Motto del re di Cipro Pietro I di Lusignano nel Palazzo Corner-Loredan Piscopia di Venezia
- Titles
- Motto del re di Cipro Pietro I di Lusignano nel Palazzo Corner-Loredan Piscopia di Venezia
- Dating
- 1346
- Form of the text
- Prosa.
- Language
- Francese d’Oltremare.
- Type of text
- Motto contenuto nell’insegna dell’Ordine cavalleresco della Spada istituito dal re di Cipro Pietro I di Lusignano, che fu poi concessa in uso dal sovrano al nobile patrizio veneziano Federico Corner il Grande come ricompensa per un ingente prestito finanziario che il Corner gli garantì nel 1363.
Contenuto
Il re di Cipro Pietro I di Lusignano concretizzò il suo forte ideale cavalleresco fondando da giovane, nel 1346, un nuovo Ordine cavalleresco, l’Ordine della Spada, o del Silenzio, che, a suo dire, gli sarebbe stato ispirato da Cristo stesso in una visione mistica allo scopo di difendere la fede, la Cristianità e il suo regno. L’emblema dell’ordine era costituito da una spada avvolta da un cartiglio contenente il motto C’est Pour Loiauté Maintenir (secondo la trascrizione di Camille Enlart 1899, I, p. III).
Appoggiato da papa Innocenzo VI, Pietro progettò di organizzare una crociata per scongiurare la minaccia turca in Occidente e nel 1362 giunse in Europa intenzionato a cercare il consenso di principi e sovrani cristiani, che gli accordarono il loro benestare. Fu per questa ragione che nel 1363 il re soggiornò a Venezia presso il nobile patrizio Federico Corner (o Cornaro, nella grafia italianizzata) detto il Grande, che lo accolse nel suo imponente palazzo sul Canal Grande (oggi Palazzo Loredan, dal nome della famiglia che lo acquisì all’inizio del ’700, e sede del municipio insieme a Ca’ Farsetti) e gli consegnò in prestito l’ingente somma di 60.000 ducati d’oro per proseguire il viaggio verso la corte papale di Avignone e per armare un esercito contro i Turchi. Il generoso gesto gli valse come ricompensa il conferimento del titolo di cavaliere dell’Ordine della Spada con diritto di inquartare nel proprio stemma l’arma del re di Cipro e il prestigioso motto, nonché il feudo perpetuo di Piscopi, un’isoletta del Mare Egeo, che gli permise di aggiungere al proprio cognome l’appellativo “Piscopia”. L’ottenimento in franchigia doganale e fiscale di questa isola diede modo a Federico Corner, che già aveva importanti attività commerciali a Cipro, di avviare a Piscopi una fiorente produzione di zucchero, che veniva poi venduto a Venezia. Il prestito concesso al sovrano di Cipro si rivelò essere per il Corner un’azzeccata scelta economica strategica, perché, sebbene il re non estinse mai più il debito contratto con lui, il nobile veneziano ricavò così tanto profitto dalla coltivazione e dalla raffinazione della canna da zucchero coltivata a Piscopi da diventare nel 1379 il cittadino più ricco di Venezia.
La facciata del palazzo Corner-Loredan Piscopia a San Luca sul Canal Grande riporta ancor oggi le insegne dell’Ordine della Spada su uno scudo in pietra d’Ischia. L’esatta grafia del motto che vi compare è la seguente: Pour Lyauté Mantenir.
L’influenza di questo illustre antenato, che aveva reso tanto ricca e potente la famiglia Corner, avrebbe poi fatto sì che la Repubblica di Venezia scegliesse proprio da questa dinastia la giovane che sarebbe diventata la moglie e l’erede di re Giacomo II, l’ultimo dei Lusignano: Caterina Cornaro. Nata a Venezia nel 1454, Caterina andò infatti sposa al re di Cipro proprio per favorire gli interessi economici della famiglia e della Serenissima che cercava di accrescere il suo peso politico nel Mediterraneo. Il Senato di Venezia, in occasione delle celebrazioni del fidanzamento che ebbero luogo nel luglio 1468, la nominò “figlia adottiva della Repubblica” e le consegnò la dote maritale. Quattro anni dopo, nel corso di un’altra solenne festa, Caterina partì per Cipro, anche se in tempi strettissimi (appena due anni) perse prima il marito e poi il di lui successore, Giacomo III, la cui reggenza le garantiva la legittimità del titolo di regina. A questo punto, rimasta praticamente da sola e senza più legami con la dinastia dei Lusignano, si ritrovò in balia di una sommossa scoppiata da più parti per far salire sul trono l’erede “legittima” Carlotta, la sorellastra di Giacomo II e moglie di Luigi di Savoia. La Serenissima incaricò allora Giorgio, il fratello di Caterina, di convincerla ad abdicare in favore di Venezia. Fra minacce e promesse alla regina di un esilio dorato la cosa fu presto fatta e Venezia poté così prendere il controllo diretto dell’isola ed annetterla ai suoi domini. La Repubblica si premurò di organizzare anche in questo caso celebrazioni fastose per Caterina, prima a Nicosia e poi a Famagosta da dove partì la nave che la riportò a Venezia. Rientrata nella città natale, il 6 giugno 1489, a Caterina fu addirittura riservato il privilegio esclusivo di sedersi accanto al Doge sul Bucintoro fra l’esultanza dell’intera città in festa. Alla nobile veneziana fu concessa la signoria di Asolo in Treviso, dove regnò per venti anni, fino alla morte avvenuta tra il 9 e 10 di luglio 1510, e il mantenimento del titolo onorifico di Regina di Gerusalemme, Cipro e Armenia.
Sappiamo che nella fonte battesimale che Caterina commissionò a Francesco Grazioni per la cattedrale di Asolo nel 1491 è presente uno stemma con il cimiero della famiglia reale Lusignano di Cipro, la spada e il cartiglio dell’Ordine fondato da Pietro I con il motto suddetto.
Il titolo di Cavaliere di Cipro conferito a Federico Cornaro il Grande era una distinzione onorifica trasmissibile e su questa base nel Seicento il Procuratore Giovanni Battista Cornaro, padre di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, la coltissima nobildonna veneziana che studiò a Padova e fu in assoluto la prima donna laureata, avrebbe sollecitato in più occasioni nel 1680 la Serenissima a riconfermargli il titolo, ma tutte le sue richieste (compresa quella del 1685) sarebbero rimaste senza risposta.
Il motto di Pietro I di Lusignano ebbe grande fortuna nel tempo. In ragione del suo legame con un progetto di conquista delle terre d’Oltremare, esso suscitò anche l’interesse di Gabriele D’Annunzio che lo usò nel famoso “messaggio ai francesi” che Benito Mussolini lo sollecitò a scrivere nel mese di giugno del 1935 per convincere la Francia a sostenere le pretese imperiali dell’Italia in Etiopia in nome della lealtà e dell’amore per la «sorella latina», e che lo incaricò ufficialmente di comporre con un successivo telegramma del 18 agosto. Il “messaggio ai francesi”, diventato l’Aux bons chevaliers latins de France et d’Italie “Pour lealté maintenir”, fu articolato in due parti: una letteraria, che riprendeva il racconto Le dit du sourd et muet, scritto nel 1929, e una politica, che fu fatta pervenire, attraverso canali diplomatici, al Presidente della Repubblica francese Albert Lebrun. La scelta linguistica di D’Annunzio che ha optato per l’inserzione della parola lealté in grafia italianeggiante è stata letta dalla critica come espressione di un tentativo anche stilistico di suggellare idealmente il legame fra i due Paesi. Il “messaggio ai francesi” confluì poi nel Teneo te Africa, la raccolta di scritti che in forma di corrispondenza il Poeta soldato indirizzò al Duce e ai compagni d’arme e nella quale si esaltavano le finalità dell’imperialismo italiano in terra africana, che fu data alle stampe per le edizioni delle Officine del Vittoriale alla fine del 1936.
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Crediti
Scheda a cura di Serena Modena.
Ultimo aggiornamento: 6 giugno 2019.