la regina d’Ungheria n’era così addolorata |
che non l’avrebbe lasciata salva per tutto l’oro della cristianità. | |
E quella dama che fu nata in un’ora maledetta | |
prima di essere bruciata nel fuoco | |
si confessò molto bene: | |
1625 | disse a tutti i suoi peccati, |
chiese perdono a Berta, | |
e lei lealmente glielo concesse. | |
Ma perché far la storia più lunga? | |
Quela dama fu bruciata in un rogo. | |
1630 | Berta fece una cosa per cui fu molto lodata: |
non appena fu separata dal mondo | |
fu tirata fuori dal fuoco, | |
a San Denis dove c’è il grande abate | |
fu sepolta con grandi onori. | |
1635 | Lasciò due figli, |
furono chiamati Lanfroi e Landris; | |
e una bambina, le diedero nome Berta, | |
quella fu madre di Rolando il gran signore. | |
Ascoltate, signori, la gran lealtà di Berta: | |
1640 | quei due bambini che erano rimasti soli |
li allevò insieme a Carletto; | |
non sapeva affatto quello che le sarebbe accaduto. | |
Quando i due fanciulli furono cresciuti abbastanza | |
da poter prendere le armi, | |
1645 | fecero amicizia con i baroni |
e grazie al potere dei loro parenti | |
i traditori operarono in tal modo | |
che Pipino e Berta furono avvelenati, | |
con la qual cosa credettero di aver vendicato loro madre. | |
1650 | Avrebbero di certo ucciso e abbandonato il piccolo Carlo |
non fosse stato per Morando che lo portò via. | |
Non poté rimanere in terra cristiana, | |
andò con lui in Spagna, | |
fu presentato al re Galafrio | |
1655 | che lo nutrì e l’allevò; |
e sua figlia gli venne data in sposa. | |
Prima che questo romanzo arrivi alla fine | |
sentirete come andò la cosa; | |
ma prima ascolterete molte cose su Bovo d’Antona. | |
Come la regina parlò a Pipino e poi | |
partirono insieme e vennero a Parigi. | |
XLIX | |
1660 | Udite, signori, e sappiate: quando fu fatto giudizio della dama |
che aveva tradito dama Berta, | |
la regina era lì già da tre mesi; | |
e quando ebbe sistemato sua figlia | |
non volle rimanere a lungo, | |
1665 | giacché ricordava che il giorno |
in cui si era separata dal re | |
questi l’aveva dolcemente pregata di ritornare. | |
Al re Pipino e a sua figlia | |
domandò congedo bene e dolcemente, | |
1670 | e quando questi vide qual era il suo comando |
e ciò che le piaceva e che desiderava, | |
acconsentì a ciò che era suo desiderio. | |
Quindi Pipino si alzò in piedi | |
e assieme a lui i suoi baroni, | |
1675 | montarono a cavallo per scortare la regina. |
Berta vide sua madre, pianse teneramente, | |
e lei la baciò e le disse dolcemente: | |
«Figlia», disse, «ti raccomando a Gesù; | |
per grazia di Dio padre onnipotente | |
1680 | siete scampata ad un grande tormento. |
Sopra ad ogni cosa vivente al mondo | |
amerete per primo il vostro signore, | |
fatevi benvolere da piccoli e grandi». | |
«Madre», disse lei, «ne ho ben desiderio; | |
1685 | ciò che dite sarà tutto quanto concesso, |
e salutate dolcemente mio padre da parte mia. | |
Ma nel frattempo ricordatevi di una cosa: | |
non tornate affatto per il cammino | |
che avete fatto l’altro giorno, | |
1690 | per paura dei baroni di Maganza, |
che sono uomini nobili e hanno molti parenti; | |
potreste esserne molestati voi e la vostra gente, | |
crederanno con ciò di vendicare la traditrice». | |
Quella le rispose: «Farò il tuo comando: | |
1695 | andandomene attraverserò la Lombardia, |
poi proseguirò in nave e in battello». | |
Qui il racconto narra come la dama | |
che fece il tradimento fu arsa e bruciata. | |
L | |
Quando la regina scese dal salone | |
tutta la gente si alzò in piedi per lei | |
e lei salutò tutta la gente, | |
1700 | baciò e abbracciò sua figlia. |
Ciascuna pianse di pietà | |
e spesero molte lacrime; | |
la regina, che aveva così gran bellezza, | |
raccomandò sua figlia a Dio, | |
1705 | e segnò lei e Carletto. |
Quando montò a cavallo | |
il re Pipino montò dall’altro lato, | |
l’accompagnò con più di mille baroni. | |
E quei cavalieri che nacquero in Ungheria | |
1710 | si sono ben armati e preparati, |
per difendersi se mai trovassero battaglia. | |
Va la regina che fu ben scortata, | |
ha raccomandato sua figlia al re; | |
non sa affatto come siano andate le cose, | |
1715 | ciò che le fu destinato: |
non la vide mai più in tutta la sua vita. | |
Il re la condusse fuori dalla città, | |
l’ha accompagnata per più di quattro leghe; | |
le regina se ne va e lui torna indietro, | |
1720 | e da quel giorno in avanti la nobile Berta |
fu chiamata da tutti regina di Francia. | |
Ed ella fu di così grande bontà | |
che amò la piccola Berta | |
come se l’avesse portata nel suo stesso corpo, | |
1725 | e la nutrì e istruì così bene |
come fosse dama esperta. | |
E la regina d’Ungheria fu molto addolorata, | |
entrò in nave, e passò dall’altra parte;, | |
quando fu arrivata in Ungheria | |
1730 | il re le andò incontro: |
ci fu gioia da ogni parte | |
per la regina che era tornata indietro. | |
Dopo che la dama che fece il tradimento a Berta | |
fu giudicata, la regina partì e andò in Ungheria. | |
LI | |
Ora la dama era tornata dalla Francia, | |
tutti quelli della contrada ne ebbero gran gioia. | |
1735 | Il re vide la regina, la interrogò |
e le chiese notizie | |
di come il re Pipino l’avesse onorata. | |
E quella gli raccontò tutto quanto, | |
come sua figlia fu sostituita | |
1740 | tradita ed ingannata da una malvagia: |
«Sappiate, buon re, che se io non fossi andata là | |
vostra figlia sarebbe rimasta per sempre orfana del regno, | |
non sarebbe mai stata incoronata regina di Francia; | |
per grazia di Dio e della mia bontà | |
1745 | ho tanto fatto e operato |
che è stata proclamata regina di Francia». | |
Il re l’ascolta, la ringrazia, | |
la bacia tre volte per il suo arrivo; | |
ed entrambi ne hanno gran gioia. | |
1750 | {Di qui in avanti si allunga la canzone, |
lasceremo il re che fu felice e contento; | |
torneremo a Bovo d’Antona, | |
come fu assediato da Pipino | |
contro il volere dei suoi ricchi baroni.} | |
Come la regina d’Ungheria si separò | |
dal re Pipino e da sua figlia e se ne andò nella sua terra. | |
[…] | |
Come la regina d’Ungheria ritornò | |
nella sua terra e raccontò la notizia al re. |
I
Li rois Pepin avec ses baron
tenoit gran cort a Paris sa mason,
e fu a Pentecoste dopos l'Asension.
Çente li fu de mante legion;
5
Aquilon de Baiver li adota e semon
et avec lu Bernarde de Clermon,
Rayner li pros e li conte Grifon.
Gran fu la cort, major non la vi hon.
Çivalçent e bagordent, donent robe a foson;
10
dist l'un a l'altro: «Por qe le çelaron?
La cort de li rois no valt un boton
quando non oit une dame al galon,
dont il aust o fiol o guarçon
qe apreso de sa morte e de sa decesion
15
qe fust nostre rois cun esere dovon
e mantenist en pase soe rion,
e par lu aumes guarison».
Grant fu la cort entorno e inviron.
Quando li rois vol montar en arçon
20
avec lui en monta plus de mil baron,
tuti filz de çivaler, de dux o de con;
mais seguente li rois ne le fo nesun hon
qe tanto fust avanti como fu Aquilon,
qe dux è de Baivere, de celle region:
25
en tot Alemagne non oit conpagnon.
Et avec lui si fu Bernardo de Clermon,
e Morande de Rivere e le dux Salamon.
Or stetes en pais, si oldirés sta cançon
de diverse colse qe nu vos contaron,
30
tal tradimenti qe mais ne le oldi hon:
e por una dame el cresé tel tençon
donde ne morì plus de .x. mil baron,
e França tota fu en tel tençon
nen fust Deo qe le fe reençon
35
le batesmo fust a destruçion:
trosqua a Rome fo la persecucion.
Coment fo la corte grande del rois Pipin,
e li rois e baroz qi la guioient, e du çubler.
II
Grant fu la cort, meravilosa e plener,
qe li rois Pepin oit fato asenbler.
Asà li sont baron e çivaler,
40
mandé avoit par tot la river;
a asà li son venu bufaor e çubler
e altra jent, peon e baçaler,
por veoir celle cort e por le tornoier;
e por veoir baler e danser
45
li son venu plu de .x. miler,
qe tot avoient da boir e da mançer.
Ne le fo nul qi fu li plu lainer
qe le fose dito qe se trese arer.
Li çivaler bagorda por li verçer
50
e por amor de dame çostrent a tornoier:
doncha verisi mante robe mostrer
de diversi color de palij e de çender,
qe pois li ont doné a li çubler
por farse anomer por l'estrançe river.
55
Ma un çubler li fu qi fu li plu alter
e qe era adobé a lo de çivaler,
et estoit plu anomés en cort de prinçer
qe nul autres qe faça qel mester.
Ben savoit tornoier e bagorder
60
e ben parler e molto ben derasner.
El no è cort de là ne de ça da mer
qe s'el ge volu aler et erer
qe in tot cort no sia ançoner;
si dona le robe a qi le vol doner.
65
Lengue el soit de plesore mainer;
en Ongarie avoit eu gran mester,
e celle rois qe l'oit a governer
a gran mervele l'amoit e tenoit çer.
D'Ongarie soit e l'insir e l'intrer:
70
si conose de li rois e li filz e li frer,
e ensement Belisant sa muler.
Et oit veçu sa file qe molto se fait loer,
bella e cortois cum le çio del verçer;
tant è sa belté qe nul homo la poit blasmer.
75
Ma una colsa oit qe la fa anomer:
Berta da li pe grandi, si se fa apeler,
de fin q'era petita si la clamò sa mer.
E qui vora ste roman ascolter
e por rason le vora adoter
80
pora oldire de qi la fo mer:
d'ele nasi Karlo li enperer,
qe po fu rois de tot li batister.
Mes avanti q'elo aust eu a governer,
petito fantin s'en convene scanper,
85
el no fo tera qe l'olsase bailer:
a Saragoça cun turchi et escler
li convene stare e demorer;
son per si li fo morto e Berta soa mer,
qe du son frer le fe atoseger.
90
Mais el ge fo un valant çivaler
qe mais no'l volse deliquir ni laser,
e quello fu Morando de River;
e li rois Galafrio si le fe alever,
avec Marsilio li fasoit mançer.
95
Ne vos pois tot li plais aquiter,
coment el s'en foçì coiament al çeler:
si le conduse Morando de River,
por la paure de qui malvasi escler
qe li voloit oncir e detrencer;
100
por sorte i pooit e veoir e trover
qe custu dovoit regnar toto l'inperer
et eser rois de tuto li batister.
Trosque a Rome a l'altare de San Per
li amenò Morando de River,
105
eviec li rois qi [fu] per de sa mer
li vene en secorso cun .x. mil çivaler;
e Lanfré e Landros qe erent anbidos frer
de li reame li farent descaçer,
dont furent morti, cun vos oldirés conter.
110
E cun Damenedé li voir justisier
mandò ses angle c'un clama Gabrier,
qe coronò Karlo maino en primer
de la corone de lo santo enperer;
por ço devés vonter sta cançon ascolter.
Coment li çubler parlò al rois Pepin
e si li conte la belté de dama Berte, e de son per.
III
115
Grant mervelle fu celle çubler valant:
saço e cortois e ben aparisant,
e soit ben parler en lengua de romant;
de tot le cort el soit le convant
e de l'afaire el soit li fondamant.
120
El ven davant li rois, si li dist en riant:
«Ai! Sire rois de França, molto estes manant,
la vestra corte è bella e avenant,
non è major en le bateçamant;
s'io çerche jusqua in Jerusalant
125
non trovo nula c'aça baron tant.
Ma non vos poés apriser la monte d'un besant
quando dama non avés a li vestre comant
donde vu avisi e fio e infant
qe pois la vestre morte mantenist li reant.
130
E quando a vos el vos fust a talant
una vos contaria cortois et avenant,
et è filla de rois cun vu sì ensemant;
plu bella dame non è in oriant,
nian plu saçe, se la mer no me mant.
135
Una colsa oit qe tegno por niant:
ela oit li pe asà plus grant
qe nulle autre dame qe soit de son convant:
Berta da li pe grant, si l'apella la jant.
E soa mer oit nome Belisant,
140
plu francha rayne no è a li segle vivant;
son per estoit rois d'Ongarie la grant».
Li rois l'intent, si s'en rise bellemant,
et al çubler el mostrò bel senblant;
por cella parole el non perdé niant,
145
doner li fe robe e guarnimant
et in apreso un palafroi anblant.
Coment li rois Pepin fi gran çoia por la parole
qi li dixe li çubler, e si apelò sa jent.
IV
Quando li rois Pepin oit la parola oie
qe cil çubler oit arasn[i]e,
a gran mervelle le plase et agrie
150
e conose ben q'el non dise stultie.
De la parola oit son cor abrasie:
tanto[s]to cun il oit la parola finie
le rois Pepin ne la oblia mie;
el se comanda a Deo le filz Marie,
155
a le çubler fi far gran cortesie
de riche robes, de palio e de samie,
un palafroi li done a la sella dorie.
Li rois li oit la soa fo plovie
qe s'el avent qe cel sia conplie
160
qe cella dame el aça por amie
e por muler elo l'aça sposie,
tant li donera avoir e manentie
asà n'avera tot li tenpo de sa vie,
mais no li fara mester fare çugolarie;
165
e le çubler molto ben le mercie.
Li rois Pipin no se ne tardò mie
ne n'oit metu la colsa en oblie:
el fa apeler la soa baronie
et avec lor la soa çivalerie,
170
Aquilon de Baviere, o cotanto se fie,
e Bernard de Clermont a la çera ardie,
Morando de Rivere e li cont de San Çie;
plus de cento baron el n'oie:
«Segnur», fait il, «ne lairò nen vos die:
175
conseil vos demando d'avoir conpagnie
de una dame qe estoit d'Ongarie,
fila est li rois e saça e dotie.
Se me doneç dama, vu farì cortesie;
forsi le voroit le fil Sante Marie
180
qe d'ele averoie o fiolo o fie
qe guardera ste regno quando sarò fenie».
V
Li primer qe parlò fu li dux Aquilon
qe ten la tere entor e inviron
e quel fu pere de le dux Naimon.
185
En estant fu, s'apoia a un baston,
davant Pepin el dist una rason:
«Gentile rois, por qe vos çelaron?
Grant è vostra tere e grande region,
anomé estes plu de nul rois del mon,
190
asà avés çivaler e baron;
se vu morise sença filz o guarçon
entro nos seroit e nosa e tençon:
qui de Magançe e qui de Besençon,
e qui d'Austrie cun quille de Clermon,
195
çascun de lor demandaroit la coron;
ma s'erese avés a ves decesion
questo non po avenire por nesune cason.
Ora prendés le conseil qe vos don
e non creés a dito de bricon:
200
prendés una dame de qualche region
qe filla estoit de rois o de con;
e non è nulla jusqua li Carfaraon
se la vorés, qe i no ve la don
cun grant avoir e cun grande machon».
205
E dist li rois: «Ben vos entendo, Aquilon;
li ves conseil senpre ò trovà bon,
ma' no me diisi colsa de traison
ne qe a nul fese altro qe ben non».
Coment li dux Aquiluz de Baiver fo li primer qi dona li conseil a Pepin.
VI
Bernardo de Clermont si fu en pe levé.
210
Saçes homo fu, si fu ben adoté;
pere si fu Milon, si como vu savé,
e quel Milon fu per Rolando l'avoé,
si oit par muler Berta la insené.
Quando de la cort elo fu sbanoé
215
d'ele naque Rolando, si con vos oldiré
avant qe ces roman soia toto finé.
E Bernardo parlò cum sajes e doté:
«Çentile rois, saçés por verité
e' no so pais qe vos en demandé;
220
Aquilon v'oit un tel conseil doné
qe ça par moi nen sera amendé.
Quel qe volés faire si le faites en bre,
de prender dama e saça e doté.
Ora ne dites se n'aveç rasné
225
de nula qe soit en la cresteneté».
«Si ò», dist li rois, «s'el vos vent a gré:
fia d'un rois e de gran parenté
de Ongarie e de quel regné.
S'el me la done seron çoiant e lé,
230
qe un çubler qe è qui arivé
por veoir questa cort e la nobilité
tuto li son afaire el m'a dito e conté:
qe in la dama no è nul falsité,
salvo q'ela oit un poco grande li pe.
235
Nian por ço non voie qe stagé,
q'ila po avoir, qe no la demandé».
Li baron s'en rist, si s'en oit gabé.
Dist li rois: «N'el teneç a vilté;
se Deo me dona gracia no m'aç'a refué,
240
por qe eo sui petit e desformé,
altament eo serò marié».
Coment parlò Bernardo de Clermont.
VII
En son estant Morando se leva,
quel de Rivere, qe gran segnoria à:
meltre de lui non è en crestentà.
245
Dist a li rois: «Mun sire, entendés ça:
veeç Aquilon qe v'a li conseil donà,
en crestentés non è milor ne unques non sera.
Qui mesaçer prendés qe se convegnera;
mandés en Ongaria, la dama querira
250
a quello rois qe la ençendra,
qe l'oit norie e qe in cura la à.
S'el vos la done, i vos la menara;
colsa como no, arer tornera».
Dist li rois: «Qi envoier là pora,
255
e qi de ço li conseil me dondra?»
Dist Aquilon: «Penseo e' l'ò ça,
si qe nesun no le stratornera.
Colu voio eser qe li pla movera;
Bernar de Clermonte avec moi vera,
260
e Morande de Rivere qe nos convoiera,
e Grifon d'Altafoile qe li rois tant anama».
Doçe furent qe Aquilon oit nonbra,
tot li milor qe in la corte à;
no le fo nul li qual s'en escusa,
265
çascun li vait de bona voluntà.
Mal aça quel qe proier se lasa!
De riçe robes çascun si s'adoba
e son poeir çascun si mostra.
Coment Morando de River
donò li conseil.
VIII
Aquilon de Baiver e li altri anbasaor
270
por conplasir a li rois qi tenent a signor
se font far robes de diversi color,
a li palafroi le selle pinte a flor
tute endorés de oro le milor.
Çamais tel anbasea non se vit ancor:
275
de doçe baron colu qe i è menor
avoit a guarder richo çastel e tor
e richa cité por li ses ancesor,
qe mas non querent labor
da Deo e da Pepin qe tinent por segnor.
280
Li rois lor dist dolçement por amor:
«Entendés moi, li me anbasaor,
e' vos voio proier por Deo li criator
e si cun a vos en cal de mun amor,
qe a li rois d'Ongrie non sià mentior,
285
le vor diés, non sià boseor,
de ma fature e de mes cor ancor:
s'el vos dona sa file, mené sia a onor;
colsa como no, tosto faites retor,
qe d'altra dama nu pensaron ancor».
290
Dist Aquilon: «No ve metés en iror,
tosto conpliron ceste nostre labor».
Coment fo aleu li anbaseor qi devent
aler en Ungarie por la file li rois.
IX
Li mesaçer nen son pais demoré,
a son oster se son reparié
et a li rois conçé oit demandé;
295
et el li oit doné e otrié.
De riçe robes fo ben çaschun coroé
e palafroi richament açesmé;
plus de trenta somer ont d'arnise carçé,
e quant de tot i furent aparilé,
300
avant qe de Parise i fosen desevré,
li fo la mesa dita e l'oficio çanté
e tuti doçe furent cominié
del cor Jesu benei e sagré.
E quando i venent a prender li conçé
305
li rois meesme fu a çival monté
cun plus de mil de li son parenté;
avec lor i sont çivalçé
plu de dos legue fora de la cité;
pois s'en tornent, a Deo li ont comandé,
310
e qui s'en vont baldi, çoiant e lé.
Nen son pas mie por Alemagna alé,
cun i farent quant furent retorné;
por la Provençe i sont oltrapasé
e Lon[bar]die cun est lunga e lé,
315
e a Venecie i furent in nef entré,
qe in Sclavanie i sont arivé.
Qui n'ese in tere e sunt açaminé;
tant alirent nen furent seçorné.
Li rois trovent a una soa cité,
320
o il avoit lungo tenpo esté.
Li anbasaor si se sunt ostalé
a li milor albergo qe soit en la çité
e quant i oit e bevu e mançé
li son oster oit a li rois mandé
325
qe anbasaor sont de França li regné:
a lu li oit li rois Pepin mandé,
si le porta novela de gran nobilité
dont el sera molt çoiant e lé.
E li oster fu saço e doté,
330
ne non oit mie la ovra oblié:
vent a li rois, si ge l'oit conté.
Coment li mesaçer s'aparilent del tot quele
coses que mestere li avoit.
X
«Mon sir», dist l'oster, «e' no vel voio noier,
descendu sont anco a mon oster,
dise qe son de França vegnu qui a vos parler
335
da parte li son rois qi est de gran berner
e novelle v'aporta dont le devreç agraer;
quant el vos plait, vos vira a parler».
Quando li rois oit oldu li oster
e la novele q'el dis di mesaçer,
340
el promis a Deo, li voir justisier,
qe no li envoiara nesuno mesaçer,
ma il meesme li alira amener.
Nen volse pais longament entarder:
de ses baron, quanti ne pote trover
345
tuti li foit a uno amaser,
cun le çentil homes li milor de son terer
vont arer li cortois hoster.
Quant a sa mason venent aprosmer,
li oster fu sajes, si s'avoit desevrer.
350
Avant vait corando anonçer,
a li anbasatori dire e conter
qe li venent veoir e convoier.
E ci non volent mie tant aspeter
qe li rois doust in l'albergo entrer;
355
defor ensent por li rois honorer.
A l'incontrer l'un l'autro s'en vont acliner
e dolçement l'un l'autro saluer;
por man se prendent, se metent a erer
tros li palés sor la sale plener.
Coment li anbasaor entrent
en Ongarie e parlerent a li rois.
XI
360
Li rois d'Ongarie si fu saço e manant,
cortois e pros e ben aparisant;
a qui anbasaur en mostrò bel senblant,
si le demande e ben e dolçemant:
«Qe est de mun segnur le riche rois de Franc?»
365
E cil li dient: «El è sano e çoiant,
e si vo ame de cor lialmant».
Dist li rois: «Soia a li Deo comant».
Molto se mervele li rois e soa çant,
nen cuitoit pais tant fust la colsa avant.
370
Li rois si fu cortois e valant,
le primer jorno ne le dise niant,
me l'altro jorno elo'l fi saçemant:
el fe convoier di meltri de sa jant
tant q'il n'avoit plus de centosesant.
375
Un disner el fi fare molto richo e grant,
e qui mesajes si li fu al presant
honoré fu de molto riche provant,
si qe molto le loent li anbasaor de Franc.
Ma una colsa li fu qe despresiò vilmant:
380
qe no se mançava sor disches ni sor banc;
le tables furent mises desor li pavimant,
quando ci le veent si s'en voit gabant.
Aquilon estoit pres li rois en seant,
si le parle belement en riant:
385
«Ai! Sire rois, vos estes si manant,
aveç tel carestie de dische e de banc?
En nostra tere si manue li truant
e la jent povre e la menue jant,
qe non oit da spendere or coito ni arçant.
390
Mais s'el vos el no vos vait noiant,
deman faron pariler altremant».
Dist li rois: «Soia a li ves comant»;
dont farent pariler disches e banc.
Quant li rois le vi, si le diste belemant:
395
«Faites così en le tere de Franc?»
«Oil voir, sire, le petit e li grant,
li çivaler e tot li mercaant».
E l'altro jorno qe fu ilec seguant
li rois con li mesajes si fu al parlamant;
400
afor li rois ne le fo homo vivant;
en una çanbre furent coiemant,
e Aquilon si parlò primemant,
si le dist l'anbasea, dont li rois fu çoiant.
Coment li rois d'Ongarie aloit encontre li anbasaor
li rois de Françe, e coment se parlerent
e dient l'anbasea li rois som signore.
XII
«Bon rois d'Ongrie, e' voio qe vu saçé:
405
celu qe a vos nos ont envoié
est rois de Françe d'un molto bon regné.
De crestentés est li plus doté
e en le cuitrés est le plus honoré.
El n'oit a vos tramis et envoié
410
por grant amor e por nobilité:
avec vos voria parenté,
se eser poust e[n] voluntà de Dé,
de una vestra file qe molto li è loé.
El non a feme de ch'el aça rité:
415
se le volés dare vestra file a sposé
elo la prendera volunter e de gré,
et avec vos si fara parenté.
Ma d'una colse no vos sera çelé,
a ço qe unqes non fomes blasmé,
420
de soa fature vos dirò verité:
petit homo est ma groso è e quaré,
e de ses menbres est ben aformé.
Questa anbasea el vos oit mandé
e da sa parte vos l'avon noncié».
425
Dist li rois: «Vu siés ben trové!
Dites vos questo por droita verité?
È mon segnor tant ver de moi decliné
qe avec moi vol fare parenté
e qe ma file soia soa sposé?»
430
«Oil», font il, «por ço n'oit envoié».
Dist li rois: «E voio que vu saçé:
la fatura de li rois vos m'avés conté,
et eo de ma file vos dirò verité.
Asà estoit bella e adorné,
435
ma una colsa oit qe no v'ert çelé:
major d'altre dame oit grande li pe.
Mais una colsa voio qe vu saçé:
tanto e' ò mia fila amé
e ma muler qe l'avoit alevé
440
qe se a li plase, est otrié e graé;
colsa como no, nient aveç ovré:
no le daria a homo, s'el no g'è ben a gré».
Dist Aquilon: «Dito avon l'anbasé.
A la demant, quant l'alba est levé,
445
si vos pregon qe vos ne respondé».
Dist li rois: «Voluntera e de gré».
Coment Aquilon de Baivere dise a li rois proiamant l'anba-
sea de li rois de Françe e coment li rois en fi gran çoia.
XIII
Li rois d'Ongarie si fu legro e çoiant,
de l'anbasé el foit saçemant.
Li mesaçer honorò riçemant,
450
a lor delivre ço qe quer et demant,
e si le foit hostaler riçemant
de tote quele colse qe a çenti hon apant.
Le çentil rois non s'areste niant,
entra en sa çanbre, si trovò Belisant,
455
soa çentil muler, cun Berta a parlamant.
Quando li rois le vi, si li dist en oiant:
«Dame», fait il, «honor vos crese grant:
se vu li otriés, nu avon bon parant,
qe li rois a chi França apant
460
m'oit envoié anbasaor de sa çant
por querir ma file Berte da li pe grant;
por muler la demande, s'ela li consant.
Mes avant qe l'ovre vait plus avant
de sa fature e' vos dirò alquant:
465
el est petit e non guare mie grant,
desformé est da tote l'autre jant,
si est groser in menbres et in flanc;
ma noportant ben sest en auferant,
si è prodon en bataile de canp,
470
rois è de Françe corona d'or portant.
Non è nul rois en le segle vivant
qe de nobilité soit a lu parisant».
Quant la parole oit oldu Belisant,
sa fille guarde, si li dist en riant:
475
«Filla», fait il, «a vos ven ste convant:
vostro per vos à dito tot li convenant
de sa fature e de le so senblant;
s'elo vos plait, dites seguremant,
colsa como no, no s'en fara niant.
480
Asà avon de l'or e de l'arçant,
ben vos poon ancora guarder longo tanp,
e pois vos donaron a un altro amirant
qe forsi a ves sera plus en talant
qe cil no è, qe par petit enfant».
485
Berta oldì si parler Belisant
soa çentil mer, qe la perama tant,
e de son pere oldì li convenant;
ça oldiré parler Berta da li pe grant,
e coment a li per parlò saçant,
490
ne la poroit reprender hon qe soia vivant.
E la raine c'oit nome Belisant
ancor a sa file parlò en oiant:
«Filla», fait ila, «entendì saçamant:
ancor non savés qe soia hon niant,
495
ne prender celui qe no le sia a talant
e qe de lui ben no se contant.
Colu qe prenderés, o petit o grant,
viver devés con lui a tuto ves vivant:
non fi doné la dame par un dì e un ant.
500
Ma se dapois no li plas, da q'è fato li convant,
e qu'ela faça colsa qe non sia avenant,
a son segnor porta tel penetant:
brusea fi, çité la polvere al vant,
senpre n'oit vergogne tot li ses parant,
505
dolente ne sont a tute son vivant.
Questo te diç eo ben si por tanp
qe io non poria pois aver blasmo da la jant;
s'el ben te plas, dilo seguremant,
e no te dotar de hon qe soia vivant;
510
cha por çel Deo qi naque in oriant,
qe dapois qe serés alea a son comant,
e vilanie li fais de niant,
e non staroge par tot l'or qe fu anc
qe de vu non venisse a far li çuçemant».
Coment li mesaçer contoit la novele a li rois
d'Ongarie e coment li rois de Françe en fi çoya.
XIV
515
«Filla», dist la raine, «e' vos voio enproier
qe primament vos diçà porpenser
s'elo vos plas cel petit çivaler
qe est rois de Françe e de Baiver;
veeç qui avec nos vos per,
520
qe contra vos voloir ne vos le vole doner;
cortesement a quilli mesaçer
de l'anbasea li respondera arer,
si qe nu no seren pas mie da blasmer».
Quant la polçele olde sa mer parler
525
et avec lé la vede son per,
un poco porpense, si le respont arer:
«Pere», fait ella, «e vos qe sì ma mer,
si me devés droitament conseler;
el est venu da França mesaçer
530
qe molto sonto da loer e priser:
li rois de Françe si me vol por muler
e cum raine far moi encoroner.
E' no so pais ne dire por rasner
coment me porisi plu altament marier;
535
se dites qe celle rois cun altro çivaler
non è pais si grande ni plener,
nian por ço no li voio refuser:
qe de petito albore bon fruto se po mançer,
e quel del grant si non val un diner.
540
Questa ventura qe Deo vos vol doner
si la prendés de greç e volunter,
et eo si vos l'otrio e le voio volunter.
Et a vos, raine, qe estes mia mer,
de moi non açà unchamés reo penser,
545
qe de moi oldés ne dire ni conter
nulla colse qe vos diça noier;
mon segnor amarò de greç e volunter».
Li rois l'intent, si la vait acoller
e por la façe droitament a baser;
550
quant el olde sa file li pla acreenter
s'el oit çoie non è da demander.
Por man el pris soa çentil muler,
sor le palés venent a li mesaçer,
e lasa sa file entro la çanbra polser.
Coment li rois e la ragina parlarent
a sa fille si le dient la fature de li rois.
XV
555
Li rois d'Ongarie, c'oit nome Alfaris,
a gran mervile estoit de gran pris;
e sa muler oit si le cor ardis,
non è çivaler en toto quel pais,
conte ni dux, principo ni marchis,
560
qe la olsast guarder por mé le vis.
Quant vide li mesaçi del rois da San Donis
e vide qe tot sont çivaler de gran pris,
ela voit a celu qe li par plu altis:
ce furent Aquilon de Baivera marchis;
565
por la man li prent, si le fait bel vis,
e dolçement ela li parla e dis:
«De vestra venue, segnur, gran marcis.
Da parte li vestre rois, qe oit nome Pepis,
si nos avés tel colsa requis
570
qe vos si n'avrés toto li vos servis,
qe mia file si n'è ben talentis;
dont çoiant tornarés en le vestre pais,
si menarés ma file qe oit cler le vis».
Coment la raina d'Ongarie fu saçe
e ço q'ella dist a sa fille Berte.
XVI
Aquilon de Baiver si fu en pe levés,
575
a gram mervile fu saçes et dotés;
si fo vesti d'un palio rosés,
grant oit l'inforchaure e por le spale lés;
quella raine el oit merciés.
«Dama», fait il, «nen vos sera çelés:
580
nu semo doçe, tal dux tal amirés,
de nostre rois nu semo tuti casés,
e li menor oit çasté e çités;
e si vos poso ben çurer por lialtés
qe in toto li mondo de la crestentés
585
el non è rois, prinçes ni amirés,
qe de li rois de Françe se'l tenis por viltés
de avec lui avoire parentés.
Quando nu averon vestra file amenés
e qe raina sera encoronés,
590
ela sera de Françe raina clamés,
a gran mervile n'en porì eser lés.
Se li rois è petito, Deo si l'oit formés;
ma noportanto, saçà por verités,
prodomo ert a çostrer en tornés:
595
el non è çivaler quel q'è en li plu menbrés,
cun q'il non çostri a lança e a spes».
La dama s'en rist bellament e soés
e dist a Aquilon: «Dites moi verités:
estes vos sire, conte ni amirés,
600
[al] roi ni drudo ni privés?»
«Si son, ma dame, en mia lialtés;
se li rois non fust en nos tot fiés,
el no n'averoit qui alois envoiés».
Dist la dame: «Ben senblant n'avés;
605
a ves voloir et a ves voluntés
ve soit mia file del tot delivrés,
a celle rois qe vu si l'amenés,
q'elo ne façe la soa voluntés».
Dist Aquilon: «Mille marçé n'aiés! »
Coment Aquilon de Baivere parlò
a la raine por veoire soa fille Berte.
XVII
610
«Çentil raine, nen vos doit noier,
se vestra file vu ne volés doner
nu la prenderon de greç e volunter,
e por li rois nu l'averon sposer,
e pois avec nos nu l'averon mener.
615
Mais d'una ren nen vos voio enganer:
quando li rois de Françe ven a prender muler,
avant qe cun le dame el se diça acolçer
se fait la dame tuta nua despoler
e fi ben guardea e davant e darer;
620
s'el aust altro q'ela non par mostrer
lo mariaço se tornaria arer».
Dist la raine: «Non açà quel penser,
qe la ma file vos farò despoiler
si la porés tot por menu çercher.
625
Se vu no la trovés tuta sana e sençer,
afors li pe, d'altro no me porés blasmer».
Dist Aquilon: «De qui no ve requer.
Ma se me volés sor vostra fois creenter
q'el è ço voir qe vos oldo conter,
630
ben me averò en vos afiançer».
Dist la raine: «Entendés, çivaler:
nen voio qe unchamés vu m'en diçà blasmer.
Entro ma çanbre venerés al çeler:
e' vos farò ma file despoler,
635
tota nua la porés veer».
Qe vos doie li plais plus alonçer?
Quella raine prist di çivaler
dux Aquilon e Morando de R[i]ver;
cun ceste dos vait en la çanbra entrer
640
e soa file oit fata despoler.
A cele dos la mostra e davant e darer;
qui s'en contente, si s'en retorna arer.
Qi donc veist tot li mesaçer
avec li rois la gran çoia mener!
645
Li rois nen volse la ovra oblier;
el fa sa jent e baron asenbler,
tot li milor qi fu de son terer,
por venir a sa file q'elo vol nucier.
Gran corte fo e davant e darer,
650
donda verisi çivaler tornier
e celle dames baler e caroier;
por amor de Berte le veises danser.
Quella corte durò quinçe jor toz enter;
quant Aquilon vait a li rois parler
655
por domander conçé, si s'en volent aler,
e a la raine dolçement proier
qe soa file li diça delivrer.
Dist la raine: «De greç e volunter;
or me laseç ma fille adorner».
Coment la raina mena Aquilon
por veoir soa fille nue.
XVIII
660
Cella raine si fu saça e valent,
a gran mervele oit li cor molt çent,
a soa file parloe dolçement:
«Filla», fait ella, «li penser vos soment;
e' vos ai mariea molto onorablement,
665
donde portarés corona d'or lusent;
e si vos ai delivrea a una strania gent,
mener vos dovera a son comandament.
Asà vos donarò e or coito e arçent:
siés cortese e ben aparisent,
670
q'i no vos tenise raina da nient;
a lor donés robe e vestiment.
Sor tute ren de li mondo vivent
vestre segnor amerés loialment,
si le farés toto li son talent;
675
serés cortois a tote l'autre jent:
a çascun servés loial e droitament,
faites qe de vos no se blasmi escuer ni sarçent».
Dist la dama: «E' l'o ben en talent,
loial e' tegno vestro castigament;
680
et eo lo tirò a tuto mon vivent.
E de questo states segurament».
Coment la rayne semonisoit sa fille;
tuto ço qe faire devoit en tot li otria.
XIX
Dux Aquilon li bon conseleor,
unques al segle nen estoit un milor
ne qe a li rois faist major honor,
685
per fu de Naimes qe sor tot fu la flor;
dist a li rois dolçement por amor:
«Ai sire rois! Par Deo le criator,
pois qe nu avon aconpli nos labor
car ne faites bailer de Pepin sa usor,
690
qe torner volen en le tere major
e vestra file mener a grant honor».
Dist li rois: «Volunter, sens busor».
Coment Aquilon parole a l[i rois]
e demandete sa fille.
XX
Li rois d'Ongarie nen volse demorer,
el apelò Belisant sa muler:
695
«Dama», fait il, «veeç li mesaçer,
li qual ne vole vestra fila amener.
Car ge la bailés, se l'avés fata adorner
de tot quelle colse qe li oit mester,
qe no li manchi ren che se posa penser».
700
Dist la raine: «Laseç quel pla ester;
si grandement nu l'averon mander
ne li faliria solo a li soler:
tot ses arnise ò fato renoveler».
Adoncha fait venir li mesaçer,
705
de l'autra parte Berta li fait erer:
«Segnur», fait ella, «ne vos doia noier,
prendés la dama a ves justisier
e sana e salva vu la diçà mener
a son segnor qe l'oit a desier».
710
Qui li dient: «De greç e volunter».
Un palafroi fait la raina coroer:
qi sol la sela volese bragagner
par mille livre ne la poroit esloier.
Gran fu la çoia quant vene al delivrer,
715
grande fu quando vene al desevrer.
Qi donc veist la raine soa fia baser
da l'autra part li rois qi è son per!
E la raine fait carçer .xv. somer
d'or e d'avoir, d'or coito e de diner,
720
e altretanti de robe da doner,
qe tuti erent de palij e de çender.
Quando s'en prendent aler li mesaçer,
qe soa file se deveroit desevrer,
li rois e la raine començe a larmoier;
725
e pois prendent a cival monter
a plus de mille nobli çivaler,
sa filla convoie plus de dos legue enter;
al departir i la vont acoler.
Li rois e la raine començe a larmoier;
730
i s'en torne e lasa qui aler.
I non soit mie li grande engonbrer!
Par Ongarie çivalçent trois jorni tot enter
qe del so non spendent valisant un diner.
Nen volse pais por Lonbardia torner,
735
por Alemagne se prendent a erer.
Quant i çonçent a çastel o docler
et elo sia ora de l'alberçer,
i no vol mais in hoster alberçer;
a cha de cont o de gran çivaler
740
quella dame i font desmonter
e richament la font hostaler.
No le fo dux, conte ni princer
qe por amor li rois qe França oit a bailer
ne la reçoit e vegala volunter.
745
E la raina tant fu cortois e ber:
s'ela trovava donçela da marier,
fila de qui qe l'avoit hostaler,
por cortesia li vait a demander
si le promete altament marier;
750
se i le done, mena sego vonter.
Tant çivalçent por via e por senter
qe una soir a l'ora del vesprer
en Magançe venent a alberçer
a cha d'un conte qe oit nome Belençer,
755
qe de qui de Magançe a cil tenps fu li plu alter.
Coment li rois apella sa muler
e coment li fu la dame delivriee.
XXI
Li mesaçer sont en Magança entré,
a cha de Belençer i sont alberçé,
e quel si le receve volunter e de gré,
por amor li rois li oit molto honoré.
760
Quel oit una file, plu bela nen veré,
qe a la raine fu si asomilé
e l'una e l'autre quant fusen asenblé
l'una da l'autre nen seroit desomilé.
A la raine venoit si a gré
765
al boir e al mançer ela li seoit a pe,
e in un leto anbesdoe colçé.
Terço çorno furent ilec seçorné;
avanti q'ela fost partia ni sevré
a son per l'oit queria e demandé
770
q'ela in França si vaga avec lé
e lì sea altament marié.
Tanto l'avoit Aquilone proié
e la raine, q'el li oit delivré,
e altament el li oit mandé
775
un di milor de la soa contré
li qual si fu de le so parenté;
por so bailo li avoit envoié
e qe li doni ço qe le fust a gré.
Li mesaçer sont a çival monté;
780
quando a Paris i furent aprosmé,
mesaçer ont a li rois envoié
qe la raine vent cun sa nobilité,
si altament con raina encoroné.
De quela colsa li rois si fu çoiant e lé;
785
el oit mandé par toto son regné
e fa venir li conte e li casé;
por aler encontre fu a çival monté
plus de mile de çivaler prisé.
Quando furent pres Paris a meno de dos lé,
790
e Berta fu lases e tuta travalé,
por q'ela oit cotanto çivalçé,
a la donçela oit dito e parlé:
«Çentil conpagna, coven qe me servé
d'una colsa donde v'averò gran gré.»
795
Dist la donçela: «Dites e comandé;
ço qe vos plait sera ben otrié».
Coment li mesaçer fu ostalé in Magançe
e coment la raine prist amor a la donçelle.
XXII
«Çentil polçele», dist Berte en oiant,
«toto me dole le costés e li flanc,
por lo çivalçer sonto de maltalant;
800
plus me confio en vos qa in persona vivant,
por ço vos di mon cor e mon talant:
se me devés unqamais servire de noiant,
en ceste noit farés li mon comant.
Si cun raine vos fareç en avant
805
e intrarés in le çanbre ardiamant,
et eo serò darere, starome planamant.
Cun li rois alirés in le leto solamant:
s'el vos volese toçer ni a vos dir niant,
si le proiés e ben e dolçemant
810
nen vos diça toçer trosq'a un jor pasant,
qe por le çivalçer tuta sì fata lant;
a l'altro jorno farì li son comant».
Dist la donçele: «De ço non dotés niant,
e farò ben ço qe a l'ovra apant».
815
Atant ven li rois con tota soa jant,
cun gran bagordi e desduti en avant;
le dame menarent molto honorebelmant.
A l'entrer de la çanbra la donçela ne se fa lant:
en le leto entrò quant li rois li comant,
820
e Berta sta darere, qe non fi esiant,
mais en sa vite nen fo cusì dolant.
Coment la raine proia la donçelle qe
por lé in celle noit se deus apresenter
al rois in le leit, magis non far son voloir.
XXIII
Quella donçelle nen fu pas lainer,
entro le leto ela se voit colçer;
nen fu hon ni feme qi li alast contraster,
825
si grande era la corte, nul hon a quel penser.
E Aquilon e li altri mesaçer
erent torné, alé a son hoster;
e dama Berta si stoit pur darer,
tal oit la vergogna non olsa moto soner.
830
E li rois se vait in son leito colçer
e quella dame strençer e toçer;
quando ven a ço qe la volse solaçer,
la donçella fu cortois, no se trase arer.
En cella noit cun ella fu enter,
835
ne fi li rois tuto li son voler;
ben la çercò tuta quanta por enter,
li pe trovò petit, dont s'en pris merveler
por la parola qe le dise le çubler;
e pois se prist entro soi penser:
840
«Li çublers si li dist por far moi irer».
Tanto n'à son voloir, nen cura de noier.
El prist li avoir, l'or coito e li diner
e le arnise de palij e de çender,
e si le done a qui cortisi çubler.
845
Li rois ne se pensava de sa dama mal penser:
cuitoit ben q'ela fust sa muler droiturer,
cum Aquilon le segnor de Baiver
en Ongarie l'avoit sposea primer.
Pasoit quel çorno e tuto l'altro enter
850
tant qe Berta le dist qe tropo poria demorer,
qe entro sa çanbra volea pur entrer.
Dist la donçela: «Ben lo voio otrier.
A cesta noit vos diçà pariler;
a le matin quant el avera soner,
855
e eo me levarò si como a orier;
enlora porés en le leito entrer».
E dist Berta: «Ben est da otrier».
Elo no sa mie qe le doit encontrer;
qe quela malvés, qe Dio doni engonbrer!,
860
fi li son bailo querir e demander
qe son per li donò qe la doust guarder;
a colu ela prist tuto l'afar conter.
Quant cel l'intent, molt s'en pris merveler.
Coment la doncelle par le volere de Berte
intra in lo leto cum li rois e ben fi son voloir;
si oldirés qe avene de Berte e coment fu traie.
XXIV
«Bailo», dist la malvés, «entendés ma rason:
865
quando eo me sevré de la moia mason,
mon per me ve donò por frer e conpagnon,
qe far deustes mon voloir e mon bon.
Quella Berte qe ça nos conduson
tot primament me donò'la li don
870
de colçer moi avec li rois enson,
mais toçer no me lasase por nesuna cason;
quella promese non valse un boton,
qe li rois si m'avoit, o e' volese o non.
Se tu fa ço qe nu vos contaron,
875
eo serò raine de Françe e da Lion
e de toi farò si gran baron
major de toi non sera en tota Le[ma]gnon».
Dist li bailo: «Dites, no li faron.
Deo me confonde qe sofri pasion,
880
se mais por moi le savera nul on».
Coment Aliç false feme stabli a sum
baillis qa .B. fut amenee in le boise a isillere.
XXV
Quella malvés, qe le diable oit tanté,
a cil son baille oit li afar mostré.
«Bailo», dist ela, «savés qe vos faré?
En cesta soire quant sera ascuré,
885
vu la prenderés oltra sa volunté,
e si le averés la bocha si esbaeré,
s'ela criast qe non soia ascolté.
Pois la menés en un boscho ramé,
e illec soia morta e delivré.
890
En un fosé vu si la seteré
qe d'ele mais no se saça novella ni anbasé».
E quel le dist: «Jamés plus non parlé.
Meio farò je qe non l'avés devisé».
«Alé», dist ella, «e tosto tornaré».
895
E quel s'en est da la dama sevré.
Avec lui avoit dos autres demandé
li qual furent de la soe contré.
Quant vene la noit qe li jor fu pasé
a l'ora qe la malvés li avoit ordené,
900
qe la raine cuitoit conplir sa volunté
et avec li rois in leito eser entré,
e cil malvés la ont e presa e ligé,
e por la boçe la ont esbaré.
Via la portent oltra sa volunté
905
e si isent de Paris la cité;
nen demoren tros li boschi ramé.
E pois la ont desbaré e deslié;
oncir la volent: quela quer piaté,
da[va]nti lor se fu ençenoilé.
910
«A! segnur», fait ella, «merçé, por l'amor Dé!
No me onciés, qe farisi gran peçé.
Se vu la vite por Deo me lasé
en tal logo andarò, mais novella non oldiré».
Quant qui la intende si le parse piaté;
915
l'un si oit li altro regardé
e si li dient: «Questo è gran peçé,
çamai major non fu par homo pensé».
Li cor li est da Deo omilié.
I dist: «Dama, de vos ne ven peçé;
920
ora ne çurarés qe mais non reverteré
en questa tere e in questa contré».
Et ella li foit volunter e de gré,
e sor li santi si avoit çuré
qe mais no la vera in soa viveté.
925
Qui se partent, arer si son torné,
et ella remist en la selva ramé.
E quela malvés qe li oit aspeté
quant i furent arer repairé
ela li demande coment i ont ovré.
930
«Pur ben, ma dame; d'ele estes deliberé:
morta l'aumes, si l'aon seteré
en le gran boscho, entro da un fosé».
Coment la malvuasia donçelle prima-
ment li dist ço que faire devoit de Berte.
XXVI
Or laseron de la malvés qe estoit en gran sejor,
de nula ren plus non oit paor;
935
e li rois la ten loial cun sa usor,
nen savoit mie coment fust li eror.
Ne l'aust mie tenue a tal valor,
anci averoit eu onta e desenor,
s'el aust ben saplu trestoto ad estor
940
quel qe ont fato li malvés liceor,
qe por quelle dame cresé si gran eror
dont ne morì plus de mile peçeor
qe mais non vede ne files ne seror.
Cun li rois stoit si cun por soa usor;
945
por fila li rois d'Ongarie ela avoit clamor.
De li rois avot tros filz, si cun dis l'autor:
Lanfroi e Land[r]ix, Berta fu la menor,
qe mere fu Rolando li nobel pugneor
e de Milon, si cum oldirés ancor.
Qui se conte de cella malvés femena
e de le filç q'ela avoit de le rois Pepin.
XXVII
950
Ora fu Berte en le boscho remés,
s'ela oit paure or nen vos mervelés:
si come feme qi fu abandonés
si plure e plançe, molto s'è lamentés.
Non poit veoir se no arbori ramés
955
e li boschaje qe est longo e lés;
por la paure de le bestie enverés
ver Demenedé se clama ben confés.
«A! Verçen polçele, raine encoronés,
de cesta peçable vos vegna piatés!
960
Anco de ceste jor qe vu me cundués
en celle lois o je fose albergés,
nen morise qui in cotanta viltés.
A! Malvas feme, cu[n] tu m'ais enganés!
Nen cuitoie mie de ceste fasités:
965
por grant amor eo t'avi amenés,
plu t'onorava qe tu fusi mego ençendrés.
A! Raina d'Ongarie, questo vu non savés;
de sta grant poine o je sonto entrés
jamais de moi non saverì meso ni anbasés.
970
Ma ventura m'est contraria alés».
Quant asà ela s'oit lamentés
et asà oit e planto e plurés,
le viso se segne, a Deo fu comandés.
En le gran boscho ela s'est afiçés,
975
de ramo en ramo tanto est alés
cum Damenedeo si l'avoit amenés.
N'esi del bois e voit en un bel prés,
davant da soi ella oit reguardés:
un çivaler voit venir tot lasés,
980
e quant celu la vi molt s'è mervelés.
En cella part ello est alés;
quant li aprosme si li oit arasnés:
«Dama», fait il, «qi vos oit ça menés
por la gran selve e li boscho ramés?
985
Vu me parì tuta espaventés».
«Mon sire», dist Berte, «or nen vos mervelés,
qe un mon segnor m'è morto da malfés,
si aust fato de moi, si m'aust bailés.
Ai! Çentil homo, por santa carités,
990
vos voio proier qe vu si m'amenés
in qualqe logo o eo fose albergés».
«Par foi», dist il, «ben serì ostalés:
a mon çastel vu serì amenés;
ilec seçornarì a vestra voluntés».
Coment Berte remisis en li bois
e coment Synibaldo la trova.
XXVIII
995
Quel çastelan si fo pro e valant
et oit nome Sinibaldo, se la istolia no mant;
a son çastel mene Berte tote plurant,
et oit dos filles belle et avenant.
Quant virent son pere cun la dame erant
1000
encontra voit, a demander li prant:
«Qe femene è queste qe ven così dolant?»
Et ello li dise toto li convenant,
cun son mari fo morto qe era un mercaant,
e d'ele aust fato altretant
1005
quant ella s'en foçì coiamant
«Scanpé s'en est par celle selve grant:
Damenedé l'a mené a salvamant
et è venua a li vostro comant,
unde e' vos prego, se vos m'amés niant,
1010
no le mostrés s[e n]on bel viso e riant».
E celle le dient: «Volunter por talant».
E celle damesele furent molto saçant:
contra li vent e por la man la prant,
e si la vont dolçement confortant;
1015
en sa çanbre la mene coiemant,
si la onore cum fust soa parant.
Coment le fille Sinibaldo alent incontre
Berte e demandent son per qe illa est.
XXIX
Dist le polçele: «Dama, vestre venue
a gram mervile ne delete et argue,
a bon oster estes rechaue:
1020
por nostra mer vos tiron, ben serés proveue.
Da che nostra mer nos est deschaue,
avec nos serés e calçé e vestue,
nen mançaron valsant une latue
si cun nos no vos sia partue».
1025
Quant dama Berta le oit entendue,
molto le mercie e a lor s'è rendue
si como femena la qual era perdue.
E Damenedé si le fo en aiue
por çest çastelan ela fo revertue:
1030
de Pepin prima fo soa drue
e po si fo raine quant sa mer fo venue;
e la malvés qe l'oit si deçeue
a mala mort ella fo confondue.
Coment le fille Synibaldo farent
grant [onor] a la raine Berte.
XXX
Oeç, segnor, s'el vos plas ascolter:
1035
nul hon se doit da Deo desperer,
qe sa venture ne li poit faler;
nul hon poit unquamais porpenser
ço qe li poit venir ne incontrer.
Berte la raine qe devoit enperer,
1040
or li convent li altru pan mançer
ne no sa pais o ela diça aler.
Mais celle polçele la tenia si çer
non parea mie femena strainer:
avec lor stasoit a boir e a mançer,
1045
mais nonportant tant avea li cor lainer,
qe die e note no stava del plurer.
Con çelle çastelan dont m'oldeç çanter
e cun ses file qe tant avoit çer
demorò Berte plus d'un an enter.
1050
Berta fu si mastre de tot li mester
nulla milor no se poroit trover:
ben savoit e cosir e tailer,
e si fo mastra sor tot li friser;
a celle dameselle prist si dotriner
1055
qe plus l'amava qe s'ela fose sa mer.
A celle tenp donde me oldés conter
Pepin voloit aler por caçer;
a Synibaldo envoie qe le diça apariler
de vitualia e de ço qe li è mester:
1060
a li çastel vol venir alberçer
et illec terço çorno seçorner.
E Synibaldo li foit de greç e volunter.
De l'aventure qe avene a Berte e comente
li rois Pepin envoia a Synibaldo...
XXXI
Or vait li rois a soa chaçason
et oit avec lui ses conte e ses baron:
1065
altri portent sparver et altri portent falcon,
brachi e livrer i menent a foson.
Al çastel Synibaldo venen al dojon
it ilec alberçent çivaler e peon,
pois vont a chaçer quant vent la sason;
1070
e Pepi mist Sinibaldo por rason
de ses bestie e d'altre reençon.
Quant i ont asà rasné vont por li dojon
veçando li çastel entorno et inviron;
li rois regarde, qe non fi se ben non,
1075
e vide le polçele stare al balcon:
quando le vi molt s'amervelon,
qe mais non vi Berte entro quella mason.
Coment li rois Pepin voit a chaçer
a li çastel de Synibaldo e avec li ses baron.
XXXII
Pepin li rois oit Synibaldo apelé:
«Ora me dites, si dites verité:
1080
una dame ai veue molto ben açesmé,
molto me par aver de gran belté».
Dist Synibaldo: «Ben vos sera conté.
E' la trové en la selva ramé,
ben est li termen d'un a[n] pasé;
1085
si l'ò tenua e molto ben guardé
cun me enfant q'el à si maistré
çascuna est bona mastra proé».
Dist li rois: «Ora si vos alé
e fais qe in çesta noit n'aça ma volunté;
1090
colsa como no, vu avì mal ovré».
Dist Sinibaldo: «De niente en parlé,
zamais por moi cil no sera otrié:
avant me lasaria esere sbanoié
e pasaroie oltra la mer salé
1095
qe in ma mason fose de rien violé,
s'elo no fose ben por soa volunté».
Dist li rois: «Vu avì bien parlé;
aleç a lé e si la demandé
se consentir me vol cun soa volunté».
1100
Dist Sinibaldo: «Ora si m'aspecté
tanto qe eo soia a vos retorné».
Li roi remist e cil se n'est alé,
ven a la çanbra o avoit Berta trové.
Elo l'apella, si l'oit demandé:
1105
«Dama», fait il, «nu avon mal ovré,
aler me convent in estrançe contré.
Li rois si oit e plevi e çuré:
se il no v'oit a soa volunté
ne me lasera tera un sol pe mesuré;
1110
et eo voio esere inançi deserté
qe colsa aça qe no vos sia a gré».
Berta, quan l'olde, oit un riso çité
e dist a Synibaldo: «De ço no ve doté:
tanto m'avés servi e honoré
1115
e si m'avés pasua e nurié,
cun vestre file e vestua e calçé,
unqua par moi non serés destorbé;
presta sui de faire la soa volunté».
Quant Synibaldo l'olde si l'oit mercié;
1120
s'elo n'à çoie ora non domandé:
tel no l'avoit en soa vité.
Ven a li rois, si ge l'oit conté;
li rois n'en fu tuto çoiant e lé.
Coment Pepin vide Berte e si la covota
e si la demanda a Synibaldo.
XXXIII
Li rois estoit sor la sala pavée
1125
e Synibaldo fo a lu retornée
e la novella li oit dito e contée,
qe la dama si est aparilée
de voloir fare tuta sa voluntée.
Li rois n'en fu molt çoiant e lée
1130
e dist a Synibaldo: «Vu avés ben ovrée.
Por la calor qe fu da meça stée
en celle corte sor un caro roée
faites qe un gran leto si li sia ben conçée;
de richi palij soia ben açesmée:
1135
suso me voio colçer con eso ma sposée
e far d'ele la moia voluntée».
Elo'l dise por gabes m'el fu ben averée:
li jor s'en voit, la noit fu aprosmée,
e cil car si fu ben parilée;
1140
li rois li fu cun Berta su montée.
Avant qe d'ele faese sa voluntée
çerchò la dame por flanc e por costée:
nul manchamento oit en lé trovée,
afors qe li pe trovò grant e desmesurée.
1145
Nian por ço non ait li rois lasée;
d'ele ne prist amor e amistée
tota la noit como la fu longa e lée.
E Damenedé li dé tel destinée,
en cella noit oit si ben ovrée
1150
v aencinta fu d'una molt bella ritée;
e cil fu Karlo li maine incoronée
e fu da Deo benei e sagrée:
major rois de lui nen fu en crestentée,
ne plu dotés da la jent desfaée.
Quant Synibaldo oit parlé a dama Berte et
coment ela otria de fair la volunté de li rois
e li rois li ordena de far li leto sor un char.
XXXIV
1155
Quando Pepin oit fato son talant
de dama Berte a la cera riant
da lé se departi e legro e çoiant;
non oit eu nul mal entindimant.
A Sinibaldo la dà e la comant
1160
qe d'ele façe meio qe non fasoit davant,
e se nulla ren ella quer e demant
conpli le sia a lo demantenant;
e Synibaldo otria son comant.
A Paris retorne li rois e soa çant;
1165
cun quela malvés raine stasoit a bon convant:
obeir la fasoit a petit e a grant,
coronea era del reame de Frant.
E Berta fu encinte nove mesi pasant,
en cha de Synibaldo avoit un bel enfant.
1170
De ço fo Synibaldo e legro e çoiant:
el meesmo montò al palafroi anblant,
la novela a li rois portò amantenant.
E li rois le dist: «Farés li mon talant:
batiçer farés primerano l'infant;
1175
Karlo li metés nome, qe eo li comant».
Et i le font, ne nesu li contant;
e Synibaldo fu e saço e valant,
a çella dame fait toto li so comant.
Qui laseron d'ele da ste jur en avant;
1180
de la raine d'Ongarie li roman se comant.
Coment li rois Pepin quant il avoit fauto
de Berte son voloir s'en ritornò a Paris...
XXXV
De la raine d'Ongarie e' vos voio conter.
Dapois qe sa file s'ave da lé desevrer
nesun mesaje poté d'ele ascolter,
e quant a lé envoia mesaçer
1185
neson la pooit veoir ni esguarder.
Como ela savea qe in França dovea entrer,
in leto se metea, si se fasea voluper
et a qui mesaçer fasea robe doner
e de diner por avor da spenser;
1190
letere e brevi fasea sajeler,
si cum a sa mer le fasea aporter.
E quant li mesaçi s'en retornava arer
la raina li prendea querir e demander
de soa file, s'ella aust eu riter,
1195
si l'ont veue in via ni en senter
ne in nulla çanbre ni en sala plener.
E li mesaçer le dient: «Nu no voren bosier:
ne la poumes veoir ni esguarder,
senpre malea nu la poon trover.
1200
Ela ne fi doner or coito e diner,
si ne fa fare letere e brevi sajeler,
e pois ne fa li conçeo doner;
o no voiamo o no, ne conven retorner».
La dama l'olde, cuita li sen cançer;
1205
ven a li rois, si le prist parler:
«Mon sir», fait ela, «molt me poso merviler:
a ma fila ò envoié plus de .xx. mesaçer,
nesun me sa d'ele nula novela nonçer,
qe l'aça veue in çanbra ni en soler.
1210
Molto me redoto q'ela no aça engonbrer;
se no la veço jamés viver non quer.
S'elo ve plas e m'ame devés amer,
laséç me aler a ma file parler;
e quant eo averò saplu de son ovrer,
1215
demantenant eo tornerò arer».
Coment la raine d'Ongarie invoia in Fra[n]çe
mesaçer pro savoir novelle de sa fille.
XXXVI
La raina d'Ongarie oit gran segnorie,
a gran mervele oit la çera ardie;
ela dist a li rois: «Donés moi conpagnie,
aler m'en voio en França la guarnie
1220
veoir quel rois e soa baronie
e cun è ben porté de Berte mie fie».
Dist li rois: «Vos querés la folie:
longo è li çamin e dubiosa la vie;
vestra fila sta ben e à gran segnorie
1225
et oit de li rois e fioli e fie.
E questo so por vor por misi e por spie».
La dama quando l'olde, in oiando desie:
«Çativo rois, tu no vale un'alie!
Se conçé non me doni, por Deo le fi Marie,
1230
a tot to malgré me meterò en vie,
sola li alirò sença nul conpagnie,
e tal colsa farò, sempre sera honie».
E li rois quant l'intent tuto fo spaventie;
por sa paure el no sa q'elo die,
1235
dever d'ele tuto se homilie:
plu la dota de nula ren qe sie.
«Raina», dist il, «e' v'ò tropo ben oie:
vestre voloir vos soia otrie».
XXXVII
Quando li rois olde soa dama parler
1240
e qe pur vole a Paris aler
veoir sa file o la pora trover,
o voia o no, le conven otrier.
«Dama», fait [il], «no me devés por noien noier,
ne por cesta ovra no me devés blas[m]er.
1245
E' v'amo tanto no se poria conter,
per ço no me voria da vos deslonçer;
se vos en França en deverés aler
mille anni me parera qe retornez arer:
nen porò pais ni boir ni mançer
1250
ne in leito dormire ni polser,
senpre de vos m'avera remenbrer.
Ma da qe vos plais e volés pur aler,
aleç, si non açà reproçer.
Asà portés or coito e diner
1255
qe por çamin açà ben da spenser;
si vos conven amenar çivaler
a l'aler e a venir vos diça aconpagner.
Quant li rois e li baron vos vera si aler
plu sera vestra file digna da honorer
1260
e metesmo li rois la tegnira plu çer,
si s'en tira plus grant e plus alter».
Dist la raine: «Mo v'oe oldu parler;
questo devì vu dir anco en primer
e no far moi por nient coroçer.
1265
Non voio del vostro espenser un diner,
asà oe da spender e da doner:
non vira cun moi nesuno çivaler
qe de le mon avoir non aça asolder».
La çentil dame prist li rois gracier;
1270
ela non volse de nient entarder
e richament se foit coroer
de drapi de soia, de porpore e de çender;
e li çivaler qe la devoit conpagner
si altament li fait adorner,
1275
çaschun menoit palafro e destrer.
Coment la raine d'Ongarie parloit a li rois,
si lle demanda parole d'aler in France.
XXXVIII
Quant la raine en fu aparilé
e son segnor l'oit ben agraé,
doxento çivaler fu por lé coroé,
e la raine pois si fu atorné,
1280
trenta somer d'avoir oit carçé;
ça por aler e por tornar aré
asà avera da spender e doné
par lé e por qui qi li voit daré:
segurament ben pora çivalçé,
1285
qe da nul homo no avera reproçé.
Quant la raine se ven a desevré
e quella volse li conçé demandé,
li rois la vait trois fois a basé
e si la prist dolçement a proié
1290
qe al plu tosto q'ela poit ela diça torné.
E quela dist: «Non ò altro pensé;
quando eo porò plu tosto desevré
a vos averò retornar aré».
Monta a çival, nen volse plu entardé,
1295
et avec lé li soi çivalé;
e li rois vait a çival monté
cum tota sa baronie por le aconpagné.
For de la tere peon e çivalé
la convoient plus de .x. legue enté,
1300
a Deo li comandent e retornent aré.
Al departir li rois en prist a larmoié,
mal volunter il la lasò alé;
mais tanto la dotava por q'ela era si fé
no la olsava por le viso nul hon guardé:
1305
par toto li regno se fasea si doté
no la olsava nul hon de nient contrasté.
Ela s'en vait e li rois torna aré;
e tal la vide del reame sevré
qe prega Deo li voir justisié
1310
qe unchamés non posa retorné.
Coment li rois d'Ongarie aconpli li voloir
de la raine, si lle donò parole de aler in Françes.
XXXIX
Va se'n la raine a çoia e a baldor;
quant oit eu conçé dal son segnor
ela regracie Deo le creator
q'ela voit cun tot li son amor.
1315
En sa conpagnie oit manti contor:
doxento furent, totes a milsoldor;
unques raine non veistes ancor
qe de çoie portaste plu bel lusor.
Ne no fu en sa conpagne ni grande ni menor
1320
qe non çivalçast palafro anblaor,
e qui destrer corant e milsoldor
se font mener avant per plu honor.
Non vait mie corando ad estor,
petite jornée vait çascun jor;
1325
jamais en Françe non fu raine ancor
qe da la jent recevese tel honor.
Coment la raine d'Ongarie s'aparelle
d'aler in Françe por conçé li rois.
XL
Va s'en la raine a la clere façon,
en sa conpagne doxento conpagnon,
li meltri d'Ongrie de celle region;
1330
çaschun oit palafroi e destrer aragon,
çaschun oit bon hauberg flamiron,
elmi a or e bon brandi al galon,
ensegne portent e indoré penon;
no le fo nul qe somer non conduson.
1335
Si grande fu la frote la jent s'en mervelon,
qui d'Alemagne, donde i çivalçon.
I no arivent a çastel ni a dojon
ne a çités qe fust de çenti hom
qe no la ostalés con tot ses conpagnon
1340
e por amor li rois ne le faist don.
E quella raine fu de grande renon:
a qui çivaler qe avec lei son
e qe in France por amor l'aconpagnon
a lor donava et or coito e macon
1345
e diner a si grande foson,
ne spendea del so valisant un speron.
Dient entro soi çascuno di baron:
«Nostra raine si è de gran renon;
non lasa spender del nostro un boton».
1350
Tant çivalçent e por poi e por mon,
nen fu si tosto cun dist li sermon
qe en Françe s'aprosma la region.
Coment s'en vait la raine qe pris conçé
da son segnor e coment çivalçe a [o]nor.
XLI
La raine çivalçe qe oit gran segnorie,
raine estoit del reame d'Ongarie,
1355
e costoient d'Alemagne une partie;
ses çivaler la conduit e la guie
et ella fu cortois, enver de lor se plie,
de li so li done avoir e manentie:
n'i lasa spender valisant un'alie,
1360
e i de ço humelment la mercie.
Tant çivalçò la dama e por noit e por die
q'ela aprosma a Paris a dos jornée e dimie,
donde prende mesajes con le rame florie
qe a li rois qe oit Fra[n]ça en bailie
1365
li porta la novelle dont molto s'enjoie:
por lui veoir la ven la raine d'Ongrie.
Li rois quando li soit de çoia el ne rie,
donde oit mandé par soa baronie
por honorer la dama, q'el non vede en sa vie.
1370
Mais cella dame q'el oit en sa baillie,
qe a dama Berta fe cotanta stoltie,
quant la novella ella oit oldie
el à tal dol par poi ne forsonie;
ela ne sa q'ela faça ne die,
1375
ela vi ben sa fin est conplie,
qe la raine qe vent d'Ongarie
ben conosera nen sera soa file.
S'el'a paure non vos mervelés mie,
q'ela soit ben, com ella oit oie
1380
e si l'avoit por mesi e por spie,
qe in crestenté ni anche in Paganie
nen fu ma dama qe fust si ardie
ne qe aust ensi tanta stoltie.
Coment s'en vait la raine a doxento
çivaler e si civ[a]lçoit por Alemagne.
XLII
La raina d'Ongarie çivalça con soa jent
1385
a docento çivaler saçi e conosent,
ne le fo çil n'aça bon guarniment
e bon destrer e isnel e corent;
et i çivalçe li palafroi anblent,
ne le fu çil qe fust le plus lent
1390
non aça armaure a oro e arçent.
Por Alamagne aloit a salvament;
quan a Paris ili si s'aprosment,
a .x. legues li mesaçes erent
qe la novelle portoit novellement.
1395
Li rois e li barons toti s'aparilent
d'ele recevere si honorablement
como raine de segle vivent,
ma cella dama qe fe li tradiment
ela pensoit de fare altrament;
1400
ma la soa ovra no li valse nient.
Malea se foit, en le leito se stent,
e a son bailo fe li comandament
qe in la çanbra no lasi entrer nula persona vivent,
e le fenestre e li usi ensement
1405
fait aserer fortement,
qe in la çanbra ni darer ni davent
ne se pooit veoir lume de nient.
Atant ven la raine qe a Paris s'aprosment,
li rois li vait encontre con tute l'autre jent;
1410
la raine vi li rois, in ses braçe li prent,
por amor de sa file l'acolla dolçement.
Quant furent a la plaça monta a li paviment,
mais de sa fille ella non vi nient;
donde s'en mervelle d'ele grandement,
1415
nen pote muer q'ela no se spavent.
Coment la raine civalçe ver Paris
e invoia a li rois qe li alast encontre.
XLIII
Quant la raine fu sor li palés monté,
qe li rois e li baron l'avoit convoié,
ele reguarde e davant e daré:
non vi sa fille, molt s'en è mervellé;
1420
adoncha oit li rois aderasné:
«De mia fille qe n'est encontré?
Ben è septe ani e conpli e pasé
qe no la vi, e però son sevré
de Ongarie, una longa contré».
1425
Dist li rois: «Or nen vos mervelé;
vestra fila est in leto amalé,
terço çorno est q'ela no s'è levé».
La dama l'olde, tuta fu spaventé;
ven a l'uso de la çanbre, si la trovò seré,
1430
e celle bailo si fu davant alé,
dist: «Ma dame, por Deo vos sofré,
qe le mires si n'oit comandé
qe no le sia nula persona entré.
Un petit s'est la dama adormençé».
1435
La dama l'olde, si fu tuta abusmé
e ver de cil ella fu coruçé.
Ela le prent por mala volunté,
dale una trata e si le tira aré;
ven a l'uso de la çanbra, si l'oit desfermé,
1440
dedens entra contra sa volunté,
e quant fu en la çanbra vide tel oscurité
ela ven a una fenestra, si l'oit despasé.
Quando lume avoit, a li leto fu alé
o quella dame estoit envolupé,
1445
e la raine si l'oit demandé:
«Filla», fait ela, «com estes amalé?
Quando d'Ongaria son partia e sevré,
per vos amor me son travalé».
E quella dame qe in malora fu né
1450
pur pla[na]ment cum femena amalé
a la raina ela responde endré:
«Mere», fait ila, «ora me perdoné,
qe grement eo me sonto amalé».
E la raine si fu saça e doté,
1455
a carne nue ella l'oit toçé,
e si la çercha por flanchi e por costé
e por le piç e davant e daré;
pois vene a li pe qe non oit oblié,
trov'el petit e non così formé
1460
como avoit Berta soa nobel rité.
Quando ço vide, tuta fu spaventé
e dist: «Malvés, vu m'avì engané!»
Non oit la raine avec lé tençé,
por le çavì ela l'oit pié.
1465
La raina fu de grande poesté;
contra son voloir e soa volunté
fora de li leto ela l'oit tiré,
sor li palés par força l'oit mené
por le çavì donando gran collé.
1470
A lé corent totes e bon e re,
meesmo li rois li vait tot eslasé,
si dist: «Ma dame, avés li sen cançé?
Qe v'à fato vestre file qe avés così tiré?»
La dama, o li rois vi, cella dama oit lasé
1475
e prende li rois, si l'oit çoso afolé,
e si le dist: «Fel traito renoié!
O est ma file? Tosto me rendé;
colsa como no, en malora fusi né».
Tuta la baronia li fu corant alé,
1480
ne li valea amor ni amisté
qe a li rois aust pieté;
si le feria cun man e cun pe,
par un petit ne l'oit acreventé.
E quella dama s'en fust via alé
1485
quant qui de la raine ne la oit lasé.
Coment la raine entroit en Paris
e montoit a li palés e li rois la convoiò.
XLIV
Qela raine non queri conseler,
par nul ren nen voloit li rois laser,
nen valea li baron dire ne enproier:
«Dama, por qe faites vos a li rois ste noier?»
1490
E ella le dist: «Non v'açà merveler,
por mia file qe non poso trover».
Adoncha li rois se prist porpenser
de çella dame c'avoit al çasteler:
quant sor li caro elo la vit primer
1495
li pe li trovò grandi como dise sa mer;
el dist: «Ma dame, or vos traì arer;
bona novela e' vos averò conter,
ma primament ne conven çivalcer
trosqua a un çastel apreso d'un verçer.
1500
Eo creço par voir e si ò quella sper
qe vestra fille avereç illec trover».
Dist la raine: «Ne se vol entarder,
ma una ren saçés sença boser:
qe vos da moi no v'en averì sevrer
1505
se moia file no m'açà a presenter».
Adoncha li rois si montò a destrer
e la raine cun li ses çivaler,
e de qui de li rois li andò plus d'un miler.
A Sinibaldo aloit avanti mesaçer
1510
q'elo se diça de tot apariler,
qe li rois vent por soi esbanoier,
e la raine ne volt oblier
qe d'Ongarie se sevroit l'autrer.
Qi donc veist Synibaldo li castel adorner
1515
de richi palij, de porpore, de cender!
E quando li rois se le vait aprosmer
e Synibaldo li voit a l'incontrer.
Ça avea Karleto tros ani tot enter,
si grant estoit ben pooit aler:
1520
corando vait por veoir son per.
E la raine la prist a demander:
«Questo fantim molto me pare ançoner,
a sa fature pare e pro e ber».
E la raine si le fait ba[i]ler
1525
e dolçement si le prist a baser.
Atanto i desendent entro li çasteler;
li rois si prist Sinibaldo apeler:
«Faites a nos cela dama parler,
qe vu savés qe vos fi acomander».
1530
Dist Sinibaldo: «De greç e volunter».
Entra en le çanbre, si la fait adorner.
«Dama», fait il, «el vos ven a parler
li rois de Françe qe tant fait a loer,
e la raina d'Ongarie vos vent a visiter».
1535
E dist Berta: «Questo voio vonter».
Coment la raine d'Ongarie quant fu monté
sor li palés e par tot reguardoit e non [v]i sa file,
e coment aloit a le leto o ella malvasia estoit.
XLV
Quando Berte oi quella novelle
de soa mer, tot li cor li saltelle;
el apelò le autre damoselle:
«Venés cun moi davant a li çastele
1540
por veoir la raine qe ven de longa tere».
E celle le font, qe nesuna revelle.
Quant fo çoso li palés en la praelle
e la raine, qe tant estoit belle,
quant ela voit tot trois le polçelle
1545
venir ensenbre fora par una vançele,
ela reguarda sa file en la gonele:
ben la conoit a li pe e a la favelle.
Quant la conoit no l'apella de novele,
d'ele veoir tot li cor li saltele,
1550
plu çoiant nen fu qe l'onor de Tudele;
sovent li basa le viso e la maselle.
Coment la raine d'Ongarie tenoit li rois par
forçe e si le demanda so fille se s'el non fust lì baso.
XLVI
Li rois Pepin nen fu mais si çoiant:
quant il conoit par voir e certamant
qe questa è Berte qe oit li pe grant,
1555
qe fu sposea de li rois primemant,
nen fu si legro unques a son vivant.
Ver la raine Berte parla en oiant:
«Mere», fait ela, «entendés voiremant;
de questa ovre e de questo senblant
1560
le mon segnor non calonçé de niant:
se ò eu mal e inoiamant,
moia fu la colpa al començamant.
Quella donçelle qe mené de Magant,
en lé me fiava de cor e lialmant,
1565
et ela de moi si fe li tradimant;
ne'l fi tal Jude a Deo onipotant.
Menea fu entro un boscho grant
par moi oncire par li ses comant;
tanto queri piaté e marçé grant
1570
qe i me perdonò la ire e'l maltalant,
e si me fi çurer sor Deo e li sant
no ma' venir en ceste partimant.
Tant me pené per celle boscho grant
q'eo n'esi fors e vini a guarant;
1575
Synibaldo me trové qe venia çivalçant,
menòme a ste çastel, si m'à fato honor tant
como fose sa fille e sa sor ensemant,
dont e[n] ma vie serò sa benvoiant.
A li rois me consenti, donde n'avi st'infant;
1580
s'el avera vite sera pro e valant».
E la raine nen foit arestamant;
li rois apele, si le dist en oiant:
«Deo vos oit secoru e la majesté sant,
car por cel Deo qe naque en oriant,
1585
se mia filla trovea nen aumes al presant
morto v'averoie a un coltel trençant,
ne da le mi man nen ausés guarant».
Li rois l'olde, s'en rise bellemant.
Quant la raine d'Ongarie vide sa fille si
la conoit amantenant e si menoit gram [çoia].
XLVII
Gran çoia oit li rois Pepin eu
1590
quant dama Berta oit reconou
et oit da lé par voir tot entendu,
tot l'afaire qe le fu avenu,
e cun quella malvés la oit deceu;
se la fe mener, qe era son dru,
1595
par lé oncire en le boscho folu.
Li rois çura Damenedé e Jesu
qe quella malvés qe l'avoit consentu
como meltris [sera] en un fogo metu.
Li rois de Françe nen fu demoré plu;
1600
con la raine qe d'Ongarie fu
e cum Berte qe Deo oit secoru
de le çastel i se sonto partu
et a Paris i sonto revenu.
Coment Berte parloit a sa mer la raine
e si li contò tot ço qe li avent e con fu tramé.
XLVIII
Quant li rois fu a Paris retorné,
1605
quella raine qe tanto fu renomé
avec soi ello l'oit amené;
e dama Berte nen fu pais oblié,
e avec lor Karleto oit mené.
Gran fu la çoie par tot la cité,
1610
grant fu la cort e davant e daré;
li tradiment çascun oit blasmé
e la malvés si fo presa e ligé.
Avant qe la raine fust partua ni sevré
fo çella dame en un fogo brusé;
1615
por lé nen fu asà li rois proié
da li barons de li son parenté.
Metesma Berte por soa gran bonté
l'avoit en don a li rois domandé;
mais no l'è una poma poré valsé,
1620
qe la raine d'Ongarie n'estoit si abusmé
ne la lasaroit scanper par l'or de crestenté.
E cele dame qe in malor fu né
avant q'ela fust en le fogo bruxé
ella se fu molto ben confesé:
1625
a tota jent dise li so peçé,
a Berta oit li perdon domandé,
et ella li oit loialment doné.
Qe vos de eser li pla plus alonçé?
Cella dama fu en un fois bruxé.
1630
Una colsa fi Berta donde fu ben loé:
tantosto com ela fu de le mondo finé
for de le fois ella si fu tiré,
a San Donis o est li grant abé
a grant honor ela fu seteré.
1635
Dos enfant d'ele s'en remist daré,
Lanfroi e La[n]dris ensi fu apelé;
e una fille petite, Berta fu anomé,
quella si fu mere Rolando li avoé.
Oldés, segnur, de Berta gran lialté:
1640
qe qui enfanti qe remist daré
si cun Karleto li avoit alevé;
ne sa pais mie ço qe le fo encontré.
Quando le dos enfant furent tant alevé
qe pois poent avoir arme baillé,
1645
cun li baron prendent tel amisté
e por la forçe de li ses parenté
tant oit li traiti con eso lor ovré
qe Pepin e Berte furent enveneé,
donde cuitent avoir sa mer vençé.
1650
Ben averoit Karleto morto e delivré
nen fust Morando qe l'oit via mené.
Nen poté star in la crestenté,
en Spagna fu avec lui alé,
a li rois Galafrio elo fu presenté
1655
qe le nori, si l'avoit alevé;
e soa filla en lu fu marié.
Nen sera pais ste roman finé
qe oldirés cun fu la colsa alé;
mais de Bovo d'Antone oldirés asé.
Coment la raine parolò a Pepin e pois
se partent ensenble e venoit a Paris.
XLIX
1660
Oeç, segnur, e saçé: quant de cele dame fu fato le çuçemant
qe de dama Berte fist li tradimant,
ilec demorò la raine trois mois en avant;
e quant oit metu sa file a le convenant
non volse ilec demorer longo tanp,
1665
q'ela se porpense li çorno en avant
quando da li rois en fi desevremant
del retorner la proiò dolçemant.
A li rois Pepin e a sa fille ensemant
conçé demanda e ben e dolçemant,
1670
e qua[n]do de la raine i vi li som comant
e ço qe a lé plais e oit en talant,
si le consente con li vene a talant.
Adonc Pepin se levò en estant
e ses baron avec lu ensemant,
1675
por conveier la raine montent en auferant.
Berta vi sa mere, larmoia tenderamant,
et elle la basa, si le dist dolçemant:
«Fila», dist ela, «a Jesu te comant;
la merçé de Deo li pere onipotant
1680
vu sì scanpea de così gran tormant.
Sor tot ren de le segle vivant
vestre segnor vos amarés avant,
faites vos ben voloir a petit e a grant».
«Mere», dist ella, «el ò ben en talant;
1685
ço qe vos dié ben sera otrié tot quant,
e mon per da mia part salué dolçemant.
Mais d'una ren vos sia remenbré atant:
non tornés mie por le çamin erant
que vos faistes l'autre jor en avant,
1690
por la paure di baron de Magant,
qe sont alti homes e ont tanti parant;
torbea en poreç estre e vos e vestre çant,
de ço cuitoit vençer quella dal tradimant».
Quela le respondi: «Farò li ton comant:
1695
pasarò por Lonbardie in m'anant,
pois pasarò en nef et en calant».
Qui conte la novelle comente la dame
que fi li tradiment fu arse e bruxée.
L
Quant la raine desis de la sala pavée
tota la jent fu par lé relevée
et ella oit tota jent saluée,
1700
soa filla oit basé e acolée.
De pietés çascuna oit plurée
e mante larme el ont butée;
la raine qe tant avoit beltée
soa fille oit a Deo comandée,
1705
et ella e Karleto ella oit segnée.
A palafroi quant ella fu montée
li rois Pepin monta da l'altro lée,
a plus de mil baron l'avoit convoiée.
E qui çivaler qe d'O[n]garia fu née
1710
se sonto ben guarni e parilée,
par soi defendre s'i trovase meslée.
Va s'en la raine qe ben fu convoiée,
a li rois oit sa fila comandée;
non sa pais mie con fu la colsa alée,
1715
ço qe a lé en furent destinée:
mais no la vide en soa vivetée.
Li rois l'amena fora de la citée,
plus de quatro legues la oit aconpagnée;
la raina s'en voit e cil est arer tornée,
1720
e da cel çorno avanti Berta la ensenée
si fu par tot raina de Françe clamée.
Et ella fu de si grande bontée
qe la petita Berte oit tanto amée
como ela aust en son corpo portée,
1725
e si l'oit si ben noria e maistrée
cum fust ma dama qe fose plu maistrée.
E la raina d'Ongarie fu tanto apenée,
entrò en nef, si fo oltrapasée;
en Ongarie quando fu arivée
1730
li rois le fu encontra lui alée:
gran çoia fu par tot part menée
de la raine qe arer fu tornée.
Dapois qe la dame qe de Berte fi li tradimant
fo çuçée, se departe la raine e si aloit en Ungarie.
LI
Or fu la dama de França repariés,
gran çoia mena tot qui de la contrés.
1735
Li ro[is] vi la raine, si l'oit arasnés
e si le oit de novelle demandés
del rois Pepin como la oit honorés.
E quella li oit tot l'afar contés,
como sa fille fu trasfigurés,
1740
da una mavés traita et enganés:
«Saçés, bon rois, se no le fose alés
senpre seroit vestre fie sea orfanés,
jamés de França ne fosse encoronés;
la mercé de Deo, de la moia bontés,
1745
tant ò eo fato et auvrés
q'ela est raina de tota França clamés».
Li rois l'intent, si l'oit merciés,
por la venue l'oit trois fois basés;
gran çoia n'oit anbidos amenés.
1750
{Da qui avanti fu li çanter enforçés,
lasaron de li rois qe fu çoiant e lés;
a Bovo d'Antone nu seron retornés,
cun por Pepin el fu asediés
contra li voloir de ses richo bernés.}
Coment la raine d'Ongarie se departi di
li rois Pepin e da sa fille e si se n'aloit en sa terre.
[...]
Coment la raina d'Ongarie fu repariée
en sa tere et a li rois contoit la novelle.