Raffaele da Verona
Autore
La perifrasi un po’ enigmatica – quasi una sorta di indovinello – contenuta nel sonetto finale (secondo epilogo, la cui autenticità non è tuttavia assicurata) dell’Aquilon de Bavière («Quel che a Tobia servì sì integramente/ Marmora el fece, e·l suo nome tal era») è all’origine delle diverse denominazioni – Raffaele Marmora, o da Marmora, o da Verona e Tobiolo da Verona – proposte dalla critica fra Otto e Novecento per indicare il misterioso autore di questo romanzo-fiume che chiude la stagione della letteratura franco-italiana.
Nel suo articolo sull’Aquilon de Bavière del 1882, Antoine Thomas, ritenendo possibile leggere nella perifrasi in questione una chiara allusione biblica all’arcangelo Raffaele che servì Tobia amichevolmente e lo aiutò a risolvere tutti i suoi problemi ed a superare le difficoltà, propose di assegnare al nostro autore il nome di Raffaele Marmora. Il Thomas evidenziò inoltre alcuni dati che suggerivano uno stretto legame fra l’autore del romanzo e la città di Verona: la conoscenza della leggenda dei santi Fermo e Rustico e Maria Consolatrice (oggetto di particolare culto nella città dell’Adige), l’attenzione speciale nell’esaltare il fiero e valoroso conte di Marmora, Bernardo, e la menzione di Carpenea, la mitica città scomparsa tra Valfonde (cioè Ferrara) e Verona.
«Raffaele Marmora», il nome che il Thomas dedusse dalla sottoscrizione fu subito accettato dagli altri studiosi : dal Levi (1908), che sostenendone le origini veneziane, volle identificarlo con un «cantore di piazza» di bassa condizione sociale; dal Rossi (1910), che ne ipotizzò le ascendenze veronesi; dalla Coronedi (1935), che ne prospettò l’origine veronese, o «se non proprio veronese, almeno sicuramente veneta».
Nel 1959 Carlo Dionisotti dedusse invece dai menzionati versi un’altra denominazione che ritoccava, nella seconda parte, quella del Thomas. Il Dionisotti, ricordando che Marmora «è l’equivalente normale di Verona», ovvero il nome fittizio comunemente usato nell’epopea franco-italiana per indicare questa città, proponeva che l’autore si chiamasse «Raffaele da Verona». Per il Dionisotti infatti la costruzione perifrastica, «Marmora el fece» era da sciogliersi diversamente da quanto proposto da Thomas, perché “el” non farebbe riferimento all’opera, ma a “quel”, cioè allo stesso Raffaele, significando pertanto che «Marmora, cioè Verona, lo fece».
Nel 1983 Lidia Bartolucci Chiecchi è ritornata sulla questione, prospettando un’altra denominazione per l’autore dell’Aquilon de Bavière, ovvero quella di Tobiolo da Verona. Nel verso “Quel che a Tobia servì sì integramente” la studiosa infatti, anziché leggere un’allusione all’arcangelo Raffaele, che accompagnò secondo il racconto biblico nel tormentato viaggio a Ecbatana Tobiolo, ritiene che sia più opportuno riconoscervi un riferimento allo stesso Tobiolo, paziente e virtuoso figlio di Tobia, esecutore obbediente della volontà paterna e delle direttive dell’arcangelo.
Diversamente che nel caso di Raffaele, questa denominazione avrebbe inoltre il vantaggio di non dare un puro nome senza referenze, dal momento che a Verona fra il XIV e i primi del XV secolo risulterebbe attestata l’esistenza di un certo Tobiolo Tobioli, notaio di professione, come esplicitato dal documento più remoto che lo concerne, ovvero la sua iscrizione, nel novembre 1369, al Liber cronice notariorum civitatis et burgorum Verone. Nella matricola dei notai di quell’anno compare infatti un «Thobiolus notarius quondam Guidoti notarii de guaita de Sancto Georgio», e una annotazione posteriore, aggiunta probabilmente nel 1409, allorché viene effettuata la compilazione della matricola successiva, legge «mortuus». Originario di Quinzano, detto Tobiolo nel 1407 venne aggregato al Nobile Consiglio di Verona: negli Atti del Consiglio del 26 febbraio compare come Tobiolus notarius de Quinzano de Sancto Georgio», in quelli del 16 marzo semplicemente come «Tobiolus de Quinzano» e in quelli del 12 agosto ancora come «Tobiollus de Quinzano». E la data della sua morte sembrerebbe proprio ascriversi agli ultimi mesi dello stesso 1407: negli Estimi del Comune del 1409, relativi al 1408, appare infatti, quotato per una lira e otto soldi, per la contrada di San Giorgio, non più Tobiolo, ma il figlio Battista («Baptista quondam Tobiolli notarii»). Si tratterebbe dunque di dati cronologici che avrebbero una possibile corrispondenza con le indicazioni fornite dall’autore dell’Aquilon nelle terzine del sonetto iniziale e nell’ottava finale del romanzo sugli anni in cui egli avrebbe atteso alla stesura dell’opera, ossia dal 1379 al 20 agosto 1407.
Secondo Peter Wunderli, tuttavia, il tentativo di identificazione storica avanzato dalla Bartolucci Chiecchi – come peraltro quello precedentemente proposto da Virginio Bertolini e Anna Maria Babbi (1979), per i quali il Nostro si sarebbe potuto riconoscere in un altro notaio veronese dal nome Raffaele, menzionato sin dal 1372 e detto «mortuus» nel 1416 – resta privo di reale fondamento, perché per entrambi questi personaggi non esiste oggettivamente nessuna traccia di un’attività letteraria qualsiasi.
L’impossibilità di un’equivalenza fra il notaio veronese Tobiolo Tobioli e l’autore dell’Aquilon sarebbe confermata, del resto, anche dalla fonte biblica a cui fa riferimento il romanziere: nel libro di Tobia infatti il figlio del vecchio Tobia, che ha lo stesso nome del padre, non è mai chiamato con un diminutivo (> Tobiolo), ma è indicato semplicemente per mezzo dell’aggiunta dell’aggettivo giovane; inoltre per caratterizzare la relazione fra figlio e padre non sono mai usate parole come servire, servizio, servitore ecc., diversamente da quanto avviene per la relazione fra l’arcangelo Raffaele ed il giovane Tobia, visto che del servizio reso da Raffaele a Tobia si parla expressis verbis nel testo biblico quando il giovane si chiede dopo il viaggio: «… quam mercedem dabimus ei aut quid dignum poterit esse beneficiis eius».
Sulla base di questi riscontri, Wunderli ritiene dunque che la formula enigmatica nel secondo epilogo dell’Aquilon debba rapportarsi a Raffaele. L’autore del romanzo non può essere che un certo Raffaele Marmora, o da Marmora, o da Verona. Sul fatto però che si tratti effettivamente del notaio Raffaele menzionato da Virginio Bartolini e Anna Maria Babbi la questione resta aperta.
E’ possibile infine che l’autore dell’Aquilon abbia soggiornato in Toscana e soprattutto a Firenze date le numerose allusioni a questa città presenti nel romanzo e dato anche l’impiego dell’ottava rima e della lingua toscana per il prologo e per il primo epilogo, ma anche questa ipotesi resta nella vaghezza, senza prove tangibili a suo favore.
Ciò che è certo, però, è che Raffaele da Verona ha una vasta cultura ed una conoscenza sorprendente della letteratura del suo tempo, al punto che sembra aver letto tutto: matière de France, matière de Bretagne, matière antique, letteratura religiosa e didattica, che si fondono in una sintesi nuova e originale. Notevoli sono anche le sue conoscenze di geografia francese e italiana, nonché di geografia riguardante le regioni extra-europee. Egli sa inoltre di retorica (come prova l’attribuzione dell’opera a Dalfin e a Turpino), ed ha conoscenze teologiche e mediche di rilievo (si veda in proposito la descrizione dell’accesso di rabbia di Rolando che ha i tratti caratteristici dell’epilessia).
Opere
Aquilon de Bavière
Bibliografia
Edizioni
- Bertolini, Virginio – Babbi, Anna Maria
1979 Raffaele da Verona, Aquilon de Bavière. Libro quinto, a cura di Virginio Bertolini, Anna Maria Babbi, Povegliano, Gutenberg, 1979.
- Wunderli, Peter
1982 Raffaele da Verona, Aquilon de Bavière, roman franco-italien en prose (1379–1407). Introduction, édition et commentaire par Peter Wunderli, Tübingen, Niemeyer (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, 188-189), 1982, Vol. I e II.
Recensioni: Lidia Bartolucci Chiecchi, «Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen», 137 (1985), 470-472.
2007 Raffaele da Verona, Aquilon de Bavière, roman franco-italien en prose (1379–1407). Introduction, édition et commentaire par Peter Wunderli, Tübingen, Niemeyer (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, 337), 2007, Volume III.
Recensioni: YWMLS: Year’s Work in Modern Language Studies, 69 (2007), 55 — Lidia Bartolucci Chiecchi, «Vox Romanica», 67 (2008), 272-276 — Carlo Beretta, «Medioevo Romanzo», XXXII-2 (2008), 446-449.
Studi
Babbi, Anna Maria
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Bartolucci Chiecchi, Lidia
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1981 Ancora sui Maffei (in magine ad “Aquilon de Bavière”), “Vita veronese”, 11-12 (1981), 245-248.
1983 Un nuovo nome per l’autore dell'”Aquilon de Bavière”, “Medioevo romanzo”, 8.2 (1983), 217-223.
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2001 Insegne e colori nell’“Aquilon de Bavière”, La cultura dell’Italia padana e la presenza francese nei secoli XIII – XV, (Pavia 1994), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2001, 201-209.
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Crediti
Scheda a cura di Serena Modena
Ultimo aggiornamento: 14 gennaio 2013