RIALFrI

La Geste Francor, Berta da li pe grant, prima metà XIV s., Nord-Est (ed. Zarker Morgan)

La Geste Francor, Édition of the Chansons de Geste of. MS. Marc. Fr. XIII (=256), with glossary, introduction and notes by Leslie Zarker Morgan, Tempe (Arizona), Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies, 2009 («Medieval and Renaissance Texts and Studies», 348).

Edizione digitalizzata e traduzione a cura di Leslie Zarker Morgan

Marcatura digitale a cura di Luigi Tessarolo

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  TESTO CRITERI DI EDIZIONE TRADUZIONE  

 

Divisione delle parole

Preposizione e congiunzione sono scritti di seguito secondo l’uso italiano (per es., Porqe). Preposizione e articolo determinativo sono scritti di seguito con il punto in alto (per es., de·l canp) prima di consonante, ma separatamente e con l’apostrofo prima di vocale (per es., a l’ami).
Au, la forma velarizzata di a e l, nel verso 9424, unica occorrenza di questa forma, è scritta a sua volta con il punto in alto, a·u.
Qele e dele, congiunzione o preposizione seguita da pronome femminile, sono scritti Qe le e De le, di nuovo secondo la forma italiana (invece del francese Q’ele o D’ele, che sarebbero pure possibili).
Vocale palatale dopo consonante e prima di s impura (per es., sestoit) è scritta se stoit (invece di s’estoit; cf. a esperon vs. Le speron) dove c’è solo una vocale.
Per aler, andar(e), venir(e) e le loro forme, quando vi è la presenza di una a dopo la forma verbale, la si interpreta come a preposizionale prima dell’infinito dipendente (per es., aloit a prender).
Per i nomi di luogo che iniziano in A, o per i verbi con a- iniziale, si interpreta l’eventuale mancanza dopo la preposizione a come un’elisione, e si rappresenta il fenomeno con l’apostrofo (per es., a ’Ntone = “a Antone”; a ’Leris = “a Aleris”; a ’coler = a acoler).
di: dove la i potrebbe essere l’articolo determinativo, si inserisce il punto in alto (d·i enfant (v. 633) = “dei bambini”); altrimenti, le due lettere non si separano.

Abbreviazioni
(per chiarezza, le forme sciolte delle abbreviazioni in mezzo alle parole o in mezzo ad una frase qui sono scritte tra parentesi quadre, ma nel testo sono in corsivo)

7: È scritta et, con tre eccezioni (verso 17, e due volte in 15041) dove e permette una sillaba di meno nel verso, per mantenere il conto di dieci sillabe: il verso 17 si legge Morto l’abate, sença nosa [e] tencon; e il verso 15041, Cun li çivaler vait [e] arer [e] avant.
titulus: Il titulus segnala la mancanza della nasale. Si segue la forma più comune trovata dove non c’è abbreviazione, cioè, n.
[r]: Si segue la forma più comune altrove nel testo. Esempi: m[er], m[er]velos, P[er]sant, p[re]sant, p[ri]mer, p[ri]memant, p[ri]nçer, p[ri]s, p[ri]sé, s[er]pant, v[er]gognie.
ē: Per e[st] 8 volte nei versi 640, 14102, 14126, 16344, 16671, 16713, 16732, e 16818.
Jesu χ͡ρσ appare una volta (v. 9390), per Jesu [Christ]o.
s͡te appare una volta (v. 6187), per s[an]te.
I nomi propri si abbreviano in generale solo per i protagonisti più frequenti.
.K. si usa per Carlo Magno. Ci sono otto varianti tra le 88 forme scritte senza abbreviazioni: Karle, Karloete, e Karo (nelle rubriche); Karles e Karloto nel testo; Karleto 64 volte, nella sezione di Karleto; Karlon, sempre in rima; Karlo, all’inizio e nel verso. Nel Karleto (vv. 5491-9026), dunque, la forma abbreviata è sciolta K[arleto] con l’eccezione delle forme in rima dov’è necessario K[arlon]. Altrove, si è optato per K[arlo], a meno che la rima non richieda K[arlon].
.N. per Naimes è frequente. Seguendo le forme scritte per esteso, in rima si dà N[aymon]; altrove appare N[aimes].
.R. (.Ro., Rubriche 530, 580, 581, 585, 617) per Orlando. Nel testo appaiono Rolan (in rima); Rolandin; Rolando; e Rolant. Nel testo di Orlandino, Rolandin è la forma preferita, e dunque è questo lo scioglimento usato, a meno che la rima non richieda un’altra forma. Prima e dopo, secondo il numero di sillabe richieste e l’età del personaggio si risolve: prima di Orlandino (vv. 9393, 9480 e 9498) per il bambino e tre sillabe, R[olandin]. Dopo l’Orlandino, però, si usa R[olando] per tre sillabe, R[olant] per due sillabe e nelle rubriche, dove non sono in rima.
.B. per B[erte] (Rubrica 40).
.B. per B[ra]er (Rubrica 363, dopo v. 12649).
.G. per G[uier] (Rubrica 112, dopo v. 4272).
.M. per Macario (Rubriche 411 e 413).
.O. per O[liver] (Rubrica 631).

Emendazioni

Le aggiunte editoriali, emendazioni e cancellature sono tra parentesi tonde ( ); le spiegazioni si trovano nelle note alla fine nel testo stampato. Le parentesi ad angolo < > indicano le letture di altri editori che non sono chiare ma che sono ragionevoli (spiegazioni nelle note stampate).

Gli accenti scritti

a. la c con cediglia Ç si lascia tale e quale nell’originale. L’uso non è coerente prima di palatale e dunque l’emendazione sembra illogica. Per distinguere tra certe forme, però, è stata aggiunta o tolta la cediglia 12 volte: le forme di çuçer (< JUDICARE) e lessemi imparentati, nei versi 2824 ((çu(ç)ement), Rubrica 121 ((ç)uçé), 11652 ((ç)uçé), 14730 ((ç)u(ç)ement), 15345 (çu(ç)ement); inoltre, nel verso 4824 (ç)onto (Ital. “giunto”) (< lat. JUNGERE); (ç)u(b)ler (830, per correggere la metatesi dove nel manoscritto si legge bulçer); (ç)ura, v. 4560 (curer < CURARE); (ço)strer (v. 897) e (ç)ostraren (v. 13117) per seguire altre forme di çostrer; (ç)ant, Rubrica 451, dopo v. 16011 (per seguire le altre forme < GENTE(M)). Una cediglia in più si toglie da (c)oment (Rubrica 388, dopo v. 3677).
Accenti editoriali aggiunti:
b. l’accento acuto si aggiunge solo su -e.
i. Per i participi passati (riflessi di, o analoghi a, i riflessi di participi passati della prima coniugazione latina in -ARE), per distinguerli dalla terza persona singolare o plurale del tempo presente dov’è possibile; dove non è possibile la distinzione, non c’è accento scritto.
ii. L’acuto si usa anche alla seconda persona plurale indicativo o imperativo per la prima coniugazione come alé e alés, ma non in -ez/-eç.
iii. Similmente, le parole con la sillaba tonica che hanno la stessa struttura: malvés; jamés; aprés; palés. Però, dove la tonica non è chiara, come demanes, non c’è accento scritto (italiano dománi o antico francese demanois?).
iv. Alcune parole di una sillaba si scrivono con l’accento acuto per distinguerli da altre parole di significato diverso (Damnedé [né (< NATUM); (ital mod lieto); (fran mod mais). Non è possibile evitare ogni doppiatura; per esempio, ne può essere la particella negativa e la congiunzione equivalente al moderno “né”; le può significare “largo” e “lei” come pronome.
c. l’accento grave si aggiunge alle vocali finali a, e, i, o.
i. Per la terza persona singolare/plurale del passato remoto dei verbi regolari in -o, riflessi o analoghi alla prima coniugazione latina, in -ARE (per es., trovò) per distinguerlo dalla prima persona singolare presente. Dove non è chiaro se il verbo è presente o di una radice regolare o irregolare, come pote, non si usa l’accento. Ci sono due lasse con la rima in a finale che sono problematiche; il tempo verbale di alcuni verbi così non è evidente.
ii. L’accento grave si usa al futuro: , , (per es., farà), secondo l’uso dell’italiano moderno.
iii. Si usa sui nomi ossitoni come verità (290).
iv. Si usa sull’ -i finale dove vale come desinenza verbale della seconda persona plurale (= és); per es., condurì, avì. Questo include l’imperativo.
v. Inoltre, l’accento distingue tra omonimi e in alcuni casi, tempi verbali: ò (=ho) vs. o (=dove); à (=ha) vs. a (preposizione); è, (=è) vs. e (=e); (diede; deve) vs. de (preposizione); (dal verbo dare, dà e l’imperativo, da’) vs. da (preposizione e participio passato); (verbo, l’imperativo di dire) vs. di (preposizione); (imperativo) vs. fa (indicativo); (sei, siete) vs. si (se; e; sì); (dal verbo sapere) vs. se (pronome e congiunzione); , (avverbi) vs. li, la (pronomi).
vi. Il grave si usa anche su -e ed -i dove sono forme del passato remoto (per es., avì, trovè).
c. la dieresi: non si usa; siccome il conto delle sillabe è tanto variabile, si evita l’uso.
d. l’apostrofo: rappresenta l’elisione di una vocale. È spesso poco chiaro quale parte di un’espressione abbia subita l’elisione (per es., elo: sarà e < EGO + l < ILLU + o < HABEO? O sarà el < ILLU + o < HABEO?), allora si limita l’uso dell’apostrofo a:
i. congiunzione pronome soggetto: q’il; s’i
ii. articolo più aggettivo o nome che inizia con vocale: L’uno
iii. avverbi negativi seguiti da verbo o pronome oggetto che inizia con vocale: n’en; n’amo
iv. pronome oggetto seguito da verbo che inizia con vocale, o seguito da un altro pronome che inizia con vocale: l’à, s’en
v. a prima di lessema che inizia con a; per es., a ’Ntone, per a [A]ntone; questo è un esempio particolare, dove alla seconda parola manca la vocale iniziale. C’è un esempio di a più un’altra vocale (o e o i, che è simile, v. 10627: Lasa’n, dove l’apostrofo sta per la vocale iniziale di en o in (tutte e due le forme si trovano nel testo).
e. punto in alto: si usa per la combinazione di due lessemi dove il secondo inizia in consonante.
i. preposizione + articolo: a·l, de·l; l’eccezione qui è a·u, che appare una volta sola (v. 9424);
ii. verbo + pronome atono che segue: Fa·la, à·l, ecc. A causa della legge Tobler-Mussafia nella lingua antica (i pronomi oggetto non precedono un verbo all’inizio di verso o di frase) (Rohlfs, Grammatica storica, 170-72 [& 469]), è piuttosto frequente. Il punto in alto si usa anche con gli imperativi, infinitivi, e il futuro ossitono. I pronomi tonici non sono inclusi (moi, nos, vos);
iii. pronome soggetto + pronome oggetto: per es., ela·l, ele·l, ge·l per il moderno “lei lo” or “lei la,” “glielo” or “gliela”;
iv. congiunzione + pronome oggetto: qi·l, si·l per il moderno “che lo,” “se lo”;
v. in pochi casi, il verbo e il soggetto che segue che inizia in consonante: è·lo, è·la, fo·lo, ecc.;
vi. in casi di assimilazione: una nasale finale con una parola seguente che inizia in nasale; per esempio, i·me per in + me, “in mezzo a” (v. 10447); co·la, per con + la (v. 10877); una congiunzione a un pronome soggetto che segue, e·l, “et il” (per es., v. 10690), e·s, “et les” (v. 16344), ecc.; e similmente, l’avverbio negativo più pronome oggetto che segue, dove la nasale finale si assimila a l: no·l, moderno “non lo.”

Semivocali

Il manoscritto usa u per u e per v, i per i e j/y. Convenzionalmente, si usa j come la seconda dei due “i” i al plurale (per es., palij) e nei numeri (per es., xij). “j” si associa con tanti fonemi nelle tradizioni delle due zone. Contrariamente ad alcuni editori, in questa edizione si trasforma la “i” in “j” in ogni posizione della parola, non solo all’inizio.
J è scritta:
i. dove rappresenta il /ʤ/ nell’italiano moderno, /ʒ/ nel francese moderno: per es., jent, jant, jorno, je (= “gente / gens, giorno / jour, -/je”)
ii. dove rappresenta /j/: per es., çoja, nojer (= “gioia, noia”)
iii. dove rappresenta /λ/ nell’italiano moderno: per es., mujer (= riflesso di “moglie”)
-ij (sij, malvasij) come convenzione è scritta -ii secondo le pratiche moderne.
v appare:
i. nei numeri cardinali (romani) nel manoscritto.
ii. savrà e avrà perché le forme con la semivocale predominano.
iii. altrove, si segue l’uso moderno: per es., salver/saluer, che significano “salvare” e “salutare.”

I maiuscoli

Si usa il maiuscolo secondo le norme delle lingue romanze moderne. Nel manoscritto, si trova di solito un trattino rosso attraverso i nomi di persona, raramente un maiuscolo se non all’inizio di verso. Si scrivono qui anche con il maiuscolo i luoghi d’origine e gli epiteti usati come nomi (per es., Çudé, Apostoile, Ascler).

Per più dettagli, si rimanda al volume 1 dell’edizione, pp. 289-304, da cui è tratta questa presentazione abbreviata.

 

 

 The Franco-Italian 'Berta and Milon' (Ms. Marc. XIII)
 Charles held great court at Paris, his residence; there are many dukes, counts and barons, and there was also Bernard of Clairmont. With [Bernard] is one of his sons, Milon: (9030) there is no more handsome youth who puts on spurs, neither wiser nor of better sense.
 The King dispensed justice to the two evil felons; the French and Burgundians talked of them, and the Normans and men of Mans and Britons. (9035) In the court was Duke Naimes: he is the counsellor of Emperor Charlemagne. Great joy was made nearby and in the court; Charles took care of his sister as he should.
 There was no land, neither on a hill nor on a mountain, (9040) which didn't give fealty to the Emperor. And the Pope returned to Rome; he praised Charlemagne above all things. Charles' seneschal was Milon, who was the son of Bernard of Clairmont. (9045) He was still a youthful bachelier; and Berta, [Charles's sister,] who had a clear countenance, placed all her hopes in him.
 If you will wait until the story's done, I will have told you in this romance (9050) the whole story of Roland's birth; How his mother and father fled like criminals through foreign lands wandering the world. They were banished from all realms.
 
 Rubric 262: How Charles held great court, and assembled his whole barony.
 Charles the Emperor maintained a great court; (9055) there were many dukes, princes and counts -- of all France he was the emir. Naimes the Duke was his counsellor; Bernard of Clairmont, there was none better than he, carried the oriflame before Charles. (9060) Bernard had five children, Milon was the youngest; [he] served the Emperor day and night. He was much loved by the barons of the court; women and girls admired his prowess, even Berta, the sister of the Emperor. (9065) In him she placed all her love; she couldn't eat or drink, she so delighted in him. Queen Belisant who had such fresh color, loved Berta in faith and caring.
 
 Rubric 263: How the court was great.
 Great was the court which the crowned Charles the Great held in Paris, the city (9070). Bernard of Clairmont had brought his son-- that was Milon, the wise and gifted-- and he served Charles willingly and with good spirit. So great was the beauty that Milon had in him, (9075) [that] Berta loved him above all others. She was so deeply in love [that] she couldn't eat or nourish herself enough, since [Milon] was so firmly in her heart. The thing went to the point (9080) that [Milon] sinned with that lady. From her he took love and friendship. No man born of woman noticed it, not even Belisant who had Berta in her keeping.
 If the king loved Berta, now, don't even ask; (9085) he thought to make a great match with her, giving her to a king, a count or an admiral. He had no evil thought about her; but love worked so hard that both Milon and Berta had broken chastity. (9090) If the King had either known or noticed, Milon would have been hanged on the gallows, and she would have been burned to ashes. So far forward went the affair from day to day, that Berta found herself with child. (9095) When she realized she was pregnant, she was so upset, that she couldn't have been more so in all her life. She lamented to herself, "Evil, unfortunate, how I was born with bad luck! My mother was burned to ashes, (9100) and my two brothers were hanged. Now I am pregnant with a son and heir; if the King finds out how I have done wrong, for the great love which he, my brother, has shown me, I will be shunned by all people, (9105) and so will I be shamed and abashed." She doesn't know what to do, she is so upset; never has a more distraught woman been born in the world.
 
 Rubric 264: How Berta realized she was with child.
 When Berta realized she was pregnant with the child, in her life she was never so upset. (9110) When she saw Milon, she told him clearly: "Milon," she said, "It's going badly for us; I accomplished all your desires, as you did for me. If we have had joy, now it has turned to tears; (9115) I'm with child, a boy or a girl. If the King finds out, all your relatives won't be worth a fig to you, won't be able to keep you from hanging on the gibbet; and I will burn in the flaming fire.(9120) And this is such an evident thing, it can't be hidden for gold or silver. The more time passes, the more evident the event. And if by any chance Belisant notices, (9125) she'll tell the King right away! Now what will I, poor thing, do, who hoped to have so much honor? I shall be abandoned by all people, the young and old will shy away from me. (9130) And know this well, Milon: all this will happen in a very short time."
 Milon, when he heard her, had never been so upset; he almost died of unhappiness.
 
 Rubric 265: How the lady realized she was pregnant and spoke with Milon and told him the truth.
 When Milon had heard that lady, (9135) no one should be surprised if he was upset, for the misdeed which he had done to Charlemagne, he, whom [Charlemagne] loved more than any other baron. Charlemagne didn't trust any other if not him; [Milon] was lord of Charlemagne's household. (9140) Milon wept and mourned, his hand on his chin, as he bathed his clothes with tears. He spoke his piece to the lady: "Lady," he said, "tell me what we should do. You've read me an unfortunate lesson, (9145) so that you see me in great confusion, more than in any youth or old man; now I see our destruction clearly. If we want redemption from death, we'll have to go wandering through the world, (9150) and God only knows whether we'll get away. There's no land or castle or dungeon, which is not ruled by Charlemagne; and every realm which is Christian, also obeys him because of the honor of the crown (9155) which he has from the Roman Empire. We are dead, wherever we go."
 
 Rubric 266: How Milon speaks to the lady.
 "Lady," says Milon, "it isn't worth our weeping, since we can't achieve anything from grief. Unhappy and sinful when born to woman, (9160) I thought to attain honor, and for that reason my father brought me to court, in order for me to serve the emperor in [good] faith. And I have done him the worst insult that one could say or think. (9165) I am worthy of a hard and difficult death, more than any man born of woman. If I had wronged only a knight, I could bear arms against him. But the King is such a one, that this [atonement] cannot even be discussed; (9170) he is the lord of land and sea; in whatever land I might go, he will have me taken and bound over, he will have me judged as a traitor."
 Said the lady, "A man who can prolong his life (9175) is not at all to be blamed. And I want to pray you, for the love of God, that you cease this lamenting, and that we think about leaving the court, and about the road which we should take. (9180) Perhaps we'll have some hope from God, who will have to counsel us aright. If we cannot stay in a city, we'll have to stay in the forest, and live with animals in the woods; (1985) I don't believe at all that he'll come looking for us there." "God," said Milon, "How you know how to speak! Your advice will not be forgotten; if God helps us, we can still restore our honor and goods in time." (9190)
 
 Rubric 267: How Milon speaks to Berta.
 "Lady," says Milon, "I won't allow you to say anything: He who trusts in God is greatly protected. God is full of all courtesy; haven't you heard what the prophecy says on the subject of the Virgin Mary, (9195) who, for fear of Herod, fled away? She carried His son, whom she had nourished. If we go away, we'll find a refuge, in some copse or wooded forest." The lady says, "We shouldn't delay at all, (9200) because our banishment will come in a short time."
 Then they established the time and day [for departure]: when a month was past and gone, Berta and Milon prepared themselves. They take the goods which they have ready; (9205) they don't take clothes which are of great fashion. And one night they leave Paris; away they go through unsettled land. All night long, until dawn's breaking, they take the road to Lombardy. (9210) God guided them, and the Virgin Mary, so that they could arrive at safety.
 
 Rubric 268: How Milon and Berta go.
 Milon leaves, and Berta the intelligent one; they have taken their route toward Lombardy. They traveled during the night, and rested during the day, (9215) among copses and wooded forest. They ate and drank from what they had. They didn't have a palfrey or rested destrier; they went on foot, suffering great hardship.
 Now let's leave them, who have sinned and committed a crime; (9220) I want you to know about the Emperor. When the news came to him, how Milon had taken Berta away, he was greatly amazed that Milon had committed such a deception. (9225) In his chamber, Milon was the closest confidant of any men in his household. If Charlemagne mourned, now, don't even ask. He questioned and begged Belisant whether she had ever noticed anything about their affair. (9230) Said the lady, "No, by my faith, I never saw him with her privately." Then the King was so furious [that] all that day he didn't speak a word. But Duke Naimes comforted him. (9235) Then the King sent a bann throughout the kingdom to city and village, to castle and high keeps: that no stone be left unturned in retaking them. When he doesn't find them, he banishes them, and he sends this pronouncement throughout the countryside: (9240) Whoever finds them, and presents them before Charlemagne, will receive great wealth. The King would have gone against Milon's father, his own peer, until Duke Naimes calmed him down: (9245) "Good King," he said, "don't get so angry, because Bernard of Clermont is of great parentage. There is no one in France, neither duke nor noble, who is not his friend or well-wisher. He is angry and grieved at what his son has done; (9250) if the youth has led your sister away, it cannot be that it isn't known how they acted in Christian realms." With great difficulty Naimes comforted him.
 
 Rubric 269: How Charlemagne banished Milon and Berta throughout all of France.
 Let's leave Charles, who is angry and grieving; (9255) he was never so [furious] in all his life, and with him was Belisant. And Milon travels, wandering through all the byways; by night he walks by the shining moon, and all day long he stays quietly (9260) among the woods and in the enclosed forest. The lady is pregnant, and walks forward slowly; she is not accustomed to suffer such discomfort. She endures great pain and torment: among the woods she went begging, (9265) she did not stay at hotels, she did not try food; she ate bread and water alone, she slept on the ground, on green grass. She weeps and calls herself unlucky: "O, poor me," said she, "why do I live so long, (9270) who from being a queen am become a servant?" Said Milon, "Don't talk so much; good and evil are one; man cannot have what he desires. He must put up with good and evil frequently; (9275) no man can live in this sad world without pain and torment. If we have pain now, in the future we will yet have joy." And so he went comforting her gently. But that comfort counts for little, (9280) when there is so much annoyance from the rest. She did not eat or drink according to her wishes, and there was very little even of that.
 Upon leaving Provence, in a big wood, they found more than thirty thieves, (9285) who robbed along the roads where merchants passed. These took from merchants their goods, money and profits, then killing them if they felt like it. When they saw Milon alone with the lady (he had no arms and nothing except his clothes) (9290) and they saw the lady so pretty and attractive, the crooks came forward to rob them. When Milon saw them, he spoke aloud: "Sirs," he said, "we are not merchants, nor do we carry gold nor money. (9295) Let us go, in the name of God and the saints." And they said to him, "You're a liar! You're taking this lady with you without her permission; you want to sell her for gold and silver."
 
 Rubric 270: How Milon killed those thieves who want to take the lady.
 "Sirs," said Milon, "by God I want to pray you, (9300) that you let me go my way. I'm neither a criminal nor a wandering pilgrim, and I won't give up this lady for gold or money. I shall get extremely angry with anyone who wants to take her against my will." (9305) And they say, "You can't take her along. She'll have to stay with us." One of them, who was the biggest criminal, steps forward, because he wants to seize her, and tries to take her by the hand. (9310) When Milon saw this, he was furious; he was holding a stick which he had made from an apple tree-- he had made to lean upon in the woods-- [and Milon] whacked that fellow such a fell stroke, in the middle of the head he hit him such a blow, (9315) that he made eyes and brains fly from [the robber's] head. "Back," he cried, "evil felon! Does it seem to you that I am a beggar? It's too bad you even considered touching my lady!" When the others saw [Milon] react so strongly, (9320) they overran him, with the intention of seizing him. They would have killed him, when he drew back. He holds the stick to defend himself, and swipes with it back and forth. He makes blood leap from the hair of many; (9325) when the stick is broken, he pulls out his iron sword, and goes to hit the first of them who had come nearest. [Milon] gives him such a blow, without any warning, that he cuts [the robber] in half, all the way to the buckle of his belt; (9330) then he wounds the other one, making his head fly off. When the other [robbers] saw [Milon] is so strong and aggressive, those who would have waited for him were not happy. They turn to flight as far as they can go, and many flee into the woods to lay low. (9335) Milon sees this, and doesn't want to fight them; he goes back to following the road. And he left more that ten dead on the grass. Milon moves on, the courteous knight; he leads the lady, let it displease whom it might. (9340) He comes to Pavia, and he doesn't want to enter; outside of Pavia, he stops at a hostel. There he eats and puts up for the night. The next morning then they begin again to wander, toward Ravenna, straight on their road. (9345)
 
 Rubric 271: How [Milon] goes toward Ravenna, and leads his lady with great difficulty.
 Milon continues, angry and pensive, after he had defeated those who had attacked him. Once he had done that, and he had escaped from them, he walks so much through hill and dale that he passes the praries, the valleys and the hills; (9350) God, the King of Paradise, leads them, and His mother, the Virgin progenitor. He leads [his] lady, because of whom he was exiled from beautiful France and the city of Paris. When he was at Ravenna he stayed there three days, (9355) then goes on, so that he would not be sought by anyone.
 
 Rubric 272: How Milon travels.
 Milon travels toward the sea shore, and he sees the currents and the rising waves. He didn't want to go beyond the sea, in order not to aggravate the lady. (9360) He didn't go any further; in fact, he turned back; he began to walk toward Romagna. The lady is so big that she can hardly walk; near Imola, at a clear brook, which arose from a river, (9365) there she birthed her first child, that is, Roland, the best knight that could be found in his time, or for 100 years hence. Now Berta cannot go any further forward, (9370) about to give birth to Roland, she worried about him a great deal. Not even Milon knew how to help her; there were few women there at the birth. When those who were there went to catch the child, with great amazement they noticed (9375) [something] about the infant which seemed strange: he seemed to them more than two years old! And when he was born, he began to look about him; he didn't do as other children, who, when they are born, begin to cry. (9380) They wash him and begin to wipe him off; with great difficulty they swaddle him, for he won't let them bind his hands or feet. One woman says to the other, "This will be a strong man."
 
 Rubric 273: How Roland was born.
 There where Roland was born, there was no tent, (9385) nor painted chamber, nor palace nor home, nor a big bed as would have been appropriate for him, nor cover nor sheet nor other bedding. If we want to make a good explanation of this, we compare him to Christ, (9390) who was born in a manger, as the sermon says, in a stable with cows and sheep: similarly was Roland, the son of Milon, [so] it wasn't a miracle if he was blessed. And lady Berta, who suffered so greatly,--- (9395) it didn't please God nor his holy name that she have a chicken or capon as other women in a similar condition.
 In peace they stay, without arguing. Lord Milon wept with her a great deal, (9400) while the sister of Charlemagne comforted him. "My lord," said she, "don't weep; because during the night I had a vision that through this child we shall yet return to our country, under great protection. (9405) This child will be a perfect knight above all others; if now we have some pain and affliction, this has come to us for the sins that we committed. If we submit to this thing patiently, God's reward awaits us." (9410) Milon heard her, and was comforted.
 
 Rubric 274: How Milon speaks to Berta.
 "Lady," said Milon, "I am sorry for you, when I see you in pain and agony." Says the lady, "Don't talk about it any more; now that I've had my child, (9415) I don't have any more pain or any irritation." Know, lords, and know well, that there were few ladies alive in the world who had greater wisdom than Berta. She nourished that child well and genteelly, (9420) and had him baptized and given the holy oil.
 When the fixed term of fifteen days passed, those who took him to be baptized didn't take him to a great monastery, but to a chapel which was there near them. (9425) But the whole time, Milon was there with them. At the baptism, he gave him the name Roland, which amazed the priest, that they didn't give him the name "Peter" or "John." When he had done that, he returns happy. (9430) He gave the small child to his mother, and she nurses him, and holds him so that he raises himself almost to standing.
 They didn't stay at all for a long time in that place where Roland was born; (9435) a month later they went on. They had nothing to carry but that child; they didn't carry bags as merchants do, nor [did they have] a pack horse loaded with gold and silver, nor a palfrey or ambling mule. (9440) They walked through the land enduring such hardship, I wouldn't know how to tell you for anything living. From day to day they wander on, until they come to Sutri, and there they stop. And there they found an unsettled area, (9445) where there was no man or woman living. They do this because they have such a great fear of Charlemagne, the powerful sovereign. They nourish the child both well and sufficiently.
 
 Rubric 275: About the pain which Milon suffered.
 About Milon, know truthfully, (9450) that in that forest he suffered great difficulty and great pain, in winter and in summer. After the child had passed four years of age, they sent him to school in the city. Never was a man in this world born, (9455) if not the son of the Lord God, who was so talented at learning. He learned more in one day than the others in six, for which reason the master hated him, and said to himself, "If this one comes of age, (9460) he will take away my dignity." There is no man in this world so wise and talented, than was Roland in his age, or who would have been able to surpass him in wisdom and writing. [Milon,] his father raised him in great poverty, (9465) until he had passed seven years of age. He was badly dressed and badly equipped, badly fed and trained. And that Milon showed himself strong and hardened; from a knight he became a woodsman. (9470)
 
 Rubric 276: How Milon went to the woods.
 Listen to me, sirs and good people: that Milon was not at all slow. Each day at the crack of dawn, he got up, he didn't hesitate; he went to the woods, where he endured great torment. (9475) He made firewood, and he went selling it, and he gave it up for silver coins. And from those coins he bought the gruel with which he lived well and poorly. But because he was so wise, he frequently gave bread and meat to Roland, that child with whom he was so happy, (9480) so that from day to day [Roland] grew. Now we'll leave Milon the valiant one, and lady Berta, who were in great fear. (9485) She endured great pain in those woods for a long time, until the Lord God gave her relief, so that she could leave such difficulties, as you will hear, if you wait. If it hadn't been for Roland, (9490) she never would have gotten out of pain and suffering in all her life, nor ever come to an agreement in France, with Charlemagne, the powerful sovereign, nor ever had lands in France, nor recognition from any relatives. (9495)

 

 

 

Rubric 17

 

Oldu avés de Bovo e coment avoit fine e como* / El oit Drusiane recovré et Antone. En ceste / Punto de lui avrò lasere e de li rois Pepin. / Buens est qe vu saçé con primamant fo marié.

Laisse 18

 

 

Li rois Pepin avec ses baron*

1165

Tenoit gran cort a Paris sa mason,

E fu a Pentecoste, dopos l'Asension;

Çente li fu de mante legion:*

Aquilon de Baiver li adota e semon,* (5)

Et avec lu Bernarde de Clermon,

1170

Rayner li pros, e li conte Grifon.

Gran fu la cort, major non la vi hon;

Çivalçent e bagordent, donent robe a foson.*

Dist l'un a l'altro, "Porqe le çelaron?* (10)

La cort de li rois no valt un boton,*

1175

Quando non oit une dame a·l galon,*

Dont il aust o fiol o guarçon,*

Qe apreso de sa morte e de sa decesion*

Qe fust nostre rois, cun esere dovon,* (15)

E mantenist en pase soe rion;*

1180

E par lu aumes guarison."*

Grant fu la cort entorno e inviron;*

Quando li rois vol montar en arçon,

Avec lui en monta plus de mil baron, (20)

Tuti filz de çivaler de dux o de con.

1185

Mais seguente li rois ne le fo nesun hon,*

Qe tanto fust avanti como fu Aquilon,

Qe dux è de Baivere, de celle region,

En tota le Magne non oit conpagnon.* (25)

Et avec lui si fu Bernardo de Clermon,

1190

E Morande de Rivere e le dux Salamon.

Or stetes en pais, si oldirés sta cançon,

De diverse colse qe nu vos contaron.

Tal tradimenti, qe mais ne le oldì hon, (30)

E por una dame, el crese tel tençon,*

1195

Donde ne morì plus de .X. mil baron,

E França tota fu en tel tençon,

Nen fust Deo qe le fe reençon,

Le Batesmo fust a destruçion; (35)

Trosqua a Rome fo la persecucion.

 

Rubric 18

 

Coment fo la corte grande de li rois Pipin;*

E li rois e baroz, qi la guioient e d·i çubler.*

Laisse 19

 

 

1200

Grant fu la cort, meravilosa e plener,

Qe li rois Pepin oit fato asenbler.*

Asa lì sont baron e çivaler;

Mandé avoit par tot la river. (40)

Asa li son venu bufaor e çubler,*

1205

E altra jent, peon e baçaler,

Por veoir celle cort e por le tornojer,

E por veoir baler e danser.

Lì son venu plu de .X. miler, (45)

Qe tot avoient da boir e da mançer.

1210

Ne le fo nul qi fu li plu lainer,*

Qe le fose dito qe se trese arer.*

Li çivaler bagorda por li verçer,

E por amor de dame çostrent a tornojer. (50)

Doncha verisi mante robe mostrer,*

1215

De diversi color de palii e de çender,

Qe pois li ont doné a li çubler,

Por far·se anomer por l'estrançe river.

Ma un çubler lì fu qi fu li plu alter, (55)

E qe era adobé a lo de çivaler,

1220

Et estoit plu anomés en cort de prinçer,

Qe nul autres qe faça qel mester.*

Ben savoit tornojer e bagorder

E ben parler, e molto ben derasner; (60)

El no è cort de là ne de ça da mer,

1225

Qe s'el g'è volu aler et erer,*

Qe in tot cort no sia ançoner;*

Si dona le robe a qi le vol doner.*

Lengue el soit de plesore mainer; (65)

En Ongarie avoit eu gran mester,

1230

E celle rois qe l'oit a governer

A gran mervele l'amoit e tenoit çer.

D'Ongarie soit e l'insir e l'intrer,

Si conose de li rois e li filz e li frer, (70)

E ensement Belisant, sa muler.*

1235

Et oit veçu sa file, qe molto se fait loer;

Bella e cortois cun le çio de·l verçer;*

Tant è sa belté qe nul homo la poit blasmer.

Ma una colsa oit qe la fa anomer: (75)

"Berta da li pe grandi" si se fa apeler.

1240

De finq'era petita, si la clamò sa mer.

E qui vorà ste roman ascolter,

E por rason le vorà adoter,*

Porà oldire de qi la fo mer: (80)

De le nasi Karlo li enperer,

1245

Qe po fu rois de tot li Batister.

Mes avantiq'elo aust eu a governer,*

Petito fantin s'en convene scanper.

El no fo tera qe l'olsase bailer;* (85)

A Saragoça cun Turchi et Escler

1250

Li convene se stare e demorer.

Son per si li fo morto, e Berta soa mer,

Qe du son frer le fe atoseger.

Mais el ge fo un valant çivaler, (90)

Qe mais no·l volse deliquir ni laser;*

1255

E quello fu Morando de River.

E li rois Galafrio si le fe alever;

Avec Marsilio li fasoit mançer.

Ne vos pois tot li plais aquiter, (95)

Coment el s'en foçì cojament a·l çeler,

1260

Si le conduse Morando de River,

Por la paure de qui malvasi Escler

Qe li voloit oncir e detrencer.

Por sorte i pooit e veoir e trover,* (100)

Qe costu dovoit regnar toto l'inperer,

1265

Et eser rois de tuto li Batister,

Trosque a Rome a l'altare de san Per.

Li amenò Morando de River,*

E vi ec li rois qi perde sa mer,* (105)

Li vene en secorso cun .X. mil çivaler.

1270

E Lanfré e Landros, qe erent anbidos frer,

De li reame li farent descaçer,

Dont furent morti, cun vos oldirés conter;

E cun Damenedé, li voir justisier, (110)

Mandò ses angle, c'un clama Gabrier,*

1275

Qe coronò Karlo maino en primer

De la corone de lo santo enperer;

Porço devés vonter sta cançon ascolter.*

 

Rubric 19

 

Coment li çubler parlò a li rois Pepin

E si li conte la belté de dama Berte e de son per.

Laisse 20

 

 

Grant mervelle fu celle (çubl)er valant,* (115)

Saço e cortois e ben aparisant,

1280

E soit ben parler en lengua de Romant.*

De tot le cort el soit le convant,

E de l'afaire el soit li fondamant.

El ven davant li rois, si li dist en riant: (120)

"Ai, sire rois de França, molto estes manant,*

1285

La vestre cort è bella e avenant;

Non è major en le bateçamant.

Si ò çerché jusqua in Jerusalant,*

Non trovo nula c'aça baron tant. (125)

Ma non vos poés apriser la monte d'un besant,

1290

Quando dama non avés a li vestre comant,

Donde vu avisi e fio e infant

Qe pois la vestre morte mantenist li reant.

E quando a vos el vos fust a talant,* (130)

Una vos contaria cortois et avenant,

1295

Et è filla de rois cun vu sì ensemant;*

Plu bella dame non è in Oriant,

Nian plu saçe se la mer no me mant.

Una colsa oit qe tegno por niant: (135)

Ela oit li pe asa plus grant

1300

Qe nulle autre dame qe soit de son convant;

"Bertal' a li pe grant" si l'apella la jant.

E soa mer oit nome Belisant;

Plu francha rayne no è a li segle vivant; (140)

Son per estoit rois d'Ongarie la grant."*

1305

Li rois l'intent, si s'en rise bellemant;

E a·l çubler el mostrò bel senblant

Por cella parole, el non perdè niant:

Doner li fe robe e guarnimant, (145)

Et in apreso un palafroi anblant.

 

Rubric 20

 

Coment li rois Pepin fi gran çoja por la parole

Qi li dixe li cubler, e si apelò sa jent.*

Laisse 21

 

 

1310

Quando li rois Pepin oit la parole oie,

Qe cil çubler li oit arasn(i)e*

A gran mervelle le plase e agrie,

E conose benq'el non dise stultie. (150)

De la parole oit son cor abrasie,*

1315

Tantoto cun il oit la parola finie.*

Le rois Pepin ne la oblia mie;

El se comanda a Deo, le filz Marie.

A le çubler fi far gran cortesie; (155)

De riche robes de palio e de samie,

1320

Un palafroi li done, a la sella dorie.

Li rois li oit la soa fo plovie,

Qe s'el avent qe cel sia conplie

(Qe cella dame el aça por amie (160)

E por muler elo l'aça sposie)

1325

Tant li donerà avoir e manentie,

Asa n'averà tot li tenpo de sa vie,

Mais no li farà mester fare çugolarie.

E le çubler molto ben le mercie. (165)

Li rois Pipin non se·nne tardò mie,*

1330

Ne n'oit metu la colsa en oblie.

El fa apeler la soa baronie,

Et avec lor la soa çivalerie:

Aquilon de Baivere, o cotanto se fie, (170)

E Bernard de Clermont, a la çera ardie,

1335

Morando de Rivere, e li cont de san Çie;*

Plus de cento baron el n'oie:

"Segnur," fait il, "ne lairò nen vos die;

Conseil vos demando, d'avoir conpagnie, (175)

De una dama qe estoit d'Ongarie.

1340

Fila est li rois, e saça e dotie;

Se me doneç dama, vu farì cortesie*

Forsi le voroit le fil sante Marie,

Qe de le averoie o fiolo o fie (180)

Qe guarderà ste regno quando serò fenie."

 

Rubric 21

 

[Coment li dux Aq(u)iluz de Baiver fo li primer / qi dona li conseil / a Pepin.]*

Laisse 22

 

 

1345

Li primer qe parlò fu li dux Aquilon,

Qe ten la tere entor e inviron;

E quel fu pere de le dux Naimon.

En estant fu, s'apoja a un baston, (185)

Davant Pepin el dist una rason:

1350

"Çentile rois, porqe vos çelaron?

Grant è vostra tere e grande region;

Anomé estes plu de nul rois de·l mon.*

Asa avés çivaler e baron; (190)

Se vu morise sença filz o guarcon,

1355

Entro nos seroit e nosa e tençon.*

Qui de Magançe, e qui de Besençon,

E qui d'Austrie, cun quille de Clermon;

Çascun de lor demandaroit la coron. (195)

Ma s'erese avés a ves decesion,*

1360

Questo non po avenire por nesune cason.

Ora prendés le conseil qe vos don,

E non creés a dito de bricon;

Prendés una dame de qualche region, (200)

Qe filla estoit de rois o de con.

1365

E non è nulla, jusqua li Carfaraon,*

Se la vorés qe i no ve la don,

Cun grant avoir e cun grande machon."

E dist li rois, "Ben vos entendo, Aquilon. (205)

Li ves conseil senpre ò trovà bon;

1370

Ma no me diisi colsa de traison,*

Ne qe a nul fese altro qe ben non."

 

Rubric 22

 

[Coment parlò Bernardo de Clermont.]

Laisse 23

 

 

Bernardo de Clermont si fu en pe levé,

Saçes homo fu, si fu ben adoté; (210)

Pere si fu Milon, si como vu savé,

1375

E quel Milon fu per Rolando l'avoé;

Si oit par muler Berta la insené.

Quando de la cort elo fo sbanoé,

De le naque Rolando si con vos oldiré (215)

Avantqe ces roman soja toto finé.

1380

E Bernardo parlò cun sajes e doté:

"Çentile rois, saçés por verité,

E no so pais qe vos en demandé;

Aquilon v'oit un tel conseil doné, (220)

Qe ça par moi, nen serà amendé.

1385

Quel qe volés faire, si le faites en bre,

De prender dama, e saça e doté,

Ora ne dites, se n'aveç rasné*

De nula qe soit en la Cresteneté." (225)

"Si ò," dist li rois, "s'el vos vent a gre,

1390

Fia d'un rois e de gran parenté,

De Ongarie è, de quel regné.*

S'el ne la done seron çojant e lé;

Qe un çubler qe è qui arivé, (230)

Por veoir questa cort e la nobilité,

1395

Tuto li son afaire el m'à dito e conté:

Qe in la dama no è nul falsité,

Salvoq'ela oit un poco grande li pe.

Nian porço non vole qe stagé:* (235)

Qi la po avoir qe no la demandé."

1400

Li baron s'en rist, si s'en oit gabé.*

Dist li rois, "Ne·l teneç a vilté;

Se Deo me dona gracia, no m'aça refué*

Porqe eo sui petit e desformé; (240)

Altament eo serò marié."

 

Rubric 23

 

[Coment Morando de River / Donò li conseil.]

Laisse 24

 

 

1405

En son estant Morando se levà,*

Quel de Rivere, qe gran segnoria à,

Meltre de lui non è en Crestentà.

Dist a li rois, "Mun sire, entendés ça; (245)

Veeç Aquilon, qe v'à li conseil dona.

1410

En Crestentés non è milor, ne unques non serà;

Qui mesaçer prendés, qe se convegnerà;

Mandés en Ongaria, la dama querirà

A quello rois qe la ençendrà. (250)

Qe l'oit norie, e qe in cura la à.

1415

S'el vos la done, i vos la menarà;

Colsa como no, arer tornerà."

Dist li rois, "Qi envojer l(ì) porà,

E qi de ço li conseil me dondrà?" (255)

Dist Aquilon, "Pensé ò e l'ò ça;*

1420

Siqe nesun no le stratornerà,

Colu vojo eser qe li pla moverà.*

Bernar de Clermonte avec moi verà,*

E Morando de Rivere qe nos convojerà, (260)

E Grifon d'Altafoile, qe li rois tant anamé à."*

1425

Doçe furent qe Aquilon oit nombra,

Tot li milor qe in la corte à;

No le fu nul li qual s'en escusa.

Çascun lì vait de bona voluntà; (265)

Mal aça quel qe projer se lasa.

1430

De riçe robes çascun si s'adoba,

E son pooir çascuno si mostra.*

 

Rubric 24

 

[Coment fo aleu li anbaseor qi devent / Aler en Ungarie por la file li rois.]*

Laisse 25

 

 

Aquilon de Baiver e li altri anbasaor

Por conplasir a li rois q'i tenent a signor, (270)

Se font far robes de diversi color,*

1435

A li palafroi le selle pint<e> a flor*

Tute endorés de oro le milor.

Çamais tel anbasea <non se vite anc>or:*

De doçe baron colu q<e i è> le menor* (275)

Avoit a guarder richo çastel e tor,

1440

E richa cité por li ses antesor,

Qe ma(i)s non querent labor,*

Da Deo e da Pepin qe tinent por segnor.*

Li rois lor dist dolçement por amor, (280)

"Entendés moi, li me anbasaor,

1445

E vos vojo projer, por Deo li Criator,

E si cun a ves en cal de mun amor,*

Qe a li rois d'Ongrie non sia mentior.

Le vor diés, non sia boseor, (285)

De ma fature, e de mes cor ancor.

1450

S'el vos dona sa file, me ne sia a onor;*

Colsa como no, tosto faites retor,

Qe d'altra dama nu pensaron ancor."

Dist Aquilon, "No ve metés en iror, (290)

Tosto conpliron ceste nostre labor."

 

Rubric 25

 

[Coment li mesacer s'aparilent de·l tot quele / coses que mestere li avoit.]

Laisse 26

 

 

1455

Li mesaçer nen son pais demoré;

A son oster se son reparié,

Et a li rois conçé oit demandé,

Et el li oit doné e otrié. (295)

De riçe robes fo ben çaschun coroé,

1460

E palafroi richament açesmé;

Plus de trenta somer ont d'arnise carçé.

E quant de tot i furent aparilé,

Avantqe de Parise i fosen desevré (300)

Li fo la mesa dita e l'oficio çanté,

1465

E tuti doçe furent comuné,*

De·l cor Jesu benei e sagré.

E quando i venent a prender li conçé,

Li rois meesme fu a çival monté; (305)

Cun plus de mil de li son parenté,

1470

Avec lor i sont çivalçé

Plu de dos legue fora de la cité.

Pois s'en tornent, a Deo li ont comandé

E qui s'en vont baldi, çojant e lé. (310)

Nen son pais mie por Alemagna alé

1475

Cun i farent quant furent retorné;

Por la Provençe i sont oltrapasé,

E Lon(bar)die cun est lunga e le.

E a Venecie i furent in nef entré, (315)

Qe in Sclavanie i (s)ont arivé.*

1480

Qui n'ese in tere e sunt açaminé;

Tant alirent nen furent seçorné,

Li rois trovent a una soa cité

O il avoit lungo tempo esté. (320)

Li anbasaor (s)i se sunt ostalé*

1485

A li milor albergo qe soit en la cité.*

E quant i oit e bevu e mançé,

Li son oster oit a li rois mandé,

Qe anbasaor sont de França li regné; (325)

A lu li oit li rois Pepin mandé,

1490

Si le porta novela de gran nobilité,

Dont el serà molto çojant e lé.

E li oster fu saço e doté,

Ne non oit mia la ovra oblié; (330)

Vent a li rois si ge l'oit conté.*

 

Rubric 26

 

[Coment li anbasaor entrent / En Ongarie e parlerent a li rois.]

Laisse 27

 

 

1495

"Mon sir," dist l'oster, "e no ve·l vojo nojer;*

Descendu sont anco a mon oster.

Dise qe son de França, vegnu qui vos a parler,

Da parte li son rois, qi est de gran berner; (335)

E novelle v'aporta, dont le devreç agraer.

1500

Quant el vos plait, vos virà a parler."

Quando li rois oit oldu li oster,

E la novele q'el dis d·i mesaçer,

El promis a Deo, li voir justisier, (340)

Qe no li envojarà nesuno mesaçer,*

1505

Ma il meesme li alirà a mener.

Nen volse pais longament entarder;

De ses baron quant i ne pote trover,

Tuti li foit a uno amaser, (345)

Cun le çentil homes, li milor de son terer.

1510

Vont arer li cortois hoster;

Quant a sa mason venent a 'prosmer,

Li oster fu sajes, si savoit desevrer;*

Avant vait corando a nonçer, (350)

A li anbasatori dire e conter

1515

Qe li venent veoir e convojer.

E ci non volent mie tant aspeter,

Qe li rois doust in l'albergo entrer;

Defor ensent por li rois honorer. (355)

A l'incontrer l'un l'autro s'en vont a cliner,

1520

E dolçement l'un l'autro saluer.

Por man se prendent, se metent a erer

Tros li palés sor la sale plener.

 

Rubric 27

 

[Coment li rois d'Ongarie aloit encontre li anbasaor / Li rois de Françe e coment se parlerent, / E dient l'ambasea li rois, som signore.]

Laisse 28

 

 

Li rois d'Ongarie si fu saço e manant, (360)

Cortois e pros e ben aparisant;

1525

A qui anbasarir en mostrò bel senblant,*

Si le demande e ben e dolçemant,

"Qe est de mun segnor, le riche rois de Franc?"

E cil li dient, "El è sano e çojant, (365)

E si vo ame de cor lialmant."

1530

Dist li rois, "Soja a li Deo comant."

Molto se mervele li rois e soa çant;

Nen cuitoit pais tant fust la colsa avant.

Li rois si fu cortois e valant; (370)

Le primer jorno, ne le dise niant.

1535

Me l'altro jorno elo·l fi saçemant;

El fe convojer d·i meltri de sa jant,

Tantq'il n'avoit plus de cento sesant.

Un disner el fi fare molto richo e grant; (375)

E qui mesajes si li fu a·l presant.

1540

Honoré fu de molto riche provant,

Siqe molto le loent li anbasaor de Franc.

Ma una colsa lì fu qe despresiò vilmant,*

Qe no se mançava sor disches ni sor banc: (380)

Le tables furent mises desor li pavimant.

1545

Quando ci le veent si s'en voit gabant;

Aquilon estoit pres li rois en seant,

Si le parle belemant en riant,*

"Ai, sire rois, vos estes si manant, (385)

Aveç tel carestie de dische e de banc?

1550

En nostra tere si manue li truant,

E la jent povre e la menue jant,

Qe non oit da spendere or coito ni arçant.

Mais se·l vo, se·l no vos vait nojant,* (390)

Deman faron pariler altremant."

1555

Dist li rois, "Soja a li ves comant."

Dont farent pariler disches e banc;

Quant le rois le oì, si le diste belemant,*

"Faites cosi en le tere de Franc?" (395)

"Oil, voir, sire, le petit e li grant,

1560

Li çivaler, e tot li mercaant."

E l'altro jorno qe fu ilec seguant,

Li rois con li mesajes si fu a·l parlamant;

Afor li rois ne le fo homo vivant. (400)

En una çanbre furent cojemant,

1565

E Aquilon si parlò primemant,

Si le dist l'anbasea dont li rois fu çojant.

 

Rubric 28

 

[Coment Aquilon de Baivere dise a li rois / primemant l'anba/sea de li rois de Françe e conment li rois en fi gran çoja.]*

Laisse 29

 

 

"Bon rois d'Ongrie, e vojo qe vu saçé,

Celi qe a vos nos ont envojé (405)

Est rois de Françe, d'un molto bon regné;

1570

De Crestentés est li plus doté,

E en le cuitrés est plus honoré.*

El n'oit a ves tramis et envojé*

Por grant amor e por nobilité; (410)

Avec vos voria parenté

1575

Se eser poust e(n) voluntà de Dé,*

De una vestra file qe molto li è loé;

El non à feme de ch'el aça rité.

Se le volés dare vestra file a sposé, (415)

Elo la prenderà volunter e de gre,

1580

Et avec vos si farà parenté.

Ma d'una colse no vos serà çelé:

Açoqe anqes non fomes blasmé,*

De soa fature vos dirò verité. (420)

Petit homo est, mais groso est e quaré;*

1585

E de ses menbres est ben aformé.

Questa anbasea el vos oit mandé

E da sa parte vos l'aven noncié."*

Dist li rois, "Vu siés ben trové!

Dites vos questo, por droita verité

1590

È mon segnor tant ver de moi decliné,*

Qe avec moi vol fare parenté,

E qe ma file soja soa sposé?"

"Oil," font il, "porço n'oit envojé." (430)

Dist li rois, "E vojo qe vu saçé;

1595

La fatura de li rois vos m'avés conté,

Et eo de ma file vos dirò verité:

Asa estoit bella e adorné,

Ma una colsa oit qe no v'ert çelé; (435)

Major d'altre dame oit grande li pe.

1600

Mais una colsa vojo qe vu saçé:

Tanto e ò mia fila amé,

E ma muler qe l'avoit alevé,

Qe (se a) li plase est otrié et graé,* (440)

Colsa como no, nient aveç ovré.

1605

No le daria a homo, s'el no g'è ben a gre."

Dist Aquilon, "Dito avon l'anbasé;

A la demant, quant l'alba est levé,

Si (v)os pregon qe vos ne respondé."* (445)

Dist li rois, "Voluntera e de gre."

 

Rubric 29

 

[Coment li mesaçer contoit la novele a li rois / D'Ongarie e con/ment li rois de Françe en fi çoya.]*

Laisse 30

 

 

1610

Li rois d'Ongarie si fu legro e çojant;

De l'anbasé el foit saçemant.

Li mesaçer honorò riçemant,

A lor delivre ço qe quer e demant, (450)

E si le foit hostaler riçemant.

1615

De tote quele colse qe a çenti hon apant.

Le çentil rois non s'areste niant;

Entra en sa çanbre, si trovò Belisant

Soa çentil muler, cun Berta a parlamant. (455)

Quando li rois le vi, si li dist en ojant:

1620

"Dame," fait il, "honor vos crese grant.

Se vu li otriés, nu avon bon parant,

Qe li rois a chi França apant

M'oit envojé anbasaor de sa çant* (460)

Por querir ma file Berte da li pe grant;

1625

Por muler la demande, s'ela li consant.*

Mes avantqe l'ovre vait plus avant,

De sa fature e vos dirò alquant:

El est petit e non guare mie grant; (465)

Desformé est da tote l'autre jant,

1630

Si est groser in menbres et in flanc.

Ma noportant ben sest en auferant,

Si è p(ro)don en bataile de canp.*

Rois è de Françe, corona d'or portant; (470)

Non è nul rois en le segle vivant

1635

Qe nobilité s'oit a lu parisant."*

Quant la parole oit oldu Belisant,

Sa filla guarde, si li dist en riant,

"Filla," fait il, "a v(o)s ven ste convant;* (475)

Vostro per vos à dito tot li convenant,

1640

De sa fature e de le so senblant;

S'elo vos plait, dites seguremant;

Colsa como no, no s'en farà niant.

Asa avon de l'or e de l'arçant; (480)

Ben vos poon ancora guarder longo tanp,

1645

E pois vos donaron a un altro amirant

Qe forsi a vos serà plus en talant

Qe cil no è, qe par petit enfant."

Berta oldì si parler Belisant,* (485)

Soa çentil mer qe la perama tant;*

1650

E de son pere oldì li convenant.

Ça oldiré parler Berta da li pe grant,

E coment a li per parlò saçant;*

Ne la poroit reprender hon qe soja <viv>ant. (490)

E la raine c'oit nome Belisant,

1655

Ancor a sa file parlò en ojant:

"Filla," fait ila, "entendì saçamant;

Ancor non savés qe soja hon niant;

Ne prender celui qe no le sia a talant,* (495)

E qe de lui ben no sè contant.

1660

Colu qe prenderés, o petit o grant,

Viver devés con lui a tuto ves vivant;

Non fi doné la dame par un di e un ant.*

Ma se dapois no li plas, daq'è fato li convant, (500)

E quela faça colsa qe non sia avenant,*

1665

A son segnor porta tel penetant,

Brusea fi, çité la polvere a·l vant.

Senpre n'oit vergogne tot li ses parant,

Dolente ne sont a tute son vivant. (505)

Questo te diç'(e)o ben si por tanp,*

1670

Qe jo non poria pois avoir blasmo da la jant;

S'el ben te plas, dì·lo siguremant,

E no te dotar de hon qe soja vivant,

Cha por çel Deo qi naque in Oriant, (510)

Qe dapoisqe serés alea a son comant,

1675

E vilanie li fais de niant

E non staroge par tot l'or qe fu anc,*

Qe de vu non venisse a far li çuçemant."

 

Rubric 30

 

[Coment li ro(is) e sa ragina parlarent (10rb) / a sa fille, si le dient la fature de li rois.]

Laisse 31

 

 

"Filla," dist la raine, "e vos vojo en projer, (515)

Qe primament vos diça porpenser,

1680

S'elo vos plas, cel petit çivaler,

Qe est rois de Françe e de Baiver.

Veeç qui avec (n)os (v)os per,*

Qe contra vos voloir ne vos le vole doner. (520)

Cortesement a quilli mesaçer

1685

De l'anbasea li responderà arer,

Siqe nu no seren pais mie da blasmer."

Quant la polçele olde sa mer parler,

Et avec le la vede son per, (525)

Un poco porpense si le respont arer:

1690

"Pere," fait ella, "e vos qe sì ma mer,

Si me devés droitament conseler.

El est venu de França mesaçer,

Qe molto sonto da loer e priser. (530)

Li rois de França si me vol por muler,

1695

E cun raine far moi encoroner

E no so pais ne dire por rasner:

Coment me porisi plu altament marier?

Se dites qe çelle rois cun altro çivaler (535)

Non è pais si grande ni plener,

1700

Nian porço no li vojo refuser

Qe de petito albore, bon fruto se po mançer*

E quel de·l grant si non val un diner.

Questa ventura qe Deo vos vol doner, (540)

Si la prendés de greç e volunter;

1705

Et eo si vos l'otrio, e le vojo volunter,

Et a vos, raine, qe estes mia mer,

De moi non aça unchamés reo penser,

Qe de moi oldés ne dire ni conter (545)

Nulla colse qe vos diça nojer;

1710

Mon segnor amarò de greç e volunter."

Li rois l'intent, si la vait a 'coller,

E por la façe droitament a baser.

Quant el olde sa file li pla acreenter,* (550)

S'el oit çoie non è da demander.

1715

Por man el pris soa çentil muler,

Sor le palés venent a li mesaçer

E lasa sa file entro la çanbra polser.*

 

Rubric 31

 

[Coment la raina d'Ongarie fu saçe / E ço q'ella dist a sa fille Berte.]

Laisse 32

 

 

Li rois d'Ongarie, c'oit none Alfaris, (555)

A gran mervile estoit de gran pris.

1720

E sa muler oit si le cor ardis,

Non è çivaler en toto quel pais,

Conte ni dux, principo ni marchis,

Qe la olsast guarder por me le vis. (560)

Quant vide li mesaçi de·l rois da san Donis,*

1725

E vide qe tot sont çivaler de gran pris,

Ela voit a celu qe li par plu altis;

Çe furent Aquilon de Baivera, marchis.*

Por la man li prent, si le fait bel vis (565)

E dolçement ela li parla e dis:

1730

"De vestra venue, segnur, gran marcis.

Da parte li vestre rois, qe oit nome Pepis,*

Si vos avés tel colsa requis

Qe vos si n'avrés toto li vos servis, (570)

Qe mia file si n'è ben talentis.

1735

Dont çojant tornarés en le vestre pais,

Si menarés ma file qe oit cler le vis."

 

Rubric 32

 

[Coment Aquilon de Baviere parlò / A la raine por veoire soa fille Berte.]

Laisse 33

 

 

Aquilon de Baiver si fu en pe levés;

A gram mervile fu saçes e dotés, (575)

Si fo vesti d'un palio rosés;*

1740

(G)rant oit l'inforchaure e por le spale les.*

Quella raine el oit merciés:

"Dama," fait il, "nen vos serà çelés;

Nu semo doçe, tal dux, tal amirés. (580)

De nostre rois nu semo tuti casés,

1745

E li menor oit çasté e çités.

E si vos poso ben çurer por lialtés,

Qe in toto li mondo de la Crestentés,

El non è rois, prinçes ni amirés (585)

Qe de li rois de Françe s'el te<ni>s por viltés*

1750

(D)e avec lui avoire parentés.*

Quando nu averon vestra file amenés,

E qe raina serà encoronés,

Ela serà de Françe raina clamés; (590)

A gran mervile n'en porì eser lés.*

1755

Se li rois è petito, Deo si l'oit formés;*

Ma noportanto, saça por verités:*

Prodomo ert a çostrer en tornés.

El non è çivaler quel qe è li plu menbrés, (595)

Cun q'il non çostri a lança et a spés."

1760

La dama s'en rist bellament e soés;

E dist ad Aquilon, "Dites moi verités:

Estes vos sire, conte ni amirés,

<Ami a·l> roi, ni drudo ni pr(i)vés?" (600)

"Si, son, madame, en mia lialtés.

1765

Se li rois non fust en nos tot fiés,

El no n'averoit quialois envojés."*

Dist la dame, "Ben senblant n'avés;

A ves voloir et a ves voluntés (605)

Ve soit mia file de·l tot delivrés,

1770

A celle rois, qe vu si l'amenés,

Q'elo ne façe la soa voluntés."

Dist Aquilon, "Mille marçé n'ajés."

 

Rubric 33

 

[Coment la raina mena Aquilon / Por veoir soa fille nue.]

Laisse 34

 

 

"Çentil raine, nen vos doit nojer, (610)

Se vestra file vu ne volés doner.

1775

Nu la prenderon de greç e volunter,

E por li rois nu l'averon sposer,

E pois avec nos nu l'averon mener.

Mais d'una ren nen vos vojo enganer: (615)

Quando li rois de Françe ven a prender muler,

1780

Avantqe cun le dame el se diça acolçer,

Se fait la dame tuta nua despoler,

E fi ben guardea e davant e darer.

S'el aust altro q'ela non par mostrer,* (620)

Lo mariaço se tornaria arer."*

1785

Dist la raine, "Non aça quel penser;

Qe la ma file vos farò despoiler,

Si la porés tot por menu çercher.

Se vu no la trovés tuta sana e senç'er, (625)

Afors li pe d'altro no me porés blasmer."

1790

Dist Aquilon, "De qui no ve requer;*

Ma se me volés, sor vostra fois creenter,

Q'el è ço voir qe vos oldo conter,

Ben me averò en vos afiançer." (630)

Dist la raine, "Entendés, çivaler,

1795

Nen vojo qe unchamés vu m'en diça blasmer;

Entro ma çanbre venerés a·l çeler,

E vos farò ma file despoler.

Tota nue la porés veer."* (635)

Qe vos doie li plais plus alonçer?*

1800

Quella raine prist d·i çivaler,*

Dux Aquilon e Morando de R(i)ver;*

Cun ceste dos vait en la çanbra entrer,

E soa file oit fata despoler. (640)

A cele dos la mostra, e davant e darer,

1805

Qui s'en contente, si s'en retorna arer.

Qi donc veist tot li mesaçer,

Avec li rois la gran çoja mener.

Li rois nen volse la ovra oblier: (645)

El fa sa jent e baron asenbler,

1810

Tot li milor qi fu de son terer,

Por venir a sa file q'elo vol nucier.

Gran corte fo, e davant e darer,

Donda verisi çivaler tornier (650)

E celle dames baler e carojer,

1815

Por amor de Berte le veisés danser.

Quella corte durò quinçe jor to(t) enter,*

Quant Aquilon vait a li rois parler,

Por domander conçé si s'en volent aler; (655)

E a la raine dolçement projer,

1820

Qe soa file li diça delivrer.

Dist la raine, "De greç e volunter;

Or me laseç ma fille adorner."

 

Rubric 34

 

[Coment la rayne semonisoit sa fille / tuto ço qe faire devoit; e·n tot li otria.]

Laisse 35

 

 

Cella raine si fu saça e valent, (660)

A gran mervele oit li cor molt çent.

1825

A soa file parloe dolçement:

"Filla," fait ella, "li penser vos soment.*

E vos ai mariea molto onorablement,

Donde portarés corona d'or lusent; (665)

E si vos ai deliverea a una strania gent.

1830

Mener vos doverà a son comandament;

Asa vos donarò e or coito e arçent,

Siés cortese e ben aparisent,*

Q'i no vos tenise raina da nient; (670)

A lor donés robe e vestiment.

1835

Sor tute ren de li monde vivent,*

Vestre segnor amerés lojalment,

Si le farés toto li son talent.

Serés cortois a tote l'autre jent, (675)

A çascun servés lojal e droitament;

1840

Faites qe de vos no se blasmi escuer ni sarçent."

Dist la dama, "E l'ò ben en talent;

Lojal e tegno vestro castigament,

Et eo lo tirò a tuto mon vivent; (680)

E de questo states segurament."

 

Rubric 35

 

[Coment Aquilon parole a la (raine) / e demandente sa fille.]*

Laisse 36

 

 

1845

Dux Aquilon, li bon conseleor,

Unques a·l segle n'en estoit un milor,

Ne qe a li rois faist major honor,

Per fu de Naimes qe sor tot fu la flor, (685)

Dist a li rois dolçement por amor:

1850

"Ai, sire rois, par Deo le Criator,

Poisqe nu avon aconpli nos labor,

Car ne faites bailer de Pipin sa usor,

Qe torner volen en le tere major; (690)

E vestra file mener a grant honor."

1855

Dist li rois, "Volunter, sens busor."

 

Rubric 36

 

[Coment li rois apella sa muler / e coment li fu la dame delivriée.]

Laisse 37

 

 

Li rois d'Ongarie nen volse demorer;

El apelò Belisant sa muler:

"Dama," fait il, "veeç li mesaçer, (695)

Li qual ne vole vestra fila amener.

1860

Car ge la bailés, se l'avés fata adorner

De tot quelle colse qe li oit mester,

Qe no li manchi ren che se posa penser."

Dist la raine, "Laseç quel pla ester; (700)

Si grandement nu l'averon mander,

1865

Ne li faliria solo a li soler.

Tot ses arnise ò fato renoveler."

Adoncha fait venir li mesaçer;

Da l'autra parte Berta li fait erer. (705)

"Segnur," fait ella, "ne vos doja nojer;

1870

Prendés la dama a ves justisier.

E sana e salva vu la diça mener,

A son segnor qe l'oit a desier."*

Qui li dient, "De greç e volunter." (710)

Un palafroi fait la raina coroer,

1875

Qi sol la sela volese bragagner

Par mille livre ne la poroit eslojer.

Gran fu la çoja quant vene a·l delivrer;

Grande fu quando vene a·l desevrer. (715)

Qi donc veist la raine soa fia baser,

1880

Da l'autra part, li rois qi è son per.

E la raine fait carçer .XV. somer

D'or e d'avoir, d'or coito e de diner,

E altretanti de robe da doner, (720)

Qe tuti erent de palii e de çender.

1885

Quando s'en prendent a 'ler li mesaçer,

Qe soa file se deveroit desevrer,

Li rois e la raine començe a larmojer;

E pois prendent a cival monter, (725)

A plus de mille nobli çivaler.

1890

Sa filla convoie plus de dos legue enter;

A·l departir ila no vont a acorler.*

Li rois e la raine començe a larmojer;

I s'en torne e lasa qui aler. (730)

I non soit mie li grande engonbrer!

1895

Par Ongarie çivalçent trois jorni tot enter,

Qe de·l so non spendent valisant un diner.

Nen volse pais por Lonbardia torner;

Por Alemagne se prendent a erer, (735)

Quant i çonçent a castel o docler,*

1900

Et elo sia ora de l'alberçer,

I no vol mais in hoster alberçer;*

A cha de cont o de gran çivaler,

Quella dame i font desmonter, (740)

E richament la font hostaler.

1905

No le fo dux, conte ni princer,

Qe por amor li rois qe França oit a bailer,

Ne la recoit e vega·la volunter.*

E la raina tant fu cortois e ber; (745)

S'ela trovava donçela da marier,

1910

Fila de qui qe l'avoit hostaler,

Por cortesia, li vait a demander,

Si le promete altament marier;

Se i le done, mena sego vonter.* (750)

Tant çivalçent por via e por senter,

1915

Qe una soir a l'ora de·l vesprer

En Magançe venent a alberçer,

A cha d'un conte qe oit nome Belençer,

Qe de qui de Magançe a cil tenps fu li plu alter. (755)

 

Rubric 37

 

[Coment li mesaçer f(u o)stalé in Magançe / e coment la raine porist amor a la donçelle.]*

Laisse 38

 

 

Li mesaçer sont en Magança entré,

1920

A cha de Belençer i sont alberçé.

E quel si le receve, volunter e de gre,

Por amor li rois li oit molto honoré.

Quel oit una file, plu bela nen veré,* (760)

Qe a la raine fu si asomilé,

1925

E l'una e l'autre quant fusen asenblé,*

L'una da l'autre nen seroit desomilé.

A la raine venoit si a gre,

A·l boir e a·l mançer ela li seoit a pe, (765)

E in un leto anbesdoe colçé.

1930

Terço çorno furent ilec seçorné,

Avantiq'ela fost partia ni sevré,

A son per l'oit queria e demandé,

Q'ela in França si vaga avec le, (770)

E li sea altament marié.

1935

Tanto l'avoit Aquilone projé,

E la raine q'el li oit delivré,

E altament el li oit mandé,

Un d·i milor de la soa contré, (775)

Li qual si fu de le so parenté,

1940

Por so bailo li avoit envojé;

E qe li doni ço qe le fust a gre.

Li mesaçer sont a çival monté;

Quando a Paris i furent aprosmé, (780)

Mesaçer ont a li rois envojé

1945

Qe la raine vent cun sa nobilité,

Si altament con raina encoroné.*

De quela colsa li rois si fu çojant e lé;

El oit mandé par toto son regné, (785)

E fa venir li conte e li casé,

1950

Por aler encontre, fu a çival monté

Plus de mile de çivaler prisé.

Quan(d)o furent pres Paris a meno de dos le,*

E Berta fu lasés, e tuta travalé, (790)

Porq'ela oit cotanto çivalçé,

1955

A la donçela oit dito e parlé:

"Çentil conpagna, coven qe me servé

D'una colsa donde n'averò gran gre."*

Dist la donçela, "Dites e comandé; (795)

Ço qe vos plait serà ben otrié."

 

Rubric 38

 

[Coment la raine proja la donçelle qe / pro le in celle noit se deus apresenter a li rois in le leit, magis non far son voloir.]*

Laisse 39

 

 

1960

"Çentil polçele," dist Berte en ojant,*

"Toto me dole le costes e li flanc,

Por lo çivalçer sonto de maltalant.

Plus me confio en vos q'a in persona vivant; (800)

Porço vos di mon cor e mon talant.

1965

Se me devés unqamais servire de nojant,

En ceste noit farés li mon comant.

Si cun raine vos fareç en avant,

E intrarés in le çanbre ardiamant; (805)

Et eo serò darere, starò·me planamant.

1970

Cun li rois alirés in le leto solamant;

S'el vos volese toçer, ni a vos dir niant,

Si le projés e ben e dolçemant,

Nen vos diça toçer trosq'a un jor pasant, (810)

Qe por le çivalçer tuta sì fata lant;

1975

A l'altro jorno farì li son comant."

Dist la donçele, "De ço non dotés niant;

E farò ben ço qe a l'ovra apant."

Atant ven li rois con tota soa jant, (815)

Cun gran bagordi e desduti en avant.

1980

Le dame menarent molto honorebelmant;

A l'entrer de la çanbra, la donçela ne se fa lant;

En le leto entrò quant li rois li comant.

E Berta sta darere, qe non fi esiant;* (820)

Mais en sa vite nen fo cusi dolant.

 

Rubric 39

 

[Coment la doncelle par le volore de Berte / intra in lo leito cum li rois e ben fi son voloir; si oldirés qe avene de Berte e coment fu traie.]*

Laisse 40

 

 

1985

Quella donçelle non fu pais lainer;

Entro le leto ela se voit colçer,

Nen fu hon ni feme qi li alast contraster;

Si grande era la corte, nul hon à quel penser. (825)

E Aquilon e li altri mesaçer

1990

Erent torné, alé a son hoster,

E dama Berta si stoit pur darer.

Tal oit la vergogna, no olsa moto soner;

E li rois se vait in son leito colçer,* (830)

E quella dame strençer e toçer.

1995

Quando ven a ço qe la volse solaçer,

La donçella fu cortois, no se trase arer;

En cella noit cun ella fu enter,

Ne fi li rois tuto li son voler. (835)

Ben la çercò tuta quanta por enter;

2000

Li pe trovò petit, dont s'en pris merveler,

Por la parola qe li dise le çubler.

E pois se prist entro soi penser,

"Li çublers si li dist por far moi irer." (840)

Tanto n'à son voloir, nen cura de nojer;

2005

El prist li avoir, l'or coito e li diner,

E le arnise de palii e de çender,

E si le done a qui cortisi çubler.

Li rois no se pensava de sa dama mal penser; (845)

Cuitoit ben q'ela fust sa muler droiturer,

2010

Cum Aquilon, le segnor de Bavier,

En Ongarie l'avoit sposea primer.

Pasoit quel çorno e tuto l'altro enter,

Tantqe Berta le dist qe tropo poria demorer; (850)

Qe entro sa çanbra volea pur entrer.

2015

Dist la donçela, "Ben lo vojo otrier.

A çesta noit vos diça pariler;

A le matin, quant el averà soner,

E eo me levarò si como a orier.* (855)

Enlora, porés en le leito entrer."

2020

E dist Berta, "Ben est da otrier."

Ela no sa mie qe le doit encontrer,

Qe quela malvés, qe Deo dona engonbrer,

Fi li son bailo querir e demander, (860)

Qe son per li donò qe la doust guarder.

2025

A colu ela prist tuto l'afar conter;

Quant cel l'intent molt s'en pris merveler.

 

Rubric 40

 

[Coment cille false feme stablì a sum / Baillis qa Berte (fu) amenée in le bois a is(ill)ere.]*

Laisse 41

 

 

"Bailo," dist la malvés, "entendés ma rason:

Quando eo me sevrè de la moja mason, (865)

Mon per me ve donò por frer e conpagnon,

2030

Qe far deustes mon voloir e mon bon.*

Quella Berte qe ça nos conduson,

Tot primament me donò·la li don

De colçer moi avec li rois enson;* (870)

Mais toçer no me lasase por nesuna cason.

2035

Quella promese non valse un boton -

Qe li rois si m'avoit o e volese o non.

Se tu fa ço qe nu vos contaron,

Eo serò raine de Françe e da Lion,* (875)

E de toi farò si gran baron,

2040

Major de toi non serà en tota Legnon."*

Dist li bailo, "Dites, no li faron.

Deo me confonde, qe sofrì pasion,

Se mais por moi le saverà nul on." (880)

 

Rubric 41

 

[Coment la malvvasia donçelle prima/ment li dist ço que faire devoit de Berte.]

Laisse 42

 

 

Quella malvés qe le diable oit tanté,

2045

A cil son baille oit li afar mostré:

"Bailo," dist ela, "savés qe vos faré?

En cesta soire, quant serà ascuré,

Vu la prenderés oltra sa volunté, (885)

E si le averés la bocha si esbaeré,

2050

S'ela criast, qe non soja ascolté.

Pois la menés en un boscho ramé,

E illec soja morta e delivré;

En un fose vu si la seteré, (890)

Qe de le mais no se saça novella ni anbasé."

2055

E quel le dist, "Jamés plus non parlé.

Mejo faroie qe non l'avés devisé."

"Alé," dist ella, "e tosto tornaré!"

E quel s'en est da la dama sevré; (895)

Avec lui avoi dos autres demandé,*

2060

Li qual furent de la soe contré.

Quant vene la noit, qe li jor fu pasé,

A l'ora qe la malvés li avoit ordené

Qe la raine cuitoit conplir sa volunté, (900)

Et avec li rois in leito eser entré,

2065

E cil malvés la ont e presa e ligé;

E por la boçe la ont esbaré.

Via la portent, oltra sa volunté,

E si isent de Paris la cité. (905)

Nen demoren tros li boschi ramé,

2070

E pois la ont desbaré e deslié.

Oncir la volent; quela quer piaté,

Da(va)nti lor se fu ençenoilé,

"A, segnur," fait ella, "merçé, por l'amor Dé, (910)

No me onciés, qe farisi gran peçé.

2075

Se vu la vite por Deo me lasé,

En tal logo andarò, mais novella non oldiré."

Quant qui la intende, si le parse piaté;

L'un si oit li altro regardé, (915)

E si dient, "Questo è gran peçé;

2080

Çamai major non fu par homo pensé."

Li cor li est da Deo omilié;

I dist, "Dama, de vos ne ven peçé.

Ora ne çurarés qe mais non reverteré (920)

En questa tere e in questa contré."

2085

Et ella li foit volunter e de gre,

E sor li santi si avoit çuré,

Qe mais no la verà in soa viveté.

Qui se partent, arer si son torné; (925)

Et ella remist en la selva ramé.

2090

E quela malvés qe li oit aspeté,

Quant i furent arer repairé,*

Ela li demande coment i ont ovré;

"Pur ben, madame, de le estes deliberé;* (930)

Morta l'aumes, si l'aon seteré,

2095

En le gran boscho entro da un fosé."

 

Rubric 42

 

[Qui se conte de cella malvés femena / e de le filç q'ela avoit de le rois Pepin.]

Laisse 43

 

 

Or laseron de la malvés, qe estoit en gran sejor;

De nula ren plus non oit paor.

E li rois la ten lojal cun sa usor; (935)

Nen savoit mie coment fust li eror.

2100

Ne l'aust mie tenue a tal valor,*

Anci averoit eu onta e desenor,

S'el aust ben saplu trestoto ad estor*

Quel qe ont fato li malvés liceor. (940)

Qe por quelle dame crese si gran eror*

2105

Dont ne morì plus de mile peçeor,

Qe mais non vede ne files ne seror.

Cun li rois stoit si cun por soa usor,

Por fila li rois d'Ongarie ela avoit clamor. (945)

De li rois avot tros filz, si cun dis l'autor:*

2110

Lanfroi e Land(r)ix, Berta fu la menor,

Qe mere fu Rolando, li nobel pugneor,

E de Milon si cun oldirés anco(r).*

 

Rubric 43

 

[Coment Berte remisis en li bois / e coment Synibaldo la trova.]

Laisse 44

 

 

Ora fu Berte en le boscho remés;* (950)

S'ela oit paure, or nen vos mervelés.

2115

Si come feme qi fu abandonés,

Si plure e plançe molto s'è lamentés.*

Non poit veoir se ne arbori ramés,

O li boschaje, qe est longo e les.* (955)

Por la paure de le bestie enverés,*

2120

Ver Demenedé se clama ben confés:

"A, Verçen polçele, raine encoronés,

De cesta peçable vos vegna piatés.

Anco de ceste jor, qe vu me cundués (960)

En celle lois o je fose albergés.*

2125

Nen morise qui in cotanta viltés!

A, malvas feme, cun tu m'ais enganés!

Nen cuitoie mie de ceste fa(l)sités;*

Por grant amor eo t'avì amenés, (965)

Plu t'onorava qe tu fusi mego ençendrés.

2130

A, raina d'Ongarie, questo vu non savés,

De sta grant poine, o je sonto entrés.*

Jamais de moi non saverì meso ni anbasés;

Ma ventura m'est contraria alés!"* (970)

Quant asa ela s'oit lamentés,

2135

Et asa oit e planto e plurés,

Le viso se segne, a Deo fu comandés.

En le gran boscho ela s'est afiçés,

De ramo en ramo tanto est alés, (975)

Cum Damenedeo si l'avoit amenés.

2140

N'esì de·l bois e voit en un bel pres

Davant da soi ella oit reguardés,

Un çivaler voit venir, tot lasés.

E quant celu la vi, molt s'è mervelés. (980)

En cella part ello est alés,

2145

Quant li aprosme, si la oit arasnés:

"Dama," fait il, "qi vos oit ça menés,

Por la gran selve e li boscho ramés?

Vu me parì tuta espaventés." (985)

"Mon sire," dist Berte, "or nen vos mervelés,

2150

Qe un mon segnor m'è morto da malfés,

Si aust fato de moi si m'aust bailés.

Ai, çentil homo, por santa carités,

Vos vojo projer qe vu si m'amenés, (990)

In qualqe logo o eo fose albergés."

2155

"Par foi," dist il, "ben serì ostalés.

A mon çastel vu serì amenés;

Ilec seçornarì a vestra voluntés."

 

Rubric 44

 

[Coment le fille Sinibaldo alent incontre / Berte e demandent son per qe illa est.]

Laisse 45

 

 

Quel çastelan si fo pro e valant, (995)

Et oit nome Sinibaldo, se la istolia no mant.

2160

A son çastel mene Berte, tote plurant;

Et oit dos filles, belle et avenant.

Quant virent son pere cun la dame erant,

Encontra voit a demander li prant: (1000)

"Qe femene è queste, qe ven cosi dolant?"

2165

Et ello li dise toto li convenant,

Cun son mari fo morto, qe era un mercaant;

E de le aust fato altretant,*

Quant ella s'en foçì cojamant. (1005)

"Scanpé s'en est par celle selve grant;*

2170

Damenedé l'à mené a salvamant,

Et è venua a li vostro comant.

Unde e vos prego, se vos m'amés niant,

No le mostrés s(e n)on bel viso e riant."* (1010)

E celle le dient, "Volunter por talant."

2175

E celle damesele furent molto saçant;

Contra li vent e por la man la prant,

E si la vont dolçement confortant.

En sa çanbre la mene cojemant, (1015)

Si la onore cum fust soa parant.

 

Rubric 45

 

[Coment le fille Synibaldo farent / Grant (çoie) a la raine Berte.]*

Laisse 46

 

 

2180

Dist le polçele, "Dama, vestre venue*

A gram mervile ne delete et argue.*

A bon oster estes rechaue;

Por nostra mer vos tiron, ben serés proveue. (1020)

Dache nostra mer nos est deschaue,

2185

Avec nos serés e calçé e vestue.

Nen mançaron valsant une latue,

Si cun nos no vos sia partue."

Quant dama Berta le oit entendue, (1025)

Molto le mercie e a lor s'è rendue,

2190

Si como femena, la qual era perdue.

E Damenedé si le fo en ajue;

Por çest çastelan ela fo revertue.

De Pepin prima fo soa drue, (1030)

E po si fo raine quant sa mer fo venue,

2195

E la malvés qe l'oit si deçeue

A mala mort ella fo confondue.

 

Rubric 46

 

[De la venturie qe avene a Berte e comente / li rois Pepin envoja a Synibaldo Oysac.]*

Laisse 47

 

 

Oeç, segnor, s'el vos plas ascolter,

Nul hon se doit da Deo desperer, (1035)

Qe sa venture ne li poit faler.

2200

Nul hon poit unquamais porpenser,

Ço qe li poit venir ne incontrer.

Berte la raine, qe devoit enperer,

Or li convent li altru pan mançer;* (1040)

Ne no sa pais o ela diça aler.

2205

Mais celle polçele la tenia si çer,

Non parea mie femena strainer.

Avec lor stasoit a boir e a mançer;

Mais nonportant tant avea li cor lainer, (1045)

Qe die e note no stava de·l plurer.

2210

Con çelle çastelan dont m'oldeç çanter,

E cun ses file qe tant avoit çer,

Demorò Berte plus d'un an enter.

Berta fu si mastre de tot li mester,* (1050)

Nulla milor no se poroit trover.

2215

Ben savoit e cosir e tailer,

E si fo mastra sor tot li friser.*

A celle dameselle prist si dotriner

Qe plus l'amava, qe s'ela fose sa mer. (1055)

A celle tenp donde me oldés conter,

2220

Pepin voloit aler por caçer.

A Synibaldo envoie qe le diça apariler

De vitualia e de ço qe li è mester;*

A li çastel vol venir alberçer, (1060)

Et illec terço çorno seçorner;

2225

E Synibaldo li foit de greç e volunter.

 

Rubric 47

 

[Coment li rois Pepin voit a chaçer / a (l)i çastel de Synibaldo e avec li ses baron.]

Laisse 48

 

 

Or vait li rois a soa chaçason,

Et oit avec lui ses conte e ses baron.

Altri portent sparver et altri porten falcon; (1065)

Brachi e livrer menent a foson,

2230

A·l çastel Synibaldo venen a·l dojon.

Et ilec alberçent çivaler e peon,

Pois vont a chaçer quant vent la sason.

E Pepi mist Sinibaldo por rason, (1070)

De ses bestie e d'altre reençon.*

2235

Quant i ont asa rasné, vont por li dojon,

Veçando li çastel entorno et inviron.

Li rois regarde, qe non fi se ben non,

E vide le polçele stare a li balcon. (1075)

Quando le vi, molt s'amervelon,*

2240

Qe mais non vi Berte entro quella mason.

 

Rubric 48

 

[Coment Pepin vide Berte e si la covota / e si la demonda a Synibaldo.]*

Laisse 49

 

 

Pepin li rois oit Synibaldo apelé:

"Ora me dites, si dites verité,

Una dame ai veue, molto ben açesmé; (1080)

Molto me par aver de gran belté."

2245

Dist Synibaldo, "Ben vos serà conté;

E la trovè en la selva ramé,

Ben est li termen d'un a(n) pasé.

Si l'ò tenua e molto ben guardé; (1085)

Cun me enfant q'el à si maistré,

2250

Çascuna est bona mastra proé."

Dist li rois, "Ora si vos alé,

E fais qe in çesta noit n'aça ma volunté;

Colsa como no, vu avì malovré." (1090)

Dist Sinibaldo, "De niente en parlé!

2255

Zamais por moi cil non serà otrié;

Avant me lasaria esere sbanojé,

E pasaroie oltra la mer salé,

Qe in ma mason fose de ren violé, (1095)

S'elo no fose ben por soa volunté."

2260

Dist li rois, "Vu avì ben parlé;

Aleç a le, e si la demandé,*

Se consentir me vol cun soa volunté."

Dist Sinibaldo, "Ora si m'aspecté, (1100)

Tanto qe eo soja a vos retorné."

2265

Li roi remist, e cil se n'est alé;*

Ven a la çanbra o avoit Berta trové.

Elo l'apella, si l'oit demandé:

"Dama," fait il, "nu avon malovré.* (1105)

Aler me convent in estrançe contré;

2270

Li rois si oit e plevi e çuré,

Se il no v'oit a soa volunté,

Ne me laserà tera un sol pe mesuré.

Et eo vojo esere inançi deserté, (1110)

Qe colsa aça qe no vos sia a gre."

2275

Berta, quan l'olde, oit un riso çité;

E dist a Synibaldo, "De ço no ve doté.

Tanto m'avés servi e honoré,

E si m'avés pasua e nurié (1115)

Cun vestre file, e vestua e calçé,

2280

Unqua par moi non serés destorbé;

Presta sui de faire la soa volunté."

Quant Synibaldo l'olde, si l'oit mercié;

S'elo n'à çoie, ora non domandé;* (1120)

Tel no l'avoit en soa vi(vi)té.*

2285

Ven a li rois, si ge l'oit conté;

Li rois n'en fu tuto çojant e lé.

 

Rubric 49

 

[Quant Synibaldo oit parlé a dama Berte et / Coment ela otria de fair la volunté de li rois; / e li rois li ordena di far li leto sor un char.]*

Laisse 50

 

 

Li rois estoit sor la sala pavée,

E Synibaldo fo a lu retornée; (1125)

E la novella li oit dito e contée,

2290

Qe la dama si est aparilée

De voloir fare tuta sa voluntée.

Li rois n'en fu molt çojant e lee,

E dist a Synibaldo, "Vu avés ben ovrée. (1130)

Por li calor (qe fu da meça stée),*

2295

En celle corte sor un caro roée

Faites qe un gran leito si li sia ben conçée,

De richi palii soja ben açesmée.

Suso me vorò colçer con eso ma sposée, (1135)

E far de le la moja voluntée."*

2300

Elo·l dise por gabes, m'el fu ben averée;*

Li jor s'en voit, la noit fu aprosmée,

E cil car si fu ben parilée.

Li rois li fu cun Berta su montée; (1140)

Avantqe de le faese sa voluntée,

2305

Çerchò la dame por flanc e por costée.

Nul manchamento oit en le trovée,

Aforsqe li pe trovò grant e desmesurée.

Nian porço non ait li rois lasée; (1145)

De le ne prist amor e amistée

2310

Tota la noit, como la fu longa e lee.

E Damenedé li dè tal destinée,

En cella noit oit si ben ovrée,

Encinta fu d'una molt bella ritée:* (1150)

E cil fu Karlo li maine incoronée,

2315

E fu da Deo benei e sagrée.

Major rois de lui nen fu en Crestentée,

Ne plu dotés da la jent desfaée.

 

Rubric 50

 

[Coment li rois Pepint quant il avoit f(a)to* / de Berte son voloir s'en retornò a Paris <ciuta>.]

Laisse 51

 

 

Quando Pepin oit fato son talant (1155)

De dama Berte a la cera riant,*

2320

Da le se departì e legro e çojant;

Non oit eu nul mal entindimant.

A Sinibaldo la dà e la comant,

Qe de le façe mejo qe non fasoit davant. (1160)

E se nulla ren ella quer e demant,

2325

Conpli le sia alo demantenant;

E Synibaldo otria son comant.

A Paris retorne li rois e soa çant,

Cun quela malvés raine stasoit a bon convant. (1165)

Obeir la fasoit a petit e a grant;

2330

Coronea era de·l reame de Frant.

E Berta fu encinte nove mesi pasant;

En cha de Synibaldo avoit un bel enfant.

De ço fo Synibaldo e legro e çojant; (1170)

El meesmo montò a·l palafroi anblant,

2335

La novela a li rois portò amantenant.

E li rois le dist, "Farés li mon talant:

Batiçer farés primerano l'infant.

Karlo li metés nome, qe eo li comant." (1175)

Et i le font ne nesu li contant;

2340

E Synibaldo fu e saço e valant;

A çella dame fait toto li so comant.

Qui laseron de le da ste jur en avant;

De la raine d'Ongarie li roman se comant. (1180)

 

Rubric 51

 

[Coment la raine d'Ongarie in(v)oja in Fra(n)çe / mesaçer pro savoir novelle de sa fille.]*

Laisse 52

 

 

De la raine d'Ongarie e vos vojo conter,

2345

Dapoisqe sa file s'avè da le desevrer,

Nesun mesaje pote de le ascolter.*

E quant a le envoja mesaçer,

Neson la pooit veoir ni esguarder. (1185)

Como ela savea qe in França dovea entrer,

2350

In leto se metea si se fasea voluper,*

Et a qui mesaçer fasea robe doner,

E de diner por avor da spenser.

Letere e brevi fasea sajeler, (1190)

Si cum a sa mer le fasea aporter.

2355

E quant li mesaçi s'en retornava arer,

La raina li prende a querir e demander

De soa fila, s'ella aust (eu ri)ter,*

Si l'ont veue in via ni en senter, (1195)

Ne in nulla çanbre, ni en sala plener.

2360

E li mesaçer le dient, "Nu no veren bosier;

Ne la poumes veoir ni esguarder.

Senpre malea nu la poon trover;

Ela ne fa doner e or coito e diner, (1200)

Si ne fa fare letere, e brevi sajeler,

2365

E pois ne fa li conçeo doner;

O no vojamo o no, ne conven retorner."

La dama l'olde, cuita li sen cançer;

Ven a li rois, si le prist parler: (1205)

"Mon sir," fait ela, "molt me poso merviler,

2370

A ma fila ò envojé plus de .XX. mesaçer;

Nesun me sa de le nula novela nonçer,

Qe l'aça veue in çanbra ni en soler.

Molto me redoto q'ela no aça engonbrer; (1210)

Se no la veço, jamés viver non quer.

2375

S'elo ve plas, e m'ame de ves amer,*

Laseç·me aler a ma file parler.

E quant eo averò saplu de son ovrer,

Demantenant eo tornerò arer." (1215)

 

Rubric 52

 

[Coment la raine d'Ongarie parloit a li rois / si·lle demanda parole d'aler in Fra(nc)e.]

Laisse 53

 

 

La raina d'Ongarie oit gran segnorie;

2380

A gran mervele oit la çera ardie.

Ela dist a li rois, "Donés moi conpagnie;

Aler m'en vojo en França la guara(ni)e,*

Veoir quel rois e soa baronie, (1220)

E cun è ben porté de Berte mie fie."

2385

Dist li rois, "Vos querés la folie!

Longo è li çamin, e dubiosa la vie;

Vestra file sta ben, et à gran segnorie,*

Et oit de li rois e fioli e fie; (1225)

E questo so por vor, por misi e por spie."*

2390

La dama, quando l'olde, in ojando desie:*

"Çativo rois, tu no vale un alie!

Se conçé no me donì, por Deo, le fi Marie,

A tot to malgré, me meterò en vie; (1230)

Sola lì alirò, sença nul conpagnie,

2395

E tal colsa farò, sempre serà honie."

E li rois quant l'intent, tuto fo spaventie;

Por sa paure, el no sa q'elo die.

Dever de le tuto se homilie; (1235)

Plu la dota de nula ren qe sie.

2400

"Dama," dist il, "e v'ò tropo ben oie;

Vestre voloir vos soja otrie."

 

Rubric 53

 

[Coment li rois d'Ongarie aconplì li voloir / de la raine, si·lle donò parole de aler in Françe.]*

Laisse 54*

 

 

Quando li rois olde soa dama parler,

E qe pur vole a Paris aler, (1240)

Veoir sa file o la porà trover,

2405

O voja o no le conven otrier.

"Dama," fait, "no me devés por nojen nojer;*

Ne por cesta ovra no me devés blas(m)er.*

E v'amo tanto, no se poria conter, (1245)

Perço no me voria da vos deslonçer.

2410

Se vos en França en deverés aler,

Mille anni me parerà qe retornez arer;

Nen porò pais ni boir ni mançer,

Ne in leito dormire ni polser; (1250)

Senpre de vos m'averà remenbrer.

2415

Ma daqe vos plais e volés pur aler,

Aleç, si non aça reproçer.

Asa portés or coito e diner,

Qe por çamin aça ben da spenser. (1255)

Si vos conven amenar çivaler,

2420

A l'aler e a venir vos diça aconpagner.

Quant li rois e li baron vos verà si aler,

Plu serà vestra file digna da honorer;

E metesmo li rois la tegnirà plu çer, (1260)

Si s'en tirà plus grant e plus alter."

2425

Dist la raine, "Mo v'oe oldu parler;

Questo devi vu dir anco en primer,

E no far moi per nient coroçer.

Non vojo de·l vostro espenser un diner; (1265)

Asa oe da spender e da doner.*

2430

Non virà cun moi nesuno çivaler,

Qe de le mon avoir non aça asolder."

La çentil dame prist li rois gracier;

Ela non volse de nient entarder. (1270)

E richament se foit coroer,

2435

De drapi de soja, de porpore e de çender,

E li çivaler qe la devoit conpagner,

Si altament li fait adorner

Çaschun menoit palafro e destrer. (1275)

 

Rubric 54

 

[Coment la raine d'Ongarie s'aparelle / d'aler in Françe por conçé li rois.]

Laisse 55

 

 

Quant la raine en fu aparilé,

2440

E son segnor l'oit ben agraé,

Do xento çivaler fu por le coroé.

E la raine pais si fu atorné,*

Trenta somer d'avoir oit carçé, (1280)

Ça por aler e por tornar aré

2445

Asa averà da spender e doné,

Par le e por qui qi li voit daré.

Segurament ben porà çivalçé;

Qe da nul homo no averà reproçé. (1285)

Quant la raine se ven a desevré,

2450

E quella volle li conçé demandé,*

Li rois la vait tros fois a basé,

E si la prist dolçement a projé,

Qe a·l plu tosto q'ela poit ela diça torné. (1290)

E quela dist, "Non ò altro pensé.

2455

Quando eo porò plu tosto desevré,

A vos averò retornar aré."

Monta a çival, nen volse plu entardé;

Et avec le, li soi çivalé, (1295)

E li rois vait a çival monté,

2460

Cum tuta sa baronie por le aconpagné

For de la tere peon e çivalé.

La convoient plus de .X. legue enté

A Deo li comandent, e retornent aré. (1300)

A·l departir li rois en prist a larmojé;

2465

Mal volunter lì la lasò alé.*

Mais tanto la dotava, porq'ela era si fe*

No la olsava por le viso nul hon guardé.

Par toto li regno se fasea si doté, (1305)

No la olsava nul hon de nient contrasté.

2470

Ela s'en vait, e li rois torna aré;

E tal la vide de·l reame sevré,

Qe prega Deo li voir justisié,

Qe unchamés nen posa retorné. (1310)

 

Rubric 55

 

[Coment s'en vait la raine qe pris conçé / Da son segnor e coment çi(v)alçe a (o)nor.]

Laisse 56

 

 

Va s'en la raine, a çoja e a baldor;

2475

Quant oit eu conçé da·l son segnor,

Ela regracie Deo le Creator,

Q'ela voit cun tot li son amor.*

En sa conpagnie oit manti contor; (1315)

Do xento furent totes a (m)ilsoldor.

2480

Unques raine non veistes ancor

Qe de çoie portaste plu bel lusor,*

Ne no fu en sa conpagne ni grande ni menor,

Qe non çivalçast palafro anblaor. (1320)

E qui destrer corant e milsoldor*

2485

Se font mener avant per plu honor;

Non vait mie corando ad estor.

Petite jornée vait çascun jor;

Jamais en Françe non fu raine ancor (1325)

Qe da la jent recevese tel honor.

 

Rubric 56

 

[Coment s'en vait la Raine a do xento / Çivaler e si civ(a)lçoit por Alemagne].*

Laisse 57

 

 

2490

Va s'en la raine a la clere façon;

En sa conpagne do xento conpagnon,

Li meltri d'Ongrie de celle region.

Çaschun oit palafroi e destrer aragon, (1330)

Çaschun oit bon hauberg flamiron,

2495

Elmi a or e bon brandi a·l galon.

Ensegne portent, e indoré penon;

No le fo nul qe somer non conduson.

Si grande fu <la frote> la jent s'en mervelon;* (1335)

Qui d'Alemagne donde i çivalçon.

2500

I no arivent a çastel ni dojon

Ne a çités qe fust de çenti hom,

Qe no la ostalés con tot ses conpagnon,

E por amor li rois ne le faist don. (1340)

E quella raine fu de grande renon;

2505

A qui çivaler qe avec lei son,

E qe in France por amor l'aconpagnon,

A lor donava et or coito e macon

E diner a si grande foson, (1345)

Ne spendea de·l so valisant un speron.

2510

Dient entro soi çascuno d·i baron:

"Nostra raine si è de gran renon;

Non lasa spender de·l nostro un boton."*

Tant çivalçent, e por poi e por mon, (1350)

Nen fu si tosto cun dist li sermon,

2515

Qe en Françe s'aprosma la region.

 

Rubric 57

 

[Coment la raine civalçe ve(r) Paris / e invoja a li rois qe li alast encontre.]

Laisse 58

 

 

La raine çivalçe, qe oit gran segnorie;

Raina estoit de·l reame d'Ongarie.

E costoient d'Alemagne une partie; (1355)

Ses çivaler la conduit e la guie.

2520

Et ella fu cortois, enver de lor se plie;

De li so li done avoir e manentie;

N'i lasa spender valisant un alie;

E i de ço humelment la mercie. (1360)

Tant çivalçò la dama e por noit e por die,

2525

Q'ela aprosma a Paris a dos jornée e dimie,

Donde prende mesajes con le rame florie,

Qe a li rois qe oit Fra(n)ça en bailie

Li porta la novelle, dont molto s'en joie: (1365)

Por lui veoir la ven la raine d'Ongrie.*

2530

Li rois, quando li soit, de çoja el ne rie;

Donde oit mandé por soa baronie,

Por honorer la dama q'el non vede en sa vie.

Mais cella dame q'el oit en sa baillie,* (1370)

Qe a dama Berta fe cotanta stoltie,

2535

Quant la novella elle oit oldrie,*

El à tal dol par poi ne forsonie.

Ela ne sa q'ela faça ne die;

Ela vi ben sa fin est conplie,* (1375)

Qe la raine qe vent d'Ongarie,

2540

Ben conoserà nen serà soa file.

S'el à paure, non vos mervelés mie,

Q'ela soit ben com ella oit oie,*

E si l'avoit e por mesi e por spie,* (1380)

Qe in Crestenté nianche in Paganie,

2545

Nen fu ma dama qe fust si ardie,

Ne qe aust eu si tanta stoltie.

 

Rubric 58

 

[Coment la raine entroit en Paris / e montoit a li palés e li rois la convojò.]

Laisse 59

 

 

La raina d'Ongarie çivalça con soa jent,

A do cento çivaler saçi e conosent; (1385)

Ne le fo çil n'aça bon guarniment,

2550

E bon destrer e isnel e corent.

Et i çivalçe li palafroi anblent;

Ne le fu çil qe fust le plus lent,

Non aça armaure a oro e arçent. (1390)

Por Alamagne aloit a salvament;

2555

Quan a Paris ili si s'aprosment,*

A .X. legues li mesaçes erent

Qe la novelle portoit novellement.

Li rois e li barons toti s'aparilent (1395)

De le recevere si honorablement,

2560

Como raine de segle vivent.*

Ma cella dama qe fe li tradiment,

Ela pensoit de fare altrament;

Ma la soa ovra no li valse nient. (1400)

Malea se foit en le leito se stent,*

2565

E a son bailo fe li comandament

Qe in la çanbra no lasi entrer nula persona vivent.

E le fenestre e li usi ensement

Fait aserer fortement, (1405)

Qe in la çanbra ni darer ni davent

2570

Ne se pooit veoir lume de nient.

Atant ven la raine, qe a Paris s'aprosment;

Li rois li vait encontre con tute l'autre jent.*

La raine vi li rois, in ses braçe li prent, (1410)

Por amor de sa file l'acolla dolçement.

2575

Quant furent a la plaça, monta a li paviment,*

Mais de sa fille ella non vi nient,

Donde s'en mervelle de le grandement;

Nen pote muer q'ela no se spavent. (1415)

 

Rubric 59

 

[Coment la Raine d'Ongarie quant fu monté / Sor li palés e par tot reguardoit e no (vi) sa file / e coment aloit a le leto o ella malvasia estoit.]*

Laisse 60

 

 

Quant la raine fu sor li palés monté,

2580

Qe li rois e li baron l'avoit convojé,

Ele reguarde e davant e daré.

Non vi sa fille, molt se n'è mervellé;

Adoncha oit li rois aderasné, (1420)

"De mia fille, qe n'est encontré?

2585

Ben è septe ani e conpli e pasé

Qe no la vi e pero son sevré

De Ongarie, una longa contré."

Dist li rois, "Or nen vos mervelé; (1425)

Vestra fila est in leto amalé.

2590

Terço çorno est, q'ela no s'è levé."

La dama l'olde, tuta fu spaventé;

Ven a l'uso de la çanbre, si la trovò seré;

E celle bailo si fu davant alé; (1430)

Dist, "Madame, por Deo vos sofré,*

2595

Qe le mires si n'oit comandé:

Qe no le sia nula persona entré.

Un petit s'est la dama adormençé."

La dama l'olde, si fu tuta abusmé, (1435)

E ver de cil ella fu coruçé.

2600

Ela le prent por mala volunté,

Dà·le una trata, e si le tira aré.*

Ven a l'uso de la çanbra, si l'oit desfermé;

Dedens entra contra sa volunté.* (1440)

E quant fu en la çanbra vide tel oscurité,

2605

Ela ven a una fenestra si l'oit despasé.

Quando lume avoit, a li leto fu alé,

O quella dame estoit envolupé.

E la raine si l'oit demandé, (1445)

"Filla," fait ela, "com estes amalé?

2610

Quando d'Ongaria son partia e sevré,

Per vos amor me son travalé."*

E quella dama qe in malora fu né,*

Pur pla(na)ment cum femena amalé, (1450)

A la raina ela responde en dre,

2615

"Mere," fait ila, "ora me perdoné,

Qe grement eo me sonto amalé."

E la raine si fu saça e doté,

A carne nue ella l'oit toçé, (1455)

E si la çercha por flanchi e por costé,

2620

E por le piç e davant e daré.

Pois vene a li pe, qe non oit oblié;

Trove·l petit, e non cosi formé

Como avoit Berta soa nobel rité. (1460)

Quando ço vide, tuta fu spaventé,

2625

E dist, "Malvés, vu m'avì engané!"

Non oit la raine avec le tençé;

Por le çavi ela l'oit pié.

La raina fu de grande poesté; (1465)

Contra son voloir e soa volunté,

2630

Fora de li leto ela l'oit tiré.

Sor li palés par força l'oit mené,*

Por le çavi donando gran collé.*

A le corent totes, e bon e re, (1470)

Meesmo li rois li vait tot eslasé,*

2635

Si dist, "Madame, avés li sen cançé?

Qe v'à fato vestre file qe avés cosi tiré?"

La dama, o li rois vi, cella dama oit lasé,

E prende li rois si l'oit çoso afolé; (1475)

E si le dist, "Fel traito renojé,

2640

O est ma file? Tosto me rendé,

Colsa como no, en malora fusi né!"

Tuta la baronia li fu corant alé;

Ne li valea amor ni amisté, (1480)

Qe a li rois aust pieté;

2645

Si le feria cun man e cun pe,

Par un petit ne l'oit acreventé.

E quella dama s'en fust via alé,

Quant qui de la raine ne la oit lasé. (1485)

 

Rubric 60

 

[Coment la raine d'Ongarie tenoit li rois par / forçe e si le demanda so fille e s'el non fust li ba(r)on . . . ]*

Laisse 61

 

 

O è la raine non querì conseler,*

2650

Par nul ren nen voloit li rois laser.

Nen valea li baron dire ne en projer,

"Dama, porqe faites vos a li rois ste nojer?"

E ella le dist, "Non v'aça merveler, (1490)

Por mia file qe non poso trover."

2655

Adoncha li rois se prist porpenser*

De çella dame c'avoit a·l çasteler;

Quant sor li caro elo la vit primer,

Li pe li trovò grandi como dise sa mer.* (1495)

El dist, "Madame, or vos trai arer;

2660

Bona novela e vos averò conter.

Ma primament ne conven çivalcer

Trosqua a un çastel apreso d'un verçer.

Eo creço par voir e si ò quella sper, (1500)

Qe vestra fille avereç illec trover."

2665

Dist la raine, "Ne se vol entarder;

Ma una ren saçés sença boser:

Qe vos da moi no v'en averì sevrer,

Se moja file no m'aça a presenter." (1505)

Adoncha li rois si montò a destrer,

2670

E la raine cun li ses çivaler,

E de qui de li rois lì andò plus d'un miler.

A Sinibaldo aloit avanti mesaçer,

Q'elo se diça de tot apariler, (1510)

Qe li rois vent por soi esbanojer.

2675

E la raine ne le volt oblier,

Qe d'Ongarie se sevroit l'autrer.

Qi donc veist Synibaldo li castel adorner,

De richi palii, de porpore, de cender. (1515)

E quando li rois se le vait a 'prosmer,

2680

E Synibaldo li voit a l'incontrer,

Ça avea Karleto tros ani tot enter;

Si grant estoit, ben pooit aler.

Corando vait por veoir son per, (1520)

E la raine la prist a demander,

2685

"Questo fantim molto me pare ançoner;

A sa fature pare e pro e ber."

E la raine si le fait baler,*

E dolçement si le prist a baser. (1525)

Atanto i desendent entro li çasteler;

2690

Li rois si prist Sinibaldo a 'peler:

"Faites a nos cela dama parler,

Qe vu savés qe vos fi acomander."

Dist Sinibaldo, "De greç e volunter." (1530)

Entra en le çanbre, si la fait adorner;

2695

"Dama," fait il, "el vos ven a parler

Li rois de Françe, qe tant fait a loer,

E la raina d'Ongarie vos vent a visiter."

E dist Berta, "Questo vojo vonter." (1535)

 

Rubric 61

 

[Quant la raine d'Ongarie vide sa fille si / la conoit amantenant e si menoit gram (çoja)].*

Laisse 62

 

 

Quando Berte oì quella novelle,

2700

De soa mer, tot li cor li saltelle.

El apelò le autre damoselle,

"Venés cun moi davant a li çastele,

Por veoir la raine qe ven de longa tere."* (1540)

E celle le font qe nesuna revelle;*

2705

Quant fo çoso li palés en la praelle,

E la raine, qe tant estoit belle,

Quant ela voit tot trois le polçelle

Venir ensenbre fora par una vançele,* (1545)

Ela reguarda sa file en la gonele.

2710

Ben la conoit a li pe e a la favelle;

Quant la conoit no l'apella de novele,

De le veoir tot li cor li saltele.*

Plu çojant nen fu qe l'onor de Tudele;* (1550)

Sovent li basa le viso e la maselle.

 

Rubric 62

 

[Coment Berte parloit a sa mer la raine / e si li contò tot ço qe li avent e con fu tramé.]

Laisse 63

 

 

2715

Li rois Pepin nen fu mais si çojant,

Quant il conoit par voir e certamant

Qe questa è Berte qe oit li pe grant,

Qe fu sposea de li rois primemant. (1555)

Nen fu si legro unques a son vivant;

2720

Ver la raine Berte parla en ojant,

"Mere," fait ela, "entendés voiremant;

De questa ovre e de questo senblant

Le mon segnor non calonçé de niant; (1560)

S'e ò eu mal e inojamant,

2725

Moja fu la colpa a lo començamant.

Quella donçelle qe menè de Magant,

En le me fiava de cor e lialmant;

Et ela de moi si fe li tradimant. (1565)

Ne·l fi tal Jude a Deo onipotant.

2730

Menea fu entro un boscho grant,

Par moi oncire par li ses comant.

Tanto querì piaté e marçé grant,*

Qe i me perdonò la ire e·l maltalant; (1570)

E si me fi çurer sor Deo e li sant

2735

No ma venir en ceste partimant.

Tant me penè per celle boscho grant,

Q'eo n'esì fors e vini a guarant.*

Synibaldo me trovè qe venia çivalçant;* (1575)

Menò·me a ste castel, si m'à fato honor tant*

2740

Como fose sa fille e sa sor ensemant;

Dont e·ma vie serò sa benvojant.*

A li rois me consentì, donde n'avì st'infant;

S'el averà vite serà pro e valant." (1580)

E la raine nen foit arestamant;

2745

Li rois apele, si le dist en ojant:

"Deo vos oit secoru, e la majesté sant,

Car por cel Deo, qe naque en Oriant,

Se mia filla tornea nen aumes a·l presant,* (1585)

Morto v'averoie a un coltel trençant;

2750

Ne da le mi man nen ausés guarant."

Li rois l'olde, s'en rise bellemant.

 

Rubric 63

 

[Coment la Raine parolò a Pepin e pois / se partent ensenble e venoit a Paris.]

Laisse 64

 

 

Gran çoja oit li rois Pepin eu,

Quant dama Berta oit reconou, (1590)

Et oit da le par voir tot entendu:

2755

Tot l'afaire qe le fu avenu

E cun quella malvés la oit deceu.

Se la fe mener, qe era son dru,

Par le oncire en le boscho folu. (1595)

Li rois çura Damenedé e Jesu,

2760

Qe quella malvés qe l'avoit consentu,

Como meltris en un foço metu.*

Li rois de Françe nen fu demoré plu;

Con la raine qe d'Ongarie fu, (1600)

E cum Berte, qe Deo oit secoru,

2765

De le çastel i se sonto partu,

Et a Paris i sonto revenu.

 

Rubric 64

 

[Qui conte la novelle comente la dame / qe fi li tradiment fu arse e bruxée.]*

Laisse 65

 

 

Quant li rois fu a Paris retorné,

Quella raine qe tanto fu renomé (1605)

Avec soi ello l'oit amené;

2770

E dama Berte nen fu pais oblié,

E avec lor Karleto oit mené.

Gran fu la çoie par tot la cité;

Grant fu la cort e davant e daré. (1610)

Li tradiment çascun oit blasmé,

2775

E la malvés si fo presa e ligé.

Avantqe la raine fust partua ni sevré,

Fo çella dame en un fogo brusé.

Por le nen fu asa li rois projé (1615)

Da li barons de li son parenté,

2780

Metesma Berte por soa gran bonté,

L'avoit en don a li rois domandé.

Mais no le valse una poma poré,*

Qe la raine d'Ongarie n'estoit si abus<m>é,* (1620)

Ne la lasaroit scanper par l'or de Crestenté.

2785

E cele dame qe in malor fu né,

Avantq'ela fust en le fogo bruxé,

Ella se fu molto ben confesé

A tota jent dise li so peçé. (1625)

A Berta oit li perdon domandé,

2790

Et ella li oit lojalment doné.

Qe vos dè eser li pla plus alonçé,

Cella dama fu en un fois bruxé.

Una colsa fi Berta donde fu ben loé: (1630)

Tantosto com ela fu de le mondo finé,

2795

For de le fois ella si fu tiré.

A san Donis, o est li grant abé,

A grant honor ela fu seteré.

Dos enfant de le s'en remist daré: (1635)

Lanfroi e La(n)dris, ensi fu apelé,

2800

E una fille petite, Berta fu anomé;

Quella si fu mere Rolando li avoé.

Oldés, segnur, de Berta gran lialté,

Qe qui enfanti qe remist daré, (1640)

Si cun Karleto li avoit alevé.

2805

Ne sa pais mie ço qe le fo encontré,

Quando le dos enfant furent tant alevé,

Qe pais poent avoir arme baillé.*

Cun li baron prendent tel amisté, (1645)

E por la forçe de li ses parenté,

2810

Tant oit li traiti con eso lor ovré

Qe Pepin e Berte furent envenée;

Donde cuitent avoir sa mer vençé.

(B)en averoit Karleto morto e delivré,* (1650)

Nen fust Morando qe l'oit via mené;

2815

Nen pote star in la Crestenté,

En Spagna fu avec lui alé,

A li rois Galafrio elo fu presenté,

Qe le norì si l'avoit alevé; (1655)

E soa filla en lu fu marié.*

2820

Nen serà pais ste roman finé,

Qe oldirés cun fu la colsa alé;

Mais de Bovo d'Antone oldirés asé.

 

Rubric 65

 

[Dapoisqe la dame qe de Berte fi li tradimant / Fo çuçté, se departe la raine, e si aloit en Ungarie.]*

Laisse 66

 

 

Oeç, segnur, e saçé, quant*

de cele dame fu fato li çu(ç)emant,* (1660)

2824a

Qe de dama Berte fist li tradimant,

2825

Ilec demorò la raine trois mois en avant.

E quant oit metu sa file a le convenant,

Non volse ilec demorer longo tanp, (1665)

Q'ela se porpense li çorno en avant,

Quando da li rois en fi desevremant,

2830

De·l retorner la projò dolçemant.

A li rois Pepin e a sa file ensemant,

Conçé demanda e ben e dolçemant. (1670)

E quando de la raine <i vi> li so comant,*

E ço qe a le plais e oit en talant,

2835

Si le consente con li vene a talant.

Adonc Pepin se levò en estant,

E ses baron avec lu ensemant. (1675)

Por convejer la raine, montent en auferant.

Berta vi sa mere, larmoja tenderamant,

2840

Et ella la basa, si le dist dolçemant,

"Fila," dist ela, "a Jesu te comant,

La merçé de Deo, li pere onipotant, (1680)

Vu sì scanpea de cosi gran tormant.

Sor tot ren de le segle vivant,

2845

Vestre segnor vos amarés avant;

Faites vos ben voloir a petit e a grant."

"Mere," dist ella, "e l'ò ben en talant. (1685)

Ço qe vos die, ben serà otrié tot quant;*

E mon per da mia part salué dolçemant.

2850

Mais d'una ren vos sia remenbré atant:

Non tornés mie por le çamin erant

Qe vos faistes l'autre jor en avant, (1690)

Por la paure d·i baron de Magant,

Qe sont alti homes e ont tanti parant.

2855

Torbea en poreç estre e vos e vestre çant,

De ço cuitoit vençer quella da·l tradimant."

Quela le respondì, "Farò li ton comant. (1695)

Pasarò por Lonbardie in (m') anant,*

Pois pasarò en nef et en calant."

 

Rubric 66

 

[Coment la raine d'Engarie se departì di / li rois Pepin e da sa fille, e si s'en aloit en sa terre.]*

Laisse 67

 

 

2860

Quant la raine desis de la sala pavée,

Tota la jent fu par le relevée,

Et ella oit tota jent saluée. (1700)

Soa filla oit basé e acolée;

De pietés çascuna oit plurée,*

2865

E mante larme el ont butée.

La raine, qe tant avoit beltée,

Soa fille oit a Deo comandée, (1705)

Et ella e Karleto, ella oit segnée.

A palafroi quant ella fu montée

2870

Li rois Pepin monta da l'altro lee,

A plus de mil baron l'avoit convojée;

E qui çivaler qe d'Ongaria fu née (1710)

Se sonto ben guarni e parilée,

Par soi defendre si trovase meslée.*

2875

Va s'en la raine, qe ben fu convojée;

A li rois oit sa fila comandée.

Non sa pais mie con fu la colsa alée, (1715)

Ço qe a le en furent destinée.

Mais no la vide en soa vivetée

2880

Li rois la mena fora de la citée;*

Plus de quatro legues la oit aconpagnée.

La raina s'en voit, e cil (est) arer tornée, (1720)

E da cel çorno avanti, Berta la ensenée

Si fu par tot raina de Françe clamée.

2885

Et ella fu de si grande bontée,

Qe la petita Berte oit tanto amée

Como ela aust en son corpo portée. (1725)

E si l'oit si ben noria e maistrée,

Cum fust ma dama qe fose plu maistrée.*

2890

E la raina d'Ongarie fu tanto apenée,

Entrò en nef si fo oltrapasée,*

En Ongarie quando fu arivée, (1730)

Li rois le fu encontra lui alée;

Gran çoja fu par tot part menée,

2895

De la raine qe arer fu tornée.

 

Rubric 67

 

[Coment la Raina d'Ongarie fu repariée / en sa tere, et a li rois contoit la novelle.] *

Laisse 68

 

 

Or fu la dama de França repariés,

Gran çoja mena tot qui de la contrés. (1735)

Li ro(is) vi la raine si l'oit arasnés,*

E si le oit de novelle demandés,

2900

De·l rois Pepin, como la oit honorés.

E quella li oit tot l'afar contés,

Como sa fille fu trasfigurés (1740)

Da una mavés traita et enganés.

"Saçés, bon rois, se no le fose alés,

2905

Senpre seroit vestre fie soa orfanés;*

Jamés de França ne fosse encoronés.

La mercé de Deo, de la moja bontés, (1745)

Tanto e ò fato et auvrés,*

Q'ela est raina de tota França clamés."

2910

Li rois l'intent, si l'oit merciés;

Por la venue l'oit trois fois basés.

Gran çoja n'oit anbidos amenés.* (1750)

Da qui avanti fu li çanter enforçés;* (1165)

Lasaron de li rois, qe fu çojant e lés.

2915

A Bovo d'Antone nu seron retornés,

Cun por Pepin el fu asediés

Contra li voloir de ses richo bernés.