La Geste Francor, Orlandino, prima metà XIV s., Nord-Est (ed. Zarker Morgan)
La Geste Francor, Édition of the Chansons de Geste of. MS. Marc. Fr. XIII (=256), with glossary, introduction and notes by Leslie Zarker Morgan, Tempe (Arizona), Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies, 2009 («Medieval and Renaissance Texts and Studies», 348).
Edizione digitalizzata a cura di Leslie Zarker Morgan
Marcatura digitale a cura di Luigi Tessarolo
Traduzione a cura di Elisa Caselli
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TESTO | CRITERI DI EDIZIONE | TRADUZIONE | GLOSSARIO |
Divisione delle parole
Preposizione e congiunzione sono scritti di seguito secondo l’uso italiano (per es., Porqe). Preposizione e articolo determinativo sono scritti di seguito con il punto in alto (per es., de·l canp) prima di consonante, ma separatamente e con l’apostrofo prima di vocale (per es., a l’ami).
Au, la forma velarizzata di a e l, nel verso 9424, unica occorrenza di questa forma, è scritta a sua volta con il punto in alto, a·u.
Qele e dele, congiunzione o preposizione seguita da pronome femminile, sono scritti Qe le e De le, di nuovo secondo la forma italiana (invece del francese Q’ele o D’ele, che sarebbero pure possibili).
Vocale palatale dopo consonante e prima di s impura (per es., sestoit) è scritta se stoit (invece di s’estoit; cf. a esperon vs. Le speron) dove c’è solo una vocale.
Per aler, andar(e), venir(e) e le loro forme, quando vi è la presenza di una a dopo la forma verbale, la si interpreta come a preposizionale prima dell’infinito dipendente (per es., aloit a prender).
Per i nomi di luogo che iniziano in A, o per i verbi con a- iniziale, si interpreta l’eventuale mancanza dopo la preposizione a come un’elisione, e si rappresenta il fenomeno con l’apostrofo (per es., a ’Ntone = “a Antone”; a ’Leris = “a Aleris”; a ’coler = a acoler).
di: dove la i potrebbe essere l’articolo determinativo, si inserisce il punto in alto (d·i enfant (v. 633) = “dei bambini”); altrimenti, le due lettere non si separano.
Abbreviazioni
(per chiarezza, le forme sciolte delle abbreviazioni in mezzo alle parole o in mezzo ad una frase qui sono scritte tra parentesi quadre, ma nel testo sono in corsivo)
7: È scritta et, con tre eccezioni (verso 17, e due volte in 15041) dove e permette una sillaba di meno nel verso, per mantenere il conto di dieci sillabe: il verso 17 si legge Morto l’abate, sença nosa [e] tencon; e il verso 15041, Cun li çivaler vait [e] arer [e] avant.
titulus: Il titulus segnala la mancanza della nasale. Si segue la forma più comune trovata dove non c’è abbreviazione, cioè, n.
[r]: Si segue la forma più comune altrove nel testo. Esempi: m[er], m[er]velos, P[er]sant, p[re]sant, p[ri]mer, p[ri]memant, p[ri]nçer, p[ri]s, p[ri]sé, s[er]pant, v[er]gognie.
ē: Per e[st] 8 volte nei versi 640, 14102, 14126, 16344, 16671, 16713, 16732, e 16818.
Jesu χ͡ρσ appare una volta (v. 9390), per Jesu [Christ]o.
s͡te appare una volta (v. 6187), per s[an]te.
I nomi propri si abbreviano in generale solo per i protagonisti più frequenti.
.K. si usa per Carlo Magno. Ci sono otto varianti tra le 88 forme scritte senza abbreviazioni: Karle, Karloete, e Karo (nelle rubriche); Karles e Karloto nel testo; Karleto 64 volte, nella sezione di Karleto; Karlon, sempre in rima; Karlo, all’inizio e nel verso. Nel Karleto (vv. 5491-9026), dunque, la forma abbreviata è sciolta K[arleto] con l’eccezione delle forme in rima dov’è necessario K[arlon]. Altrove, si è optato per K[arlo], a meno che la rima non richieda K[arlon].
.N. per Naimes è frequente. Seguendo le forme scritte per esteso, in rima si dà N[aymon]; altrove appare N[aimes].
.R. (.Ro., Rubriche 530, 580, 581, 585, 617) per Orlando. Nel testo appaiono Rolan (in rima); Rolandin; Rolando; e Rolant. Nel testo di Orlandino, Rolandin è la forma preferita, e dunque è questo lo scioglimento usato, a meno che la rima non richieda un’altra forma. Prima e dopo, secondo il numero di sillabe richieste e l’età del personaggio si risolve: prima di Orlandino (vv. 9393, 9480 e 9498) per il bambino e tre sillabe, R[olandin]. Dopo l’Orlandino, però, si usa R[olando] per tre sillabe, R[olant] per due sillabe e nelle rubriche, dove non sono in rima.
.B. per B[erte] (Rubrica 40).
.B. per B[ra]er (Rubrica 363, dopo v. 12649).
.G. per G[uier] (Rubrica 112, dopo v. 4272).
.M. per Macario (Rubriche 411 e 413).
.O. per O[liver] (Rubrica 631).
Emendazioni
Le aggiunte editoriali, emendazioni e cancellature sono tra parentesi tonde ( ); le spiegazioni si trovano nelle note alla fine nel testo stampato. Le parentesi ad angolo < > indicano le letture di altri editori che non sono chiare ma che sono ragionevoli (spiegazioni nelle note stampate).
Gli accenti scritti
a. la c con cediglia Ç si lascia tale e quale nell’originale. L’uso non è coerente prima di palatale e dunque l’emendazione sembra illogica. Per distinguere tra certe forme, però, è stata aggiunta o tolta la cediglia 12 volte: le forme di çuçer (< JUDICARE) e lessemi imparentati, nei versi 2824 ((çu(ç)ement), Rubrica 121 ((ç)uçé), 11652 ((ç)uçé), 14730 ((ç)u(ç)ement), 15345 (çu(ç)ement); inoltre, nel verso 4824 (ç)onto (Ital. “giunto”) (< lat. JUNGERE); (ç)u(b)ler (830, per correggere la metatesi dove nel manoscritto si legge bulçer); (ç)ura, v. 4560 (
Accenti editoriali aggiunti:
b. l’accento acuto si aggiunge solo su -e.
i. Per i participi passati (riflessi di, o analoghi a, i riflessi di participi passati della prima coniugazione latina in -ARE), per distinguerli dalla terza persona singolare o plurale del tempo presente dov’è possibile; dove non è possibile la distinzione, non c’è accento scritto.
ii. L’acuto si usa anche alla seconda persona plurale indicativo o imperativo per la prima coniugazione come alé e alés, ma non in -ez/-eç.
iii. Similmente, le parole con la sillaba tonica che hanno la stessa struttura: malvés; jamés; aprés; palés. Però, dove la tonica non è chiara, come demanes, non c’è accento scritto (italiano dománi o antico francese demanois?).
iv. Alcune parole di una sillaba si scrivono con l’accento acuto per distinguerli da altre parole di significato diverso Dé (
c. l’accento grave si aggiunge alle vocali finali a, e, i, o.
i. Per la terza persona singolare/plurale del passato remoto dei verbi regolari in -o, riflessi o analoghi alla prima coniugazione latina, in -ARE (per es., trovò) per distinguerlo dalla prima persona singolare presente. Dove non è chiaro se il verbo è presente o di una radice regolare o irregolare, come pote, non si usa l’accento. Ci sono due lasse con la rima in a finale che sono problematiche; il tempo verbale di alcuni verbi così non è evidente.
ii. L’accento grave si usa al futuro: -è, -ò, -à (per es., farà), secondo l’uso dell’italiano moderno.
iii. Si usa sui nomi ossitoni come verità (290).
iv. Si usa sull’ -i finale dove vale come desinenza verbale della seconda persona plurale (= és); per es., condurì, avì. Questo include l’imperativo.
v. Inoltre, l’accento distingue tra omonimi e in alcuni casi, tempi verbali: ò (=ho) vs. o (=dove); à (=ha) vs. a (preposizione); è, (=è) vs. e (=e); dè (diede; deve) vs. de (preposizione); dà (dal verbo dare, dà e l’imperativo, da’) vs. da (preposizione e participio passato); dì (verbo, l’imperativo di dire) vs. di (preposizione); fà (imperativo) vs. fa (indicativo); sì (sei, siete) vs. si (se; e; sì); sè (dal verbo sapere) vs. se (pronome e congiunzione); lì, là (avverbi) vs. li, la (pronomi).
vi. Il grave si usa anche su -e ed -i dove sono forme del passato remoto (per es., avì, trovè).
c. la dieresi: non si usa; siccome il conto delle sillabe è tanto variabile, si evita l’uso.
d. l’apostrofo: rappresenta l’elisione di una vocale. È spesso poco chiaro quale parte di un’espressione abbia subita l’elisione (per es., elo: sarà e < EGO + l < ILLU + o < HABEO? O sarà el < ILLU + o < HABEO?), allora si limita l’uso dell’apostrofo a:
i. congiunzione pronome soggetto: q’il; s’i
ii. articolo più aggettivo o nome che inizia con vocale: L’uno
iii. avverbi negativi seguiti da verbo o pronome oggetto che inizia con vocale: n’en; n’amo
iv. pronome oggetto seguito da verbo che inizia con vocale, o seguito da un altro pronome che inizia con vocale: l’à, s’en
v. a prima di lessema che inizia con a; per es., a ’Ntone, per a [A]ntone; questo è un esempio particolare, dove alla seconda parola manca la vocale iniziale. C’è un esempio di a più un’altra vocale (o e o i, che è simile, v. 10627: Lasa’n, dove l’apostrofo sta per la vocale iniziale di en o in (tutte e due le forme si trovano nel testo).
e. punto in alto: si usa per la combinazione di due lessemi dove il secondo inizia in consonante.
i. preposizione + articolo: a·l, de·l; l’eccezione qui è a·u, che appare una volta sola (v. 9424);
ii. verbo + pronome atono che segue: Fa·la, à·l, ecc. A causa della legge Tobler-Mussafia nella lingua antica (i pronomi oggetto non precedono un verbo all’inizio di verso o di frase) (Rohlfs, Grammatica storica, 170-72 [& 469]), è piuttosto frequente. Il punto in alto si usa anche con gli imperativi, infinitivi, e il futuro ossitono. I pronomi tonici non sono inclusi (moi, nos, vos);
iii. pronome soggetto + pronome oggetto: per es., ela·l, ele·l, ge·l per il moderno “lei lo” or “lei la,” “glielo” or “gliela”;
iv. congiunzione + pronome oggetto: qi·l, si·l per il moderno “che lo,” “se lo”;
v. in pochi casi, il verbo e il soggetto che segue che inizia in consonante: è·lo, è·la, fo·lo, ecc.;
vi. in casi di assimilazione: una nasale finale con una parola seguente che inizia in nasale; per esempio, i·me per in + me, “in mezzo a” (v. 10447); co·la, per con + la (v. 10877); una congiunzione a un pronome soggetto che segue, e·l, “et il” (per es., v. 10690), e·s, “et les” (v. 16344), ecc.; e similmente, l’avverbio negativo più pronome oggetto che segue, dove la nasale finale si assimila a l: no·l, moderno “non lo.”
Semivocali
Il manoscritto usa u per u e per v, i per i e j/y. Convenzionalmente, si usa j come la seconda dei due “i” i al plurale (per es., palij) e nei numeri (per es., xij). “j” si associa con tanti fonemi nelle tradizioni delle due zone. Contrariamente ad alcuni editori, in questa edizione si trasforma la “i” in “j” in ogni posizione della parola, non solo all’inizio.
J è scritta:
i. dove rappresenta il /ʤ/ nell’italiano moderno, /ʒ/ nel francese moderno: per es., jent, jant, jorno, je (= “gente / gens, giorno / jour, -/je”)
ii. dove rappresenta /j/: per es., çoja, nojer (= “gioia, noia”)
iii. dove rappresenta /λ/ nell’italiano moderno: per es., mujer (= riflesso di “moglie”)
-ij (sij, malvasij) come convenzione è scritta -ii secondo le pratiche moderne.
v appare:
i. nei numeri cardinali (romani) nel manoscritto.
ii. savrà e avrà perché le forme con la semivocale predominano.
iii. altrove, si segue l’uso moderno: per es., salver/saluer, che significano “salvare” e “salutare.”
I maiuscoli
Si usa il maiuscolo secondo le norme delle lingue romanze moderne. Nel manoscritto, si trova di solito un trattino rosso attraverso i nomi di persona, raramente un maiuscolo se non all’inizio di verso. Si scrivono qui anche con il maiuscolo i luoghi d’origine e gli epiteti usati come nomi (per es., Çudé, Apostoile, Ascler).
Per più dettagli, si rimanda al volume 1 dell’edizione, pp. 289-304, da cui è tratta questa presentazione abbreviata.
Rubrica 318 | |
Che racconta di Carlo | |
Lassa 319 | |
Signori baroni, siatene certi, | |
il migliore re di Francia e di Normandia | |
fu l’imperatore Carlo Magno. | |
E colui che patì più pene e tormenti, | |
10900 | fin da quando era un bambino, |
fu cacciato fuori dal suo regno | |
e fu allevato con i Turchi e i Persiani. | |
E quando credeva di aver trovato la felicità, | |
Rolando e Oliviero furono uccisi | |
10905 | da Gano, che li tradì. |
Grande fu la gioia dei Normanni, | |
quando l’imperatore cavalcò arditamente | |
con i suoi cavalieri piccoli e grandi. | |
Attraversarono la valle di Baccano, che è il cammino principale, | |
10910 | finché si fermarono a Sutri |
e vi alloggiarono per 15 giorni, | |
perché i cavalieri avevano faticato molto. | |
Non erano in grado di spostarsi, | |
soggiornarono in quel luogo senza procedere. | |
10915 | E l’imperatore, il grande Carlo Magno, |
fece proclamare per tutta Sutri un bando | |
affinché ogni borghese o castellano | |
andasse a vedere la corte del re, | |
dove avrebbe ricevuto molto pane, vino e provvigioni. | |
10920 | Vi si recarono tutti quelli che lo desideravano. |
Rolandino sentì il bando mentre era con altri bambini. | |
Quando lo udì, niente lo trattenne, | |
si alzò con più di trenta compagni | |
e se ne andarono a corte tutti allegri e contenti. | |
10925 | Ma Rolandino andava sempre avanti, |
come fosse un loro capitano. | |
Non si fermarono fino al palazzo reale. | |
Rubrica 319 | |
Come Rolando sale al palazzo | |
Lassa 320 | |
Rolandino arrivò al palazzo con gli altri ragazzi, | |
nessuno osava andargli davanti. | |
10930 | Rolandino guardò avanti e indietro, |
da tutte le parti vide dei cavalieri | |
seduti a tavola a mangiare. | |
Rolandino guardò e vide l’imperatore | |
che aveva il tagliere più grande degli altri. | |
10935 | Quando lo vide cominciò a desiderarlo |
e non volle restare fermo più a lungo; | |
si mise ad andare verso il re. | |
Allora i servitori gli andarono incontro, | |
volevano subito farlo tornare indietro. | |
10940 | A quel punto Rolandino divenne tanto ostinato e audace |
che ne fece cadere uno per terra. | |
Il re lo vide, cominciò a ridere, | |
e disse a Naimes di Baviera: | |
“Chi vide mai un ragazzo così prode?” | |
10945 | E poi disse alle guardie: |
“Lasciatelo venire, non intralciatelo.” | |
E quelli fecero quanto il re chiese loro. | |
E Rolandino fu molto furbo, | |
non andava ad altri taglieri | |
10950 | se non a quello dell’imperatore Carlo, |
che vedeva tutto pieno di carne. | |
Nessun bracco né levriero fu mai | |
come Rolandino quando riuscì ad avvicinarsi | |
e cominciò a mangiare la carne. | |
10955 | Il duca Naimes di Baviera lo osservò a lungo. |
Devo allungarvi di più il racconto? | |
Non si sarebbe potuto avanzare di un passo | |
senza che Rolandino avesse prima svuotato quel tagliere. | |
Quando il re lo vide mangiare così, | |
10960 | fece portare una sedia |
per farvi sedere il bambino. | |
E quando quel tagliere fu tutto vuotato | |
il re ne fece portare un altro. | |
E i baroni si misero a osservarlo, | |
10965 | perché si meravigliavano molto di lui. |
Ma Rolandino non se ne preoccupava, | |
non si guardava né avanti né indietro, | |
ma fissava sempre il tagliere. | |
Quando fu ben sazio, che non poteva più mangiare, | |
10970 | cominciò a desiderare ardentemente |
quella carne che gli sembrava avanzare | |
e il pane che poteva rubare. | |
Carlo se ne accorse, cominciò a osservarlo | |
e poi gli chiese una spiegazione: | |
10975 | “Dimmi, ragazzo, bada bene, non nascondermelo, |
non hai avuto abbastanza da mangiare e da bere? | |
Cosa vuoi fare di quello che vuoi rubare? | |
Ti vedo nascondere la carne e il pane.” | |
Rolandino disse: “Non dovete meravigliarvi, | |
10980 | li prendo per portarli a mia madre |
e con lei a uno che è mio padre.” | |
Il re lo sentì, fece chiamare il suo cameriere. | |
Gli fece portare una tovaglia bianca, | |
la fece riempire fino all’orlo di carne e di pane | |
10985 | e poi gliela fece avvolgere intorno al collo. |
E disse: “Figliolo, questo dovrete portarlo | |
a vostro padre e a vostra madre. | |
E così vi dico, così vi voglio comandare | |
Che domani veniate qua a mangiare.” | |
10990 | Rolandino disse: “Di buon grado e volentieri.” |
Così quando Rolandino voleva andarsene, | |
l’imperatore prese a chiamare due valletti: | |
“Signori - disse loro – ora andategli dietro, | |
così saprete chi sono il padre e la madre.” | |
10995 | E quelli gli dissero: “Di buon grado e volentieri.” |
Rubrica 320 | |
Come ritorna Rolando | |
Lassa 321 | |
Rolandino se ne andò, non fu mai così contento. | |
Quando scese dal palazzo si mise in cammino. | |
Un levriero veloce non sarebbe riuscito a raggiungerlo. | |
Conosceva le strade, piccole e grandi. | |
11000 | Non era andato avanti più di due arpenti |
quando sparì davanti agli inseguitori, | |
che non riuscivano più a vederlo. | |
Tornarono da Carlo, così gli dissero di come | |
il ragazzo era loro sparito davanti. | |
11005 | Il re disse: “Maledetti servitori! |
Ci manca poco che vi faccia impiccare! | |
Ma domani, se il ragazzo non verrà, | |
alla corte non mangerà nessuno.” | |
E Rolandino se ne andava allegro e contento, | |
11010 | cantando lungo la strada. |
Non fu così allegro in tutta la sua vita. | |
Quando arrivò davanti a sua madre, | |
le donò il pane e il resto del cibo. | |
Quando lei lo vide, si rattristò molto | |
11015 | e disse “Figliolo, chi vi ha dato questo cibo?” |
“Madre – rispose – un nobile signore | |
mi ha dato da mangiare tutto quello che gli ho chiesto.” | |
Per cui la dama cominciò a pensare: | |
“È da mio fratello che mi viene il regalo.” | |
11020 | E Rolandino le disse ridendo: |
“Mangiate, madre, siate allegra e contenta! | |
Domani ne avremo altrettanto. | |
Me lo disse quel signore che mi ha dato da mangiare.” | |
Intanto ecco Milone che entra. | |
11025 | Quando vide quel dono si rallegrò molto, |
perché non era solito mangiare tutto quel cibo. | |
“Figliolo – disse Berta –“farete ciò che vi ordino. | |
Non andateci più per nessuna ragione al mondo.” | |
Rolandino disse: “Farò ciò che mi comandate.” | |
11030 | Lo disse a parole, ma non lo pensava davvero. |
E Berta parlò chiaramente a Milone: | |
“Milone – gli disse -ci va male. | |
È da mio fratello che ritorna Rolando, | |
lo riconosco dalla tovaglia. | |
11035 | Non è senza motivo che gli ha dato il cibo. |
Se ci riconoscesse, entrambi non scamperemmo | |
alla morte per tutto l’oro del mondo: | |
voi pendereste impiccato alla forca | |
e io sarei arsa sul fuoco ardente.” | |
11040 | Milone, quando sentì ciò, si rattristò. |
Entrambi piansero teneramente di nascosto. | |
Milone rimase in casa tutto quel giorno | |
perché aveva il necessario per sfamarsi. | |
Non si curava di Rolandino, | |
11045 | ma la dama si comportava diversamente. |
Conosceva l’ira e la collera di suo fratello. | |
Trattenne il bambino per tutto il giorno, | |
non lo lasciò andare né avanti né indietro, | |
così passò completamente l’ora | |
11050 | in cui la corte era solita mangiare in precedenza. |
E Rolandino sgusciò via, | |
tanto che sparì davanti a sua madre. | |
Quelli della corte stavano tutti in ascolto. | |
Non ci fu nessuno, né grande né piccolo | |
11055 | che osasse mangiare prima dell’arrivo del bambino. |
Quando lo videro venire si rallegrano tutti, | |
si lavarono e si andarono a sedere. | |
E sappiate, era quasi passata l’ora nona | |
prima che arrivasse quel bambino. | |
11060 | Sua madre lo poteva cercare in lungo e in largo, |
che si trovava alla corte a mangiare. | |
Rubrica 321 | |
Come Rolando arriva alla corte | |
Lassa 322 | |
Quando Rolandino arrivò a corte | |
i grandi e i piccoli fecero gran festa | |
a causa del bando che era stato messo. | |
11065 | Rolandino fu sempre davanti a Carlo, |
dove mangiò a più non posso. | |
Naimes richiamò Carlo il nerboruto: | |
“Imperatore, sire, non ve ne siete accorto? | |
Questo è un miracolo del re Gesù, | |
11070 | questo bambino non è nato da un villano. |
A guardarlo sembra di fiera virtù, | |
e credo che sia figlio di qualche decaduto, | |
di un cavaliere che è caduto in povertà.” | |
Il re comandò ancora a quei due | |
11075 | che il ragazzo fosse seguito alla sua partenza |
e che fosse saputo il vero su suo padre e sua madre. | |
E quelli gli dissero “Ora non parlate più. | |
Gli andremo dietro, non fuggirà.” | |
Rubrica 322 | |
Come Rolando fu davanti a Carlo | |
Lassa 323 | |
Rolandino si trovava davanti a Carlo, | |
11080 | dove mangiò come farebbe un mastino. |
Il ragazzo non guardava né avanti né indietro, | |
ma solo la carne, il pane e il vino. | |
Quelli che erano vicini ne ebbero grande gioia. | |
Naimes parlò a Carlo, figlio di Pipino: | |
11085 | “Costui non è figlio di un barbaro, |
anzi è figlio di un uomo di alto lignaggio, | |
di qualche cavaliere, conte o paladino. | |
Vedete com’è bello? La fame gli fa torto. | |
Sono vinto dal suo sguardo. | |
11090 | Se avrà una lunga vita, prima della fine |
farà soffrire i paesi pagani e i Saraceni. | |
Questo che dico non lo dico per un inganno, | |
me lo dimostra il cuore davanti allo sguardo del bambino. | |
Non vedete come tiene gli occhi chini? | |
11095 | Ma quando alza la testa, se gli sarete vicino |
sembrerà un leone o un drago marino | |
o un falco pellegrino.” | |
Rubrica 323 | |
Come Naimes parla a Carlo | |
Lassa 324 | |
“Buon re- disse Naimes- ascoltate la mia ragione. | |
Questo donzello, che è un piccolo ragazzo | |
11100 | non mi sembra essere figlio di un poltrone. |
Ha lo sguardo come un leone. | |
Fategli del bene che ne avrete un premio | |
quando saprete della sua nascita. | |
Se suo padre è povero e ce lo affida | |
11105 | lo porteremo con noi a Lione. |
Nella vostra corte non avrà altro che bene, | |
se avrà da mangiare, sarà un campione”. | |
Il re disse: “Lo faremo.” | |
E Rolandino mangiò con il re Carlo. | |
11110 | Quando ebbe mangiato non disse una parola. |
La tovaglia fu apparecchiata con le imbandigioni, | |
con pane, carne e un grosso cappone. | |
Il buon duca Naimes fece fare tutto questo. | |
Donatagli la tovaglia, il ragazzo andò via | |
11115 | e i due compagni lo seguirono. |
Ma non servì loro a niente, | |
non riuscirono a sapere dove andava. | |
Il re si addolorò per il poco che avevano scoperto: | |
“Adesso lo giuro a Dio, che soffrì la passione: | |
11120 | se non viene il ragazzo la corte non mangerà!” |
“Buon re - disse Naimes - faremo in un altro modo. | |
Lasciate a me il pensiero di quel bambino. | |
Io e Teris gli andremo dietro | |
con un palafreno o un buon ronzino. | |
11125 | Non potrà scappare per niente al mondo, |
lo seguiremo fino a casa sua.” | |
Il re disse: “Dio vi benedica.” | |
E Rolandino se ne andò cantando una canzone: | |
“Non piangete madre, eccovi del buon cappone | |
11130 | e del pane bianco, non di quello solito, |
che è nero come il carbone.” | |
La dama pianse, ma non Milone, | |
che mangiò volentieri quel cibo. | |
Rubrica 324 | |
Come Berta parlò a Rolando | |
Lassa 325 | |
Berta vide Rolandino, così cominciò a piangere, | |
11135 | lo prese in braccio, cominciò a baciarlo. |
“Figliolo – disse - ti prego, | |
non devi più andare a quella corte.” | |
“Madre – disse lui - perché vi darebbe fastidio? | |
Non vi porto molto da mangiare? | |
11140 | Sarò triste nel momento in cui dovrò separarmene. |
Se non fosse per voi lo seguirei. | |
Mi dà da mangiare di grado e volentieri, | |
quando un tagliere è vuoto ne fa portare un altro | |
e non può mai mancare niente di queste cose. | |
11145 | Prego Dio, che mi facciate pregare, |
che mai ci si debba separare da lui.” | |
“Figliolo –disse lei- me lo dovrete giurare | |
che non andrete più a quella corte.” | |
Rolandino, anche se era un ragazzo, disse: | |
11150 | “Madre, è difficile acconsentire |
a ciò che non mi può servire né rallegrare. | |
Mi fate rimanere in questo bosco, | |
e in quel palazzo si trovano molti cavalieri, | |
e voi mi fate morire qui di fame. | |
11155 | Poiché volete così, non ci andrò più, |
ma non ve lo giurerò per nulla al mondo.” | |
Dunque Berta lo lasciò andare, | |
ma gli stava sempre dietro, | |
così che lui non potesse né fuggire, né scappare, | |
11160 | né andare alla corte per nessun motivo. |
Ma quando si avvicinò l’ora nona | |
e Rolandino vide passare il momento | |
in cui soleva andare alla corte, | |
sua madre non lo seppe guardare con attenzione, | |
11165 | e lui fuggì fuori per un sentiero. |
Quando si stava avvicinando alla corte | |
tutti gridarono: “Ecco il ragazzo!” | |
Dunque i baroni si sedettero a mangiare, | |
e Rolandino fece altrettanto. | |
11170 | Così mangiò come fece in precedenza. |
Quando ebbe finito di mangiare e volle andarsene, | |
il re fece portare la tovaglia | |
e la fece riempire di pane e di carne. | |
Prima che fosse sceso dal palazzo, | |
11175 | Naimes e Teris montarono in sella senza tardare. |
Quando il ragazzo si mise in marcia, gli andarono dietro. | |
Rubrica 325 | |
Come Naimes va dietro a Roland(ino) | |
Lassa 326 | |
Rolandino andò via lungo la strada, | |
Naimes e Teris gli erano immediatamente dietro. | |
Quando si avvicinarono alla casa del bambino, | |
11180 | sua madre gli andò incontro, piangendo teneramente. |
Intanto eccoti Naimes e Teris insieme. | |
Videro la dama davanti alla casa. | |
Quando Berta li vide ne fu molto addolorata, | |
tremava tutta per la paura che aveva | |
11185 | e disse loro: “Signori, che cosa volete? |
Io non sono colei che state cercando.” | |
E Naimes la guardò, fu colpito dal suo aspetto. | |
La riconobbe dal viso e dalla figura. | |
Subito si inginocchiarono davanti a lei. | |
11190 | “Dama- fece lui- non abbiate paura di nulla, |
non potete avere alcun fastidio”. | |
Rolandino quando li vide prese un bastone. | |
Avrebbe ferito Naimes sulla fronte, | |
se sua madre non glielo avesse impedito. | |
11195 | Intanto eccoti Milone che esce da quel grande bosco |
con un fascio di legna molto pesante. | |
Quando vide quella gente, ebbe molta paura. | |
Lo gettò a terra dalla rabbia, | |
la terra tremò tutt’intorno. | |
11200 | Quando ebbe fatto ciò si mise a fuggire, |
ma il duca Naimes non glielo consentì. | |
Gli gridò: “Non andare più avanti!” | |
e lo fece tornare nonostante la sua collera. | |
Rubrica 326 | |
Come parla Naimes | |
Lassa 327 | |
Naimes, che era saggio e dotato, disse: | |
11205 | “Signore, non temete, |
non sarete fatti prigionieri. | |
E voi, Teris, andate subito, | |
immediatamente, in città | |
e fate fare dei vestiti come si conviene | |
11210 | a una regina e a un conte privato, |
e a questo ragazzo un vestito in quattro parti”. | |
Teris disse: “Sarà fatto.” | |
Se ne andò in città. | |
Riuscì ad ottenere che tutti i sarti | |
11215 | che aveva trovato facessero quei vestiti |
e li pagò secondo la loro volontà. | |
Quando furono finiti, tornò indietro. | |
Quando fu da Naimes, Milone e Berta, | |
Che erano stati liberati, furono vestiti e cambiati, | |
11220 | E Rolandino non fu dimenticato. |
Il suo vestito era stato fatto e cucito | |
in un tessuto diviso in quattro, che gli era stato destinato, | |
e portò quel tipo di abbigliamento per tutta la vita. | |
Quando Rolandino si vide vestito in quel modo | |
11225 | ne ebbe grande gioia. |
Si misero in cammino insieme, | |
tutti insieme verso la città. | |
Prima che fossero saliti nel palazzo | |
il duca Naimes andò avanti. | |
11230 | Si presentò davanti a Carlo. |
Il re lo vide e gli chiese: | |
“Con il bambino, cosa avete fatto?” | |
E quello gli disse: “Lo saprete subito, | |
appena mi avrete concesso un dono | |
11235 | a mia scelta e secondo la mia volontà.” |
Il re disse: “È giusto.” | |
E Naimes disse: “Eccolo qui, | |
questo è il dono che vi è chiesto: | |
Milone e Berta, che avete bandito.” | |
11240 | Dunque gli furono presentati davanti. |
Il re li vide, fu tutto pensieroso. | |
Teneva in mano un coltello affilato; | |
lo aveva già alzato sopra la testa, | |
quando Rolandino andò avanti. | |
11245 | Lo prese per la mano, |
gli diede una tal stretta con la mano | |
che fece uscire del sangue con le unghie. | |
Il re lo vide. Se uno gli avesse dato | |
tutto il mondo intero | |
11250 | egli non sarebbe stato così contento e lieto. |
Dentro di sé disse e decise: | |
“Costui sarà il falcone della Cristianità.” | |
Allora disse a Naimes: “Il dono vi sarà concesso. | |
Per amore di questo bambino sono loro perdonati | |
11255 | l’ira, il volere e la cattiva volontà.” |
Dunque Milone si inginocchiò, | |
e allo stesso modo Berta dall’altro lato. | |
E Rolandino cercò di vedere | |
se nella sala c’era la tavola apparecchiata. | |
Rubrica 327 | |
Come Naimes parla a Carlo | |
Lassa 328 | |
11260 | Davanti a Carlo stavano il duca Milone |
e madama Berta dal volto splendente. | |
Chiesero al re pietà e perdono. | |
Il re li sentì, arricciò i baffi, | |
non rispose né bene né male. | |
11265 | Ma Domineddio, per la sua redenzione, |
diede a Rolandino, che era solo un ragazzo, | |
tanta capacità di giudizio nel cuore:… | |
“Voi, nobiluomo che mi deste il cappone, | |
se farete una qualche ingiustizia verso mio padre o mia madre, | |
11270 | vi darò un tal pugno sul mento |
che maledirete il giorno in cui sono nato.” | |
Quando Naimes sentì quel discorso | |
disse ridendo a Carlo: | |
“Guardatevi bene da questo ragazzino, | |
11275 | che a sua madre non si faccia altro che bene.” |
Il re lo prese per il fianco, | |
gli baciò la bocca, il viso e la fronte | |
e gli disse: “Figliolo, non ve lo nasconderò, | |
vi alleverò come un figlio, come faccio con Carlone.” | |
11280 | Al duca Milone piacque molto, |
e allo stesso modo al duca Naimes. | |
“Mio signore- disse Naimes- perché nasconderlo? | |
Visto che avete concesso il perdono, | |
fategli fare una cosa che sapranno tutti. | |
11285 | Fate che Berta prenda il bambino |
e lo tenga tra le sue braccia | |
mentre davanti a voi Milone la sposa, | |
così che la vedano cavalieri e soldati di fanteria.” | |
E Carlo disse: “Questo è un buon consiglio, | |
11290 | che il bambino non ne senta mai uno migliore.” |
E Naimes disse: “Non farà altro che bene, | |
ne avrete una degna ricompensa.” | |
Ascoltate, mio signore, un po’ le mie ragioni, | |
ciò che disse il valente Milone: | |
11295 | “Di grazia, mi avete concesso il perdono. |
Io vi dirò delle mie intenzioni. | |
Non c’è uomo né vecchio né giovane | |
che possa narrare in un verso o in una canzone | |
la grande pena che ho avuto al mondo | |
11300 | per allevare questo ragazzino. |
Da cavaliere divenni umile e povero | |
e dovetti andare nel bosco a faticare.” | |
Rubrica 328 | |
Come Milone parla al re | |
Lassa 329 | |
“Ascoltatemi, nobile imperatore, | |
da quando mi sono allontanato dalla Francia, | |
11305 | sono dovuto rimanere nel bosco |
a tagliare legna e a portare grandi fasci | |
per nutrire questo bambino e la mia nobile moglie. | |
E con tutto ciò, non voglio annoiarvi, | |
a malapena ho avuto da mangiare. | |
11310 | Per vostra grazia, così come spero, |
voi mi avete tratto da quel pensiero. | |
Ormai mi conviene pensare a un altro mestiere, | |
combattere contro i pagani e giostrare.” | |
Dunque Berta andò a prendere suo figlio, | |
11315 | ad alzare Rolandino tra le sue braccia. |
Per onore di Dio, il vero giustiziere, | |
con i due anelli che gli diede l’imperatore, | |
Milone sposò la dama | |
alla presenza di tutta la corte e dei baroni. | |
11320 | Ci fu una gran festa in ogni luogo |
e l’imperatore, che si fece tanto lodare, | |
non volle dimenticare nulla. | |
Secondo il consiglio di Naimes di Baviera | |
nominò cavaliere Milone | |
11325 | e tutti gli altri che vollero prendere le armi. |
Qui dunque si vide Rolandino andare | |
avanti e indietro per la sala. | |
Era vestito con un panno diviso in quattro parti. | |
Chiunque lo vide cominciò a lodarlo: | |
11330 | “Costui sarà il miglior cavaliere |
che si trovi in tutta la Cristianità. | |
Per malasorte l’hanno visto nascere i Saraceni e gli Slavi. | |
Sarà colui che sarà il difensore | |
di tutta la Francia e sarà il suo guerriero | |
11335 | contro i Pagani, i Turchi e gli Slavi.” |
https://www.rialfri.eu/rialfriPHP/public/testi/gesteFrancor_7.pdf
Rubric 318
Qui conta de Karlo.*
Laisse 319
Segnur baron, de ço siés certan,
Le milor rois de França e de Norman,
Colu si fu l'inperer Karlo el man.
E colu qe plu durò e pena e torman,
10900
Trosqua el fo petit enfan, (1405)
Si fo caçé for de son rian
E si fu alevés cun Turs e con Persan.
E quant cuitoit avoir in çoja tuta quan,
Si le fo morto Oliver e Rolan,
10905
Por G(ain)elun qi fe li traiman.* (1410)
Gran fu la çoja qe fait li Norman,*
E l'inperer çiva(l)ça ardieman*
Con ses çivaler e petit e gran.
A·l Bachanel pasent q'è li camin sovran;
10910
Trosque a Sotrio non fe arestaman;
E ilec fo ostalé .XV. jor en avan, (5)
Por li ses çivaler c'oit duré grant achan.
Por aler e venir no furent ben san;
Ilec seçornent qe non vait plus avan.
10915
E l'inperer li maino Karlo el man*
Par tot Sotrio fe criar un ban (10)
Q'el non romagna burgois ni castelan,
Vada a veoir la cort de li rois Karlo el man,*
Qe asa averont pan, vino e provan;
10920
Çascun li vait, a cui li atalan.
Rolandin l'olde dire, qe estoit cun altri enfan; (15)
Quant li oldì, no·l tene a nian;
En conpagnie se leve cun plus de tran;*
A la cort s'en vait, tuti legri e çojan.
10925
Ma Rolandin senpre andava avan,
Come el fust un soe capitan; (20)
Non finent pais trois a li palés gran.*
Rubric 319
Coment Rolant monta a·l palés.
Laisse 320
Rolandin fu a·l palés cun altri baçaler;
Nesun no olsa davanti Rolandin aler.*
10930
Rolandin guarde et avant et arer,*
Da tot part vide li çivaler (25)
Qe sont asis a tables a mançer.
Rolandin guarde e vide l'inperer,
Qe major de li altri avoit li taler.*
10935
Rolandin, quant le vi, priste le a covoter;*
El no volse mie longament demorer; (30)
Dever li rois el se mis ad aler.
Quant qui serventi li vait a incontrer*
E si le volse far indreo çeser.*
10940
Quan Rolandin se fa si dur e fer,
Q'el ne fe un a tera trabuçer. (35)
Li rois le vi, si s'en prist a gaber,
E si oit dito contra Naimes de Bavier,
"Qi vide mai un si pro baçaler?"
10945
E pois si dist a li serventi uçer,*
"Lasés·le venir, no le fate engonbrer." (40)
E cil le font, quant li rois li requer.
E Rolandin si fo molto liçer;*
El non va mie a li altri tajer,*
10950
Se no a quelo de Karlo l'inperer,
Qe de çarne le vi tuto plener. (45)
Quando le fu q'el se le pote aprosmer,
Jamais non fu ni bracho ni levrer
Cun Rolandin pris la carne a mançer;
10955
Molto li guarda dux Naimes de Baiver.
Qe vos deie li plais alonçer?* (50)
No se poroit un arpant aler,
Qe Rolandin oit livro quel tajer.*
Quant li rois le vide si mançer,
10960
Una carega el ge fe aporter;
Si fe l'infante ilec aseter. (55)
E quando fo livro tuto quel tajer,
Li rois le fi un altro aporter.
E li baron le prendent a guarder,
10965
Qe se prendea de lui a merviler.
Ma Rolandin non avea quel penser, (60)
Ne se guardava avanti ni arer,
Ma senprefois el guardoit li tajer.
Quando fo ben pasu, qe plus non poit mançer,*
10970
De quela carne qe li parse avançer,
El s'à pris en seno a covoter;* (65)
E de·l pan q'el poit anbler.
Karlo le vi si·l prist a reguarder,
E pois le prist por rason demander,
10975
"Dì mo, damisel, guarda, no me·l çeler,
No à tu au asa da boir e da mançer?* (70)
Que vo·tu far de quel qe tu voi furer?*
La çarne e li pan e te voi acovoter."
Dist Rolandin, "No v'aça merveler;
10980
Qe eo la togo por portar a ma mer,*
Et avec le un qe est mon per." (75)
Li rois l'oì, demanda son canbrer;
Una toagia blança el (f)e aporter,*
De carne e de pan la fa tota raser,
10985
E pois a li col li fait avoluper.
E dist, "Bel filz, questo averì porter (80)
A vestre pere et a la vestra mer;
E si vos di, si vos vojo comander,
Qe deman venés ça a mançer."
10990
Dist Rolandin, "De grez e volunter."
Cosi cun Rolandin s'en voloit aler, (85)
E l'inperer prist dos donçé a 'peler:
"Segnur," dist il, "or li alez arer,
E si saçés qi è·l pere e la mer."*
10995
E cil le dist, "De grez e volunter."
Rubric 320
Coment Rolant s'en retorne.*
Laisse 321
Va s'en Rolandin, non fo ma si çojant; (90)
Quant el fu ços de·l palés, el se mis en avant;
No l'atenderoit un levrer ben corant;*
El sa le r(u)e, le petit e li grant.
11000
Non est alé delunçi dos arpant,
A qui qi le voit darer, li è desparu davant;* (95)
Non poit veoir de lui ni ovra ni senblant.
I torna a Karlo, si le dist comant
Li damisel li è de(s)paru davant.
11005
Dist li rois, "Malvasii seduant!
Par un petit qe je ne vos apant. (100)
Ma deman, se non virà l'infant
A la cort non mançarà ne petit ni grant."
E Rolandin s'en va, legro e çojant;*
11010
Por le çamin el s'en vait çantant;
Non fo si legro en tuto son vivant. (105)
Quant vi sa mer, q'elo li fo davant,
Elo li dona li pan e la provant.
Quant ela·l vi, molto ne fo dolant,
11015
E dist, "Bel filz, qi vos dè sta provant?"*
"Mere," fait il, "un signor bel e çant, (110)
Si m'à da da mançer a tot li me comant."
Donde la dame si se va porpensant:
"Quest'è mon frer donde me ven li presant."
11020
E Rolandin si le dist en riant,
"Mançé, mere, fa·ve legra e çojant! (115)
Deman nu n'averon altretant.
Quel segnor me·l dise, qe me dè la provant."*
Atanto ecote vos Milon erant;
11025
Quando vi quela colse, molto se fe çojant,
Qe uso non ert de mançer tel provant. (120)
"Bel filz," dist Berte, "farì li mon comant.
No le alé plu par nule ren vivant."
Dist Rolandin, "Farò li ves comant."
11030
Elo le dise cun boche, mais no l'à en talant.*
E Berta parle a Milon planemant: (125)
"Milon," fait ella, "el nos va malemant.
Quest'è mon frer onde en ven Rolant;*
A la toaile conosco li senblant.
11035
Non è sença cason quant li dà la provant;
Si ne po aconoscere, tot l'or qe fu anc* (130)
Nen scanparoit mort non fumes entranb;*
Vu apendu a le forches pendant,
Et eo arse a li fogo ardant."
11040
Milon, quan l'olde, si fo de maltalant;*
Anbidos plurent, planeto tendremant. (135)
Tot quel çorno stete Milon manant,*
Qe da mançer oit a·l convenant.
De Rolandin el non cura niant,
11045
Ma la dame si le fa altramant:
De son frer conoit sa ire e maltalant. (140)
A l'altro çorno ela retene l'infant;*
No le lasa aler arer ni avant,
Si fo l'ora trapasé tuta quant
11050
Qe la cort sole mançer en avant.
E Rolandin aloit pur guischisant, (145)
Tantqe a sa mere el desparì davant.
Qui da la cort stava tuti en ojant;
No le fo nul, ne petit ni grant,
11055
Qe olsase mançer se no venia l'infant.
Quando le vi venir, tuti se fa çojant; (150)
I se lavent si se vont asetant.
E saçés por voir, pres era nona pasant,
Avantqe fust venu quel enfant.
11060
Asa li po sa mer querir darer e davant,*
Qe a la cort est a mançer primemant.* (155)
Rubric 321
Coment Rolant vene a la cort.
Laisse 322
Quant Rolandin fo a la cort venu,
Gran çoja en fait li grandi e li menu,
Por li bando qi estoit metu.
11065
Davant Karlo senpre Rolandin fu;
Ilec manue a força e a vertu.* (160)
Naimes apelle, dan Karlo li menbru;
"Enperer, sire, ne sì vu aperçeu,*
Quest'è miracolo de li rois Jesu,
11070
Ça ces enfant no è de vilan nasu.
A·l reguarder el par de fera vertu; (165)
E creço q'el est filz d'un qualqe deçeu,
D'un çivaler q'è in poverté cau."
Ancora li rois comandò a qui du
11075
Qe a·l departir lo fant soja persegu,
De·l per e de la mer soja li vor sau. (170)
E qui le dient, "Or non parlez plu.
Arer li aliron, non serà pais foçu."
Rubric 322
Coment Rolant fo davant Karlo.*
Laisse 323
Davant Karlo s'estoit Rolandin,
11080
O il manue cun faroit un mastin.
Avant ni arer non guarda le fantin, (175)
Se no a la çarne et a·(l) pan et a·l vin.*
Gran çoja n'oit qui q'erent vesin;
Naimes parole ver Karlo, filz Pepin,
11085
"Costu non est filz de barbarin:
Pur il est filz d'omo d'alto lin, (180)
De qualqe çivaler, conte o palatin.
Veez como est belo? La fame li fa hain.*
A·l reguarder q'el fait, e ne sonto devin.
11090
S'el ait vite ançiq'el prenda la fin,
Dolent farà pais pajan e Sarasin. (185)
Questo qe digo, no digo ad inçin;
Le cor me·l manefesta a·l guarder de·l fantin.
Non veés vos cun ten li ocli enchin?
11095
Ma quant leva la teste se le serés vesin,
Un lion senble o dragon marin, (190)
O un falcon qe soja pelegrin."
Rubric 323
Coment Naimes parle a Karlo.*
Laisse 324
"Bon rois," dist Naimes, "entendés ma rason;
Questo damisel, q'est petit guarçon,
11100
A moi non resenble eser filz de poltron.
Le reguarder oit como un lion; (195)
Faites·li ben qe n'avrés gujerdon,*
Quant vu savrì de soa nasion.
Se son per è povero et elo nos le don,
11105
Avec nos li menés a Lion.
En vestra cort non aça si ben non; (200)
S'el averà da mançer, serà un canpion."
Dist li rois, "E nu ben li faron."
E Rolandin manue avec li rois Karlon;
11110
Quant oit mançé, non dist ne si ne non.
La toaile fu parilée, cun le enbandison, (205)
Cun pan e carne e groso capon,
E questo fe fare li bon dux Naimon.
La tojala li baile, via va li garçon
11115
E darer li va li du conpagnon.
Mo no li vale la monta d'un boton, (210)
Qe ili posa savoir o il vada o non.*
Tel dol li rois oit, par poi q'il non fon;
"Mo ben çuré l'ò a Deo, qe sofrì pasion,*
11120
Non mançarà la cort s'el non ven li garçon!"
"Bon rois," dist Naimes, "nu altrament faron. (215)
De cil enfant lasés moi la rason;
Eo e Teris rer lui aliron,
A palafroi o a bon ronçon.
11125
El non porà scanper par nul ren de·l mon,
Qe nu no·l seguamo trosqu'a soa mason." (220)
Dist li rois, "A Deo beneçion."
E Rolandin s'en vait, çantando una cançon;
"Nen plançi, mere, e·vos du bon capon,*
11130
E de·l pan blanço, no de quel qe uson,
Q'est noiro com est li carbon." (225)
La dama plure, ma no pais Millon,
Qe volunter manue de celle enbandison.
Rubric 324
Coment Berta parole a Rolant.
Laisse 325
Berta vi Rolandin, si oit pris a plurer;
11135
En braçe el prist, si·l comença a baser.
"Bel filz," fait ela, "eo te vojo en projer, (230)
Qe a quela cort non diçi plu aler."
"Mere," fait il, "porqe vos ert enojer?*
No ve aporte asai da mançer?
11140
Mal verò l'ore q'i s'en avrà sevrer;
S'el non fose por vos, eo li aleria rer. (235)
Da mançer me dà de grez e volunter;
Quant è livro un tajer, l'altro fa aporter,
E de tel colse non potì ma mançer.
11145
E prego Deo, qe me faites orer,
Qe mai no se diça de quilo sevrer." (240)
"Bel filz," dist ela, "vu me l'avrì çurer,
Qe a quela cort non averì plu aler."
Dist Rolandin, anch'el fust baçaler,
11150
"Mere," fait il, "dur è li otrier;
Colsa qi no me poit valoir ni çoer. (245)
Vu me faites in çes bois converser.
E a quel palés si sta plu çivaler,
E vu me faites qui de fame raçer.
11155
Daqe vos plas, là no ò plu aler;
Ma por nul ren no ve l'averò çurer." (250)
Adoncha Berte si le lasa aler;
Ma tutafois ela li sta darer,
Q'elo non posa ni fuir ni scanper,
11160
Ne por nul ren a la cort aler.
Tantqe a none se parse aprosmer, (255)
Quant Rolandin vi li termen paser
Q'elo soloit a la cort aler,
Ne·l sape sa mer si setilment guarder
11165
Q'elo no s'en fuçe fora por un senter.
Quant a la cort se vait a 'prosmer (260)
Çascun escrie, "Eco li baçaler!"
Adoncha li baron fu asis a·l mancer;
E Rolandin no·l mis en oblier.
11170
Cosi manue como fi da primer;
Quant oit mançé, q'il s'en voit aler,* (265)
Li rois le fi la toaila aporter,
E de pane e de çarne tot quanta raser.
Avantqe de·l palés aust a desmonter,
11175
Naimes e Teris montò sens entarder;
Quant li fant va avanti, et i le vont arer. (270)
Rubric 325
Coment Naimes va rer Rolan(din).*
Laisse 326
Via va Rolandin, por le çamin erant,
Naimes e Teris vait rer lui planemant.
Quant s'aprosment a la cha de l'infant,
11180
Sa mer li ven encontra, tenerament plurant,
Atant ecote Naimes e Teris ensemant; (275)
En la mason vi la dama avant.
Quando Berta le vi, si ne fo molto dolant;
De paura q'el oit, tuta vait trenblant.
11185
E si le dist, "Segnur, qe alez demandant?
E no son quella qe vos alez querant." (280)
E Naimes la reguarda, tot li color li soprant;*
Figuré l'oit a·l viso et a le senblant.
I s'ençenocle davant lei a·l presant;
11190
"Dama," fait il, "ne vos doté niant;
Vu non poez avoir nesun enojamant." (285)
Rolandin quan le vi, una stanga il prant;
Feru n'averoit Naimes, por li çevo davant,
Quant soa mer de nient no li consant.
11195
Atant ecote Milon da celle boscho grant,
Cun una torse de legne molto pesant. (290)
Quant vi çele jent, oit paure grant;
A tera la bute, por si fer maltalant,
La tera treme e darere e davant;
11200
Quant à ço fato, si se mis en fujant,
Quant le dux Naimes pais no li consant. (295)
Elo li escrie, "No aler plu avant!"
Torner le fa oltra so maltalant.
Rubric 326
Coment Naimes parole.
Laisse 327
Naimes parole, qe fo saço e doté,
11205
"Segnur," fait il, "pais ne vos doté;
De nula ren nen serez engonbré. (300)
E vu, Teris, demanes vos alé,
Demantenant dentro de la cité
E faites faire robe como el se convé,
11210
A raine e a conte privé;
E a questo damisel, un vesti a quarté."* (305)
Dist Teris, "Ben serà otrié."
Elo s'en vait dentro da la cité;
Tuti li sarti qe il oit trové,
11215
A cosir quel robe li oit otrié;
Si le oit pagé a soa volunté; (310)
Quando fo fati, si s'en retorna aré.
Quant fu a Naimes si le oit delivré,
Milon e Berta fo vesti e cançé.
11220
E Rolandin non fo pais oblié;
Soa vestitura si fo fata et ovré* (315)
Ad un quarter q'elo fo destiné,
Qe quela ensegne portò en soa vivité.
Quant Rolandin se vi si parilé,
11225
Gran çoja elo n'oit amené.
Comunalment i sonto aroté; (320)
Tuti ensenbre enverso la cité.*
Avantq'i fose a li palés monté,
E li dux Naimes si fu davant alé,
11230
Davant a Karlo si fu apresenté.
Li rois le vi, si l'oit ademandé: (325)
"De le enfant, como avez ovré?"
E cil le dist, "Vu le savrì asé;*
Vu si m'avrez un don otrié,*
11235
A me voloir et a ma volunté."
Dist li rois, "De ço è verité." (330)
E Naimes dist, "Ora si le veé;
Quest'è li don qe vos è demandé:*
Milon e Berta, qe avés sbanojé."
11240
Adoncha li furent davant lui presenté.
Li rois le vi, tuto fo trapensé; (335)
En man el tent un coltel amolé;
Ça li aust por li çevo buté,
Quant Rolandin fu avant alé.
11245
Por me la man elo l'oit gobré,*
Una tel streta li oit en la man doné,* (340)
Qe por le ongues ne fo le sangue volé.
Li rois le vi; qi le aust doné
Tot li mondo davant e daré,
11250
El non seroit si çojant ne lé.
Enfra de soi oit dito e devisé, (345)
"Costu serà li falcon de la Crestenté."
Enlora dist a Naimes, "Li don vos ert doné.
Por amor de cest enfant, li est perdoné
11255
L'ira e li voloir e la mala volunté."
Adoncha Milon se fo ençenoclé, (350)
Et ensement Berta da l'altro le;*
E Rolandin por la sala oit guardé,
Se il veoit le table aparilé.
Rubric 327
Coment Naimes parole a Karlo.
Laisse 328
11260
Davant Karlo estoit le dux Milon,
E dama Berta a la clera façon. (355)
A li rois demandent e merçé e perdon;
Li rois li oldì, si f(ron)çì li gregnon;*
Ni ben ni mal elo no li respon.
11265
Ma Damenedé, por soa redencion,*
Donò a Rolandin, q'era petit garçon, (360)
Entro son cor tant descrecion: . . . *
"Vu, çentil homo, qe me donesi li capon,
Se a mon per ni ma mer faites nul mespreson,
11270
Tel vos donarò de·l pugno por li menton, (365)
Qe mal me veistes unqa nasu a·l mon."*
Quant quela parola oit oldu Naimon,
Elo dist en riando a Karlon,
"Guardé·ve ben da ste petit guarçon,
11275
Qe a sa mer non faça se ben non." (370)
Li rois le prist atraverso li galon;
El ge basa (l)a bocha, le viso e la fron;
E si ge·l dist, "Bel filz, e no ve·l çelaron;*
Por filo vos tirò como faço Çarlon."
11280
Molto li agrea a le dux Milon, (375)
Et ensement a·l duc Naimon.
"Mon segnor," dist Naimes, "porqe le çelaron?
Dapoqe vu avés doneo li perdon,
Faites·li far une colse qi savrà a ogn'on bon:*
11285
Faites qe Berte si prenda li fançon,* (380)
E entro ses braçes tanto le tenon,
Qe davanti vos si la sposi Milon
Siqe la veça çivaler e peon."
E dist Karlo, "Questo conseil è bon,
11290
Qe ma l'enfant non olda si ben non." (385)
E dist Naimes, "Non farés se ben non;
Vu n'averés lojal gujerdon."
Oez, mon sire, un petit ma rason,
Ço qe le dist li vailan Milon,
11295
"Vestra marçi, doné m'avì perdon; (390)
Ma e vos dirò de ma entention.
Non est homo ni veilart ni garçon
Qe poust dir in verso ni cançon,
La gran poine q'e ò sotenu e·l mon
11300
Por alever ste petit garçon. (395)
De çivaler eo deveni poltron,
E aler a li boscho a durer pasion."*
Rubric 328
Coment Milon parole a·l rois.
Laisse 329
"Entendés moi, çentil enperer,
Dapoisqe de França eo m'avì sevrer,
11305
E son esté en le bois converser, (400)
A tajer legne e gran torse porter,
Por no(r)ir cest enfant e ma çentil muler.*
E cun tuto ço e no vos quer nojer,
A gran poine ò au da mançer.
11310
Vestra merçi, si como eo sper,* (405)
Vu m'avrés trato de quel penser.*
Omais me conven penser d'altro mester,
Dever pain conbatre e çostrer."*
Adonc Berta vait son filz a gobrer,*
11315
Entro ses braçe Rolandin lever. (410)
A l'onor Deo, li vor justisier,
De dos ané qe li donò l'inperer,*
Milon vait la dama a sposer,
Veçando la cort e tot li berner.
11320
Gran corte fo e davant e darer, (415)
E l'inperer, qe tant se fi loer,
Quella ovre non volse oblier;
Segondo li conseil de Naimes de Baiver,
Elo fe Milon çivaler
11325
E de les autres qi volse arme bailer. (420)
Qi donc veist Rolandin aler
Por me la sale et avant et arer.
Vestu estoit d'un pano a quarter;
Çascun qe le voit, le prent a loer:
11330
"Costu serà li meltre çivaler (425)
Qe se trovase en tot le Batister.
Por mal l'à vezu nasere Sarasin et Escler.
El serà colu qe serà avoer,
De tota Françe e serà guerojer,
11335
Contra Pain e Turs et Escler."* (430)